06/04/13

Pregare nell'impotenza - A. Louf

L'esperienza che abbiamo della preghiera è generalmente limitata e piuttosto sfortunata; a un dato momento, diventa addirittura profondamente frustrante. Allora ci rendiamo conto di non sapere pregare: abbiamo tentato diversi metodi ma, nella maggior parte dei casi, senza risultato. 

Alcuni di questi metodi usano l'immaginazione (...). Con l'aiuto di un'immagine si può destare dentro di sé ogni sorta di sentimenti: di gioia, di amore, di fiducia, di riconoscenza, almeno fino ad un certo punto. Ci si può addirittura compiacere in simili sentimenti e trovarvi una certa soddisfazione; ma si può anche, in breve tempo, annoiarsi abbondantemente (...): i nostri sentimenti non sono inesauribili, sono limitati e in stretto rapporto con il nostro umore, i nostri buoni propositi e quanto assomiglia a desideri spirituali. Anche quando questo metodo ha successo perché si è dotati di una ricca affettività, cosa si ottiene? E' Dio che mi ferisce, che tocca il fondo della mia affettività quando sono tutto intento ad attizzare i miei sentimenti come farei con dei carboni ardenti che stanno per spegnersi? (...)

Altri pensano di riuscire meglio nella preghiera imboccando un itinerario razionale: lasciano parlare sopratutto la propria intelligenza. Il termine ancora in uso di meditazione indica questa pista. Nel peggiore dei casi si tratterà di considerazioni astratte sulla verità, nel migliore, queste riflessioni sfoceranno in una visione più chiara delle cose o in una convinzione più forte; convinzione che sarà forse capace di ridestare i nostri sentimenti religiosi. Tuttavia le parole della Scrittura non sono destinate principalmente a essere meditate intellettualmente: sono là per ferirci e aprirsi così un varco verso il nostro intimo più profondo. Si rivolgono innanzitutto al nostro cuore e non alla nostra intelligenza. Se si fermassero alla nostra intelligenza, sarebbero solo una pacca incoraggiante sulla spalla, come per dire: "Vedi, abbiamo la situazione in pugno, continua a fare del tuo meglio!". (...)  Fino a quel momento non è successo niente e continua a non succedere niente: la strada è semplicemente sbarrata e noi la manteniamo tale e quale, ci accontentiamo di sforzarci di fare del nostro meglio e proprio questo è sterile.  (...)

Possiamo definire questo luogo come un'impasse, un vicolo cieco, un punto morto, una strada senza uscita. Impasse inevitabile e necessaria! E' là che impariamo a nostre spese che non succede nulla attraverso la ragione, né attraverso l'immaginazione e nemmeno attraverso i nostri sentimenti. Qualcosa succederà, certo, ma altrove: l'impasse deve portarci ad abbandonare tutte queste piste finora così familiari. Allora diventa importante fermarsi, restare in un profondo silenzio interiore e là aspettare, con estrema semplicità, che qualcosa sopraggiunga nella nostra vita dall'interno. Non un'idea, non un sentimento, non un'immagine, ma qualcosa di diverso: una presenza silenziosa (...).

(...) L'inutilità dei nostri sforzi ci fa finalmente prendere coscienza, a nostre spese, che la preghiera è impossibile per noi! Alcuni allora si agitano come possono e si sforzano di fare del loro meglio in generosità, fervore o dedizione agli altri. Tutte cose in fondo più facili che fare esperienza della nostra radicale impotenza di fronte a Dio. 
Che fare allora in questa impasse? (...) Semplicemente dimorare nell'impasse, che significa non fuggire con nessun pretesto. E' proprio lì, in questa impasse in cui ci dibattiamo ingloriosamente, che dovremo essere liberati e guariti dalla nostra impotenza. (...) Questo vuol dire non essere più in grado di gestire la situazione, restare nella nostra impotenza affinché proprio lì, e non altrove, venga a prenderci la forza di Dio. La preghiera infatti è anche esperienza di salvezza e deve diventare illustrazione concreta delle parole di Paolo "Quando sono debole, è allora che sono forte, perché la potenza di Dio si manifesta nella debolezza" (cf. 2Cor 12, 9-10). (...)

A questo punto spetta a Dio assumere l'iniziativa, a noi lasciarlo agire e abbandonarci alla sua azione in noi. Un tale abbandono non è facile: a volte gli opponiamo resistenza a lungo, spesso anche con una certa ostinazione, con uno zelo benintenzionato ma perfettamente inutile e addirittura nefasto. (...)
In realtà  quello che Dio ci chiede adesso è particolarmente faticoso: ci toglie la preghiera, in modo che abbiamo l'impressione di perdere tutto quello che pensavamo di aver conquistato (...) adesso tutto è improvvisamente bloccato, appare nullo, come se non fosse mai avvenuto: non c'è più risposta. (...)
La preghiera alla quale [Dio] ci invita adesso è la sua preghiera: è pura grazia, noi non abbiamo alcun potere su di lei. L'unico gesto che possiamo ancora compiere è quello di aprire le mani e il cuore affinché la preghiera ne scaturisca come un dono del Signore, là dove gli piacerà concedercela.
Perseverare nell'impasse significa anche non ritornare sui nostri passi, non aggrapparci ai metodi con i quali avevamo tentato, con più o meno successo, di pregare. Più precisamente: non rimanere ancorati alla nostra intelligenza, alla nostra immaginazione, ai nostri sentimenti. Queste facoltà dovranno passare attraverso un digiuno, calmarsi, riposarsi, starsene tranquille, essere, per così dire, disinserite. (...) Il linguaggio biblico e dei padri utilizzava il verbo hypoménein e il sostantivo hypomoné: letteralmente "stare sotto". Potremmo quasi tradurre "rannicchiarsi" e stare fermi, aspettando che ci capiti qualcosa. 

Il fatto di essere così staccati da ogni altra attività interiore è normalmente causa di una certa oscurità, di una sensazione di aridità, di desolazione, forse anche un'impressione di vuoto, di profondità vertiginosa, a volte abbiamo la sensazione di soffrire la fame e la sete. (...)
Quando Gesù vuole parlare della vita dello Spirito in noi, usa l'immagine della sorgente che sgorga: la paragona all'acqua viva che deve diventare in noi come "una sorgente zampillante per la vita eterna" (Gv 4,14). La preghiera è questa sorgente profonda in noi: è lì da sempre, come il soffio dello Spirito santo che prega incessantemente in noi (...) Ogni sorgente ha in sé la propria pressione che si può ostacolare in modo artificiale; oppure si può lasciarle libero corso e abbandonarvisi (...) I nostri sforzi potrebbero essere le pietre che impediscono alla sorgente di sgorgare naturalmente. (...) Tutti i nostri sforzi e i nostri metodi di preghiera devono, in fin dei conti, rivelarsi inutili e sparire perché lo Spirito di Gesù possa offrire una possibilità alla sua preghiera in noi.


André Louf,   "Sotto la guida dello Spirito" (ed. Qiquajon)