31/12/12

Giovanna D'Arco - F. De Andrè



Attraverso il buio Giovanna d'Arco
precedeva le fiamme cavalcando
nessuna luna per la sua corazza
nessun uomo nella sua fumosa notte, al suo fianco.

Giovanna d'Arco:
Della guerra sono stanca, ormai
al lavoro di un tempo tornerei,
a un vestito da sposa o qualcosa di bianco
per nascondere questa mia vocazione al trionfo ed al pianto.

Il fuoco:
Son parole le tue che volevo ascoltare, 
ti ho spiata ogni giorno cavalcare;
e a sentirti così, ora so cosa voglio:
vincere un'eroina così fredda, abbracciarne l'orgoglio.

Giovanna d'Arco:
E chi sei tu! - lei disse, divertendosi al gioco - 
Chi sei tu che mi parli, così, senza riguardo!"
Il fuoco:
"Veramente stai parlando col fuoco.
E amo la tua solitudine, amo il tuo sguardo.

Giovanna d'Arco:
Se se tu sei il fuoco, raffreddati un poco.
Le tue mani ora avranno da tenere qualcosa...

E tacendo gli si arrampicò dentro
ad offrirgli il suo modo migliore di essere sposa.

E nel profondo del suo core rovente
lui prese ad avvolgere Giovanna d'Arco
e là in alto e davanti alla gente
lui appese le ceneri inutili del suo abito bianco.

E fu dal profondo del suo cuore rovente
che lui prese Giovanna e la colpì nel segno!
E lei capì chiaramente
che se lui era il fuoco, lei doveva essere il legno.



Andai nei boschi... - H.D.Thoreau


«Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.
Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo, spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici.»

Henry David Thoreau  
da "Walden, ovvero la vita nei boschi"






30/12/12

Santa Famiglia di Nazareth

(Lc 2,41-52)

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i gironi, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.


Festa della famiglia, recita la liturgia. 
Festa della mia famiglia, aggiungo io. Della famiglia concreta, oggettiva, reale da cui provengo o che ho formato o che desidero formare. E, di questi tempi, stride e fa riflettere questa festa, una quasi provocazione che vola alto sopra le nostre beghe politiche e sociali, che infonde vigore ed energia alla nostra quotidianità, che ridà spessore al nostro Natale.Che ci piaccia o no la famiglia è e resta il cuore del nostro percorso di vita, della nostra educazione, spesso è all’origine di molta sofferenza, di qualche delusione e, grazie al cielo, di immensa gioia.
Fa sorridere che Dio abbia voluto sperimentare l’esperienza famigliare.
Fa riflettere che, per farlo, abbia scelto una famiglia così anomala e complicata.
Stupisce che la Chiesa si ostini a proporre questa famiglia come modello, dove la coppia vive nell’astinenza, il figlio è la presenza del Verbo di Dio, e i coniugi di ritrovano a scappare a causa della improvvida notorietà del neonato…
Ma non è nella diversità che vogliamo seguire Maria e Giuseppe, ma nella loro concretezza di coppia che vede la propria vita ribaltata dall’azione di Dio e dal delirio degli uomini, nella loro capacità di mettersi da parte, sul serio, senza ricatti, senza patemi, per inserirsi in un progetto più grande, quello che Dio ha sul mondo.
Maria stringe forte a sé il piccolo neonato che sente il calore e l’odore della sua pelle.
Giuseppe, ora, è sereno.
L’avventura di far nascere il proprio figlio primogenito lontano da casa l’ha duramente provato ma ora, dopo quella tumultuosa notte piena di emozioni e di segni, il giovane Giuseppe si sente pieno di fiducia per il futuro. Gesù è stato affidato al Dio di Israele, come prescritto, e nel grandioso Tempio di Gerusalemme un vecchio ha preso in braccio il bambino profetizzando.
Dopo la lunga e dolorosa permanenza in Egitto, Maria e Giuseppe tornano a Nazareth, dove Gesù cresce.
Ed è un Gesù adolescente che scappa dai genitori, per discutere con i dottori della Legge della Torah, al centro della riflessione del vangelo di oggi. Che tenerezza trovare due genitori in difficoltà col figlio in piena crisi adolescenziale!

Dura realtà
Potrei continuare così per tre pagine, nel maldestro tentativo di ridare concretezza alla famiglia di Nazareth. Siamo tutti talmente presi dalle emozioni del Natale (che spero sia stato un buon Natale per ciascuno di voi!) da dimenticare il peso della concretezza che, come ogni famiglia, Maria e Giuseppe hanno dovuto affrontare.
Oggi celebriamo la Santa Famiglia, così diversa dalle nostre famiglie (una madre Vergine, un padre adottivo, un figlio che è Dio!) eppure così identica alle nostre nelle dinamiche affettive.
Se, dicevamo, Natale ci obbliga a chiederci se davvero vogliamo un Dio così inerme, la meditazione di questa famiglia e dei trent’anni vissuti a Nazareth, se possibile, ci forniscono spunti ancora più incisivi…
Dio cresce, quindi.
Cresce nella quotidianità di una famiglia di povera gente, piena di fede e donata al Mistero. Una famiglia che ha qualcosa da dire alla mia famiglia.

Quotidianità
La prima riflessione deriva proprio dal tran-tran quotidiano che Maria e Giuseppe vivono.
Siamo abituati a considerare il tempo diviso in feriale e festivo. Altro è lo scorrere ripetitivo e noioso dei giorni, altro è l’evento cui ci prepariamo con gioia intensa; altra la fatica del lavoro altra l’ebbrezza delle ferie estive. Così nella fede: la domenica, se riusciamo, ritagliamo cinquanta minuti di Messa e poi, in settimana, siamo travolti dagli impegni.
Nazareth ci insegna che Dio viene ad abitare in casa, che nella quotidianità e nella ripetitività dei gesti possiamo realizzare il Regno, fare un’esperienza mistica, crescere nella conoscenza di Dio.
Possiamo (sul serio!) elaborare una teologia del pannolino, un trattato mistico dei compiti dei figli, una spiritualità del mutuo da pagare.
La straordinaria novità del cristianesimo è – appunto! – la sua assoluta ordinarietà.
Coppie che avete un figlio primogenito: la vostra fatica e le notti insonni, il rapporto faticoso tra voi a causa della stanchezza e le preoccupazioni, sono le stesse di Maria e Giuseppe.
Amici che vivete problemi al lavoro: anche Giuseppe ha passato notti agitate prima di chiedere un mutuo, per poter allargare la bottega da falegname.
Donne che avete consacrato la vostra vita ai figli: anche Maria ha avuto un velo di tristezza negli occhi quando ha visto il suo primo capello bianco…
Dio ha deciso di abitare la banalità, di colmare lo scorrere dei giorni.

Il Padre
La seconda riflessione deriva dalla risposta, apparentemente dura e scortese, che Gesù rivolge ai propri genitori (da buon adolescente!) riguardo al suo restare a Gerusalemme dopo la Bar Miztvah: egli si deve occupare delle cose del Padre. Gesù richiama i propri genitori (!) al primato di Dio nella vita di una famiglia. Siamo insieme per aiutarci a trovare la felicità, il senso della vita, siamo insieme per camminare incontro alla pienezza. Dio non è una superflua appendice alle nostre scelte, magari da tirare fuori quando ci sono le feste o qualche problema. Se diventiamo cercatori di Dio realizziamo pienamente lo scopo del nostro stare insieme.

Il Mistero per casa
Maria e Giuseppe vedono il Mistero di Dio che gattona e bordeggia, che passa le notti piangiucchiando per la nascita di un dentino…
Mi sono chiesto cento volte quanta fede hanno dovuto avere questi genitori per dirsi che quel bambino, identico a tutti i bambini, era davvero il Figlio di Dio. Giuseppe spesso guardava, alla fine della giornata, la sua verginale sposa, imbarazzato per l’immensità della sua fede, sentendosi un poco inadatto a tanta meravigliosa tenacia.
Maria, quando portava il caffè a metà mattinata a Giuseppe con i capelli ricci pieni di trucioli, benediceva in cuor suo il Signore per avergli dato un compagno così semplice e vero.
La Santa Famiglia ci invita a guardare gli altri membri della famiglia con uno sguardo di fede e di luce, scovando il Mistero nascosto nelle persone che pensiamo statiche e immutabili.

Affidiamo a Dio le nostre famiglie concrete, quelle che abbiamo o che avremmo voluto avere, con tutta la fatica e la gioia, le contraddizioni e le povertà, le emozioni e il bene che ci sappiamo dare.
Dio ci abita.


Paolo Curtaz  
da  www.tiraccontolaparola.it 

29/12/12

La nostra casa - H. Hesse

«Per questo mondo odierno, semplice, comodo, di facile contentatura, tu hai troppe pretese, troppa fame, ed esso ti rigetta perché hai una dimensione in più. Chi vuol vivere oggi e godere la vita non deve essere come te o come me. Chi pretende musica invece di miagolio, gioia invece di divertimento, anima invece di denaro, lavoro invece di attività, passione invece di trastullo, per lui questo bel mondo non è una patria... (...)
Io penso così: noi uomini, noi che abbiamo maggiori pretese, che abbiamo le aspirazioni e una dimensione di troppo non potremmo neanche vivere se, oltre all'aria di questo mondo, non ci fosse anche un'altra atmosfera respirabile, se oltre al tempo non esistesse anche l'eternità, il regno dell'autenticità. Di questo fanno parte la musica (...) e i poemi dei tuoi grandi poeti, e i santi che (...) hanno dato un grande esempio agli uomini. E di questa eternità fa altrettanto parte l'immagine di ogni vera azione, la forza di ogni sentimento genuino, anche se nessuno ne sa nulla, se nessuno ne scrive e ne conserva la notizia ai posteri. (...)
E' il regno al di là del tempo e della parvenza. Quello è il nostro luogo, quella la nostra patria, là tende il nostro cuore, caro lupo della steppa, e perciò abbiamo il desiderio di morire.  (...)
Pensa, Harry, attraverso quante porcherie e scempiaggini dobbiamo passare per arrivare a casa! E non abbiamo nessuno che ci guidi, unica nostra guida è la nostalgia ».

Hermann Hesse  da "Il lupo della steppa".



27/12/12

Col cuore d'aquila - Teresa di Lisieux

«... I miei immensi desideri non sono un sogno, una follia? ... Ah! se è così, Gesù illuminami, tu lo sai, io cerco la verità... se i miei desideri sono temerari, falli sparire, perché questi desideri sono per me il più grande dei martìri (...) 
Come può un'anima così imperfetta qual è la mia aspirare a possedere la pienezza dell'Amore? ... O Gesù! mio primo, mio solo Amico, te che amo unicamente, dimmi che mistero è questo? ... Perché non riservi queste immense aspirazioni alle grandi anime, alle Aquile che planano nelle altezze? ... Io mi considero un debole uccellino coperto solo di una leggera peluria, io non sono un'aquila, ne ho semplicemente gli occhi e il cuore, perché malgrado la mia estrema piccolezza oso fissare il Sole Divino, il Sole dell'Amore e il mio cuore sente in sé tutte le aspirazioni dell'Aquila... L'uccellino vorrebbe volare verso quel Sole brillante che affascina i suoi occhi (...) ... ahimé tutto quello che può fare, è alzare le sue piccole ali, ma volare, questo non è nelle sue piccole possibilità! cosa gli accadrà? morire di tristezza vedendosi così impotente? ... Oh no! l'uccellino non si affliggerà affatto. Con un audace abbandono, vuole restare a fissare il suo Divino Sole; nulla potrà spaventarlo, né il vento né la pioggia, e se nubi oscure vengono a nascondere l'Astro d'Amore, l'uccellino non cambia posto, sa che al di là delle nubi il suo Sole brilla sempre, che il suo splendore non potrebbe eclissarsi un solo istante. Talvolta, è vero, il cuore dell'uccellino si trova assalito dalla tempesta, gli sembra di non poter credere che esista altra cosa che le nubi che lo avvolgono; è allora il momento della gioia perfetta per il povero piccolo essere debole. Quale felicità per lui rimanere lì lo stesso, fissare l'invisibile luce che si nasconde alla sua fede!!! Gesù, fino da ora, comprendo il tuo amore per l'uccellino, poiché esso non si allontana da te...  (...)
Gesù, sono troppo piccola per fare grandi cose, e la mia follia è quella di sperare che il tuo Amore mi accetti come vittima... La mia follia consiste nel supplicare le Aquile miei fratelli di ottenermi la capacità di volare verso il Sole dell'Amore con le ali stesse dell'Aquila Divina...
Finché tu vorrai, il tuo uccellino resterà senza forze e senza ali, resterà sempre con gli occhi fissi su di te, esso vuole essere affascinato dal tuo sguardo divino, vuole divenire la preda del tuo Amore... Un giorno, lo spero, Aquila Adorata, verrai a cercare il tuo uccellino, e risalendo con lui il Focolare dell'Amore, lo tufferai per l'eternità nel bruciante Abisso di questo Amore al quale si è offerto vittima....»

Teresa di Lisieux

25/12/12

Natale di Gesù

(Lc 2,1-14)

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirino era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazareth, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si torvavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Miagola, pigola, vagisce con una flebile voce, come fanno i cuccioli d’uomo appena nati.
Gli occhi socchiusi, le minuscole mani serrate a pugno, appoggia il viso grinzoso all’acerbo seno della madre. Per un istante spalanca gli occhi, come ad essere rassicurato, poi ripiomba nel sonno.La madre, inesperta, attinge il dito mignolo in una tazza di coccio e glielo appoggia sulle piccola labbra che si dischiudono e si bagnano del latte di capra.
Maria gli aggiusta la coperta di lana che protegge il corpo nudo del neonato dal freddo del deserto che lambisce le case di Betlemme. Sorride, Maria, e guarda il suo solido Giuseppe, seduto sulla paglia, esausto dal lungo viaggio e dalle emozioni delle ultime ore. 
Anch’io taccio, in un angolo della stalla, senza fare rumore, sospeso fra la commozione e la stanchezza. 
Sono venuto qui con la preghiera, in un angolo, senza disturbare. Scosso da questa crisi che sembra non finire, dalle paure del futuro, dalla follia che sta trascinando il nostro mondo verso l’abisso. Poi li guardo e penso a quanto più dura fosse allora, per questa coppia di giovani sposi. Ecco Dio, dunque.


Ecco Dio. 
Siamo tutti spiazzati, ancora. Ecco Dio. Ecco com’è veramente.Lontano mille chilometri dall’orribile immagine che di lui ci siamo fatti.Ecco Dio: enorme inerme, possente fragile, debole per scelta. Suscita tenerezza, viene voglia di prenderlo in mano di accarezzarlo.


Ecco l’uomo.Maria ha creduto nelle parole del principe degli angeli, ha messo la sua vita nelle mani di Dio. E ora è lì, con il mistero dell’Universo che stringe a sé. Frastornata e meditabonda, con il suo cuore, immenso cuore di discepola, altalenante fra il gioire dell’essere diventata madre e lo stupirsi nel tenere Dio appeso al suo collo. Prima fra i folli di Dio, prima fra i credenti, prima fra le donne, benedette figlie di Eva che di Dio condividono il generare.

Giuseppe siede stanco. Anche lui ha detto sì, ma il suo è stato più sofferto, faticoso, ribelle.I suoi sogni ora sono il sogno di Dio, non ha più futuro, né spazio, né ambizione, né comprensibile orgoglio di padre. Il Padre lo ha reso padre, lui, ora dovrà accudire Dio e la sua madre, proteggerli e lasciarli crescere, loro così abitati dal Mistero, lui così consapevole che la vita non si misura dai risultati ma dalla fedeltà agli eventi.

Sulle colline intorno a Betlemme, i pastori, i bastardi di Dio, i perdenti, gli zingari, gli arraffatori, gli uomini senza dignità, senza futuro, senza speranza, bestemmiano in cuor loro la sorte, ricacciando il dolore che sale a soffocare la gola e a riempire gli occhi di lacrime. Fine di un giorno uguale come i precedenti, uguale come i futuri, senza scampo, senza tregua, senza luce. E un angelo appare loro. Per voi, dice. Una mangiatoia, dice. Una mangiatoia per i pecorai, come una barca per i pescatori, come un prato per i contadini. Dio non fugge, non si nasconde, non fa il difficile. Si lascia trovare attraverso i segni più banali.
E vanno. Trovano Dio che abita in una mangiatoia, come se fosse un trono, a capiscono che anche una mangiatoia che odora di sterco di pecora può diventare il trono del Dio degli sconfitti.

A est, lontano, un gruppo di curiosi accampati discutono, alzando il prezzo della scommessa: chi sostiene che il segno nel cielo indica la nascita di un re, altri dicono che, invece, prospetta una catastrofe, altri ancora che non significa nulla. E scherzano e ridono, mentre i servi portano la carne cotta al fuoco. Andranno a dormire presto, domani ripartiranno verso la Giudea. Sazi di denaro, sazi di cultura, sazi di beni.Ma ancora curiosi, ancora si interrogano e cercano.

A Gerusalemme i Sommi Sacerdoti commentano la giornata, pianificano il futuro del nuovo, splendido tempio. Alla fine si congedano, pregano, invocano al venuta del Messia. Qualcuno sorride: ci mancherebbe la venuta del Messia, ora, a cosa servirebbe? Ora ci sono loro.

Erode caccia la concubina dal suo letto, stenta a prendere sonno. Si affaccia sulla terrazza del palazzo che domina la sua città. No, la folla non lo ama, nonostante tutto, pazienza: se non sarà ricordato per la sua gloria, sarà ricordato per il suo odio.

Noi.
Ecco Dio, mi ripeto nella penombra della chiesa.Dio non si è ancora stancato di noi, se chiede di nascere.Prego, ora, affidando tutti, e tutti non riescono a stare nella mia povera preghiera.Penso a chi soffre, questa notte, perché nessun angelo gli ha ancora detto che Dio nasce proprio per lui. Prego per i tanti, migliaia, che ho incontrato in questo anno così doloroso e intenso per me, e a come Dio sia stupefacente nel disegnare nuove strade per chi si affida a Lui. Penso alla nostra Italia così litigiosa, così affaticata e delusa, che non ha più speranza, che pensa di essere davvero mediocre come appare, e chiedo al Signore un regalo: di ricordarci da dove proveniamo e verso chi andiamo, tutti.
Vedo il bambino, nella penombra della chiesa. E mi dico in che cavolo di guaio mi sono messo, seguendo un Dio che, invece di risolvermi i problemi, me ne crea a bizzeffe. Vorrei stringerlo fra le mie braccia, riempirlo di baci questo Dio, dire che lo amo, proprio perché così imprevedibile, perché così misteriosamente incontrabile e banale.Apro un libretto di canti del banco e trovo un’immaginetta: contiene una preghiera di uno dei più feroci atei del secolo scorso, maestro del dubbio e della noia: Sartre.

Maria guarda Gesù e pensa:
questo Dio è mio figlio.
È Dio. E mi assomiglia.
Un Dio bambino che si può prendere fra le braccia
E coprire di baci.
Un Dio caldo
Che sorride e respira.
Un Dio che si può toccare e che respira,
un Dio che si può toccare e ride.
È in uno di questi momenti
Che dipingerei Maria,
se fossi pittore.

Paolo Curtaz




24/12/12

La promessa di Dio - A. Casati


Realizzerò le promesse di bene che ho fatto

(Ger 33,14)


La nostra vita, la nostra storia è accompagnata da promesse.
Anche a te, al tuo nome è legata una promessa di bene,
una promessa di Dio.

E tu non venir meno!
Non venir meno nella fiducia
perché Dio è fedele alle sue promesse.

A volte, scoraggiati e delusi, lo dimentichiamo.
Ricorda la promessa:
è questa promessa che non ci fa arresi
ma resistenti.

Angelo Casati



23/12/12

IV Avvento

Lc 1,39-45


In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta  fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».


Dopo l'annuncio dell'angelo, Maria è una persona alla quale è stato consegnato un grande segreto che cambia la sua vita, che la coinvolge profondamente, che la porterà a vivere un'esperienza del tutto diversa da quella da lei immaginata. Porta nel cuore questo segreto e non può spiegarlo a nessuno. E' certamente un segreto di gioia che la potrebbe riempire di letizia, tuttavia è anche imbarazzante e doloroso. Maria si trova nella situazione di chi, avendo qualcosa di grande dentro di sé, che le dà gioia e insieme peso, vorrebbe comunicarlo. Vorrebbe farsi capire, e non sa a chi e come. Maria si avvia verso la montagna di Giuda e, entrando nella casa di Zaccaria, saluta Elisabetta. «Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo"». Improvvisamente, senza bisogno di parole, Maria si sente capita, sente che il suo segreto è stato colto da chi poteva intuirlo nello Spirito Santo, sente che ciò che è avvenuto in lei, il mistero di Dio, è ormai inteso da altri, ed è inteso con amore, con benevolenza, con fiducia. Ora che un'altra persona ha potuto intuire il suo segreto, Maria si sente liberata interiormente e può esclamare a gran voce ciò che ha dentro; può esprimersi, attraverso un'amicizia discreta e attenta, attraverso un cuore capace di comprenderla. Ed ecco erompere il suo canto, che proclama ciò che aveva meditato per lungo tempo, durante il viaggio. Quanto è importante il valore di un'amicizia che ci capisca e aiuti a sbloccarci, che ci permetta di mettere fuori ciò che abbiamo dentro, di bello o forse di brutto. Purché sia espresso, purché sia detto! Maria si esprime cantando ed esultando perché il suo animo è pieno di gioia.

Carlo Maria Martini

Cinque

Non già nel seguire il sentiero battuto, ma nel trovare a tentoni la propria strada e seguirla coraggiosamente, consiste la vera libertà.

Mahatma Gandhi

22/12/12

Le donne - Teresa D'Avila


«Signore dell'anima mia, tu, quando pellegrinavi quaggiù sulla terra non disprezzasti le donne, ma anzi le favoristi sempre con molta benevolenza e trovasti in loro tanto amore, persino maggior fede che negli uomini. Nel mondo le onoravi. Possibile che non riusciamo a fare qualcosa di valido per te in pubblico, che non osiamo dire apertamente alcune verità, che piangiamo in segreto, che tu non debba esaudirci quando ti rivolgiamo una richiesta così giusta? Io non lo credo, Signore, perché faccio affidamento sulla tua bontà e giustizia. (So che sei un giudice giusto e non fai come i giudici del mondo, per i quali, essendo figli di Adamo e in definitiva tutti uomini, non esiste virtù di donna che non ritengano sospetta). O mio Re, dovrà pur venire il giorno in cui tutti si conoscono per quel che valgono. Non parlo per me, poiché il mondo conosce la mia miseria. Vedo però profilarsi dei tempi in cui non c'è più ragione di sottovalutare animi virtuosi e forti, per il solo fatto che appartengono a delle donne».

S. Teresa D'Avila

21/12/12

Dissipa tu se lo vuoi... - Montale

Dissipa tu se lo vuoi
questa debole vita che si lagna,
come la spugna il frego
effimero di una lavagna.
M'attendo di ritornare nel tuo circolo,
s'adempia lo sbandato mio passare.
La mia venuta era testimonianza
di un ordine che in viaggio mi scordai,
giurano fede queste mie parole
a un evento impossibile, e lo ignorano.
Ma sempre che traudii
la tua dolce risacca su le prode
sbigottimento mi prese
quale d'uno scemato di memoria
quando si risovviene del suo paese.
Presa la mia lezione
più che dalla tua gloria
aperta, dall'ansare
che quasi non dà suono
di qualche tuo meriggio desolato,
a te mi rendo in umiltà. Non sono
che favilla d'un tirso. Bene lo so: bruciare,
questo, non altro, è il mio significato.

Eugenio Montale da "Mediterraneo" (1924)



15/12/12

La candela e la falena - A. Branduardi




Io ti canto dolce candela
che tu sia di tua luce amante

Sono la fiamma e la falena
come Verità ed amore.

Per amore danzo nel fuoco
per te l'amo... non ho altro amore
La mia passione si spegnerà 
nella fiamma che consuma.

Nella luce io danzo
per il fuoco d'amore
amo il fuoco per te:
altro amore non ho.

Ora danzi nel nulla
le tue nozze d'amore
In quel volo insensato
brucerai le tue ali.

Io ti canto bella falena
che tu sei di mia luce amante
tu non conosci la verità
il tuo volo è un'illusione.

Amo me stessa e la mia morte
come arde il fuoco,
non io nel fuoco
Quando all'alba mi spegnerò
di me traccia non resterà.

Nella luce io danzo
per il fuoco d'amore
amo il fuoco per te:
altro amore non ho.

Ora danzi nel nulla
le tue nozze d'amore
In quel volo insensato
brucerai le tue ali.

14/12/12

La Fonte - Giovanni della Croce


Come conosco bene
la fonte che scaturisce e scorre,
benché sia notte.

Resta nascosta quell'eterna fonte,
ma io ben so dov'è la sua dimora,
benché sia notte.

L'origine non so, poiché ne è priva,
ma ogni origine so che ne deriva,
benché sia notte.

So che non può esister cosa tanto bella,
e che cieli e terra bevono da quella,
benché sia notte.

So bene che in lei non si ritrova il fondo
e che sondarla non può nessuno al mondo,
benché sia notte.

Il suo splendore non si oscura mai
e so che è la sorgente d'ogni luce,
benché sia notte.

So che le sue correnti traboccanti,
inferni e cieli irrigano, e le genti,
benché sia notte.

La corrente che sgorga da questa fonte
ben so quanto è capace e onnipotente,
benché sia notte.

La corrente che da queste due procede
so che nessuna di quelle la precede,
benché sia notte.

Giace nascosta questa eterna fonte
in questo vivo pane, per dare a noi la vita,
benché sia notte.

Sta qui chiamando le creature,
che di quest'acqua si saziano, benché allo scuro,
perché ora è notte.

Questa fonte d'acqua viva cui anelo,
in questo pane di vita io la vedo,
benché sia notte.

San Giovanni della Croce

Fontiveros 24 giugno 1542 - Ubeda 14 dicembre 1591





13/12/12

La spiritualità di chi non crede - E.Bianchi


da La Repubblica, 13 dicembre 2012

Non sorprende che in un paese come il nostro – dove non esiste più da quasi trent’anni una “religione di stato”, ma dove non c’è ancora una legge specifica sulla libertà religiosa – ogni discussione sulla laicità dello stato e sui diritti individuali e comunitari dei credenti rischi di provocare un corto circuito. Si aggiungono aggettivi qualificativi alla laicità o la si rinchiude nel peggiorativo laicismo, rendendo quasi impossibile lo sviluppo e l’adattamento alle mutate condizioni sociologiche del nostro paese di quella convergenza di intenti e di valori che il legislatore costituente aveva sapientemente saputo ricostruire sulle macerie della guerra. A furia di ridurre la presenza dello stato e nel contempo di chiedergli di farsi garante di un’etica religiosa specifica, a furia di confondere la somma di beni privati con il bene comune, la coesione sociale viene a mancare e si atrofizza quello spazio comune garantito in cui ciascun soggetto individuale o sociale –  può contribuire alla crescita umana e spirituale dell’insieme della società. 
Lo stato laico, infatti, non può limitarsi alla funzione di chi regola il traffico di una società civile che si muoverebbe secondo direttive proprie, molteplici e slegate da un interesse collettivo. Nessun distacco o neutralità da parte dello stato, al contrario, la quotidiana fatica di tradurre in un quadro legislativo rispettoso di tutti i cittadini, uomini e donne, quei principi e valori democraticamente recepiti come fondanti. Per far questo è indispensabile trovare e utilizzare modalità laiche per discernere cosa è ritenuto bene per l’insieme della popolazione e cosa danneggia la convivenza, quali adattamenti escogitare affinché il meglio sognato non uccida il bene possibile.
Un’etica condivisa non è utopia: si tratta allora di individuarla, perseguirla, garantirla con mezzi consoni a uno stato non confessionale che si faccia carico di una società ormai plurale per religioni e culture. Non dimentichiamoci che l’umanità è una, che di essa fanno parte religione e irreligione e che, comunque, in essa è possibile, per credenti e non credenti, la via della spiritualità, intesa come vita interiore profonda, come fedeltà-impegno nelle vicende umane, come ricerca di un vero servizio agli altri, attenta alla dimensione estetica e alla creazione di bellezza nei rapporti umani. Sono sempre stato convinto che esiste anche una spiritualità degli agnostici, di quanti sono in cerca della verità perché insoddisfatti di verità definite una volta per tutte: è una spiritualità che si nutre di interiorità, di ricerca del senso, di confronto con l’esperienza del limite e della morte.
Si tratta, di essere tutti fedeli alla terra e all’umanità, vivendo e agendo umanamente, credendo all’amore, parola oggi abusata fino a svuotarla di significato, ma parola unica che resta nella grammatica umana universale per esprimere il “luogo” cui l’essere umano si sente chiamato. Del resto la fede – questa adesione a Dio sentito come una presenza soprattutto a causa del coinvolgimento che il cristiano vive con Gesù Cristo – non sta nell’ordine del “sapere” e neppure in quello dell’acquisizione: si crede in libertà, accogliendo un dono che non ci si può dare da sé. Analogamente gli atei, nell’ordine del sapere non possono dire “Dio non c’è”: è, infatti, un’affermazione possibile solo nell’ambito della convinzione. Si può negare Dio o farne a meno senza pensare a se stessi come dio? Sì, è possibile e la storia lo dimostra.
 Del resto, il cristianesimo riconosce che il Dio in cui crede è presente e agisce anche nella coscienza di chi non crede, perché ogni essere umano è stato creato a immagine e somiglianza di Dio e ha in sé la fonte del bene. La laicità dello stato è allora quella opzione di fondo che consente di reinventare continuamente strumenti condivisibili e linguaggi comprensibili da tutti, di garantire presidi di libertà e di non sopraffazione, di difendere la dignità di ciascuno, a cominciare da quelli cui viene negata, di consentire a ciascuno di ricercare, anche assieme ad altri, la pienezza di senso per la propria vita.

Enzo Bianchi 
priore e fondatore della Comunità Monastica di Bose



La Preghiera della Gestalt - F. Perls


Io faccio la mia strada e tu la tua.

Io non sono al mondo per esaudire le tue aspettative;
come tu non sei in questo mondo per esaudire le mie.

Tu sei tu e io sono io,

e se per caso ci incontriamo sarà bellissimo!

Altrimenti non ci sarà nulla da fare.

Fritz Perls  
- padre e teorico della "Psicoterapia della Gestalt" - 




11/12/12

Quattro


L'evoluzione è molto più importante che il vivere.

Karl Gustav Jung


10/12/12

Preghiera - Thomas Merton

Io, Signore Iddio, non ho nessuna idea di dove sto andando.
Non vedo la strada che mi sta davanti.
Non posso sapere con certezza dove andrò a finire.
Secondo verità, non conosco neppure me stesso
e il fatto che penso di seguire la Tua volontà non significa che lo stia davvero facendo.

Ma sono sinceramente convinto che in realtà ti piaccia il mio desiderio di piacerti
e spero di averlo in tutte le cose, spero di non fare nulla senza tale desiderio.
So che, se agirò così, la tua volontà mi condurrà per la giusta via,
quantunque io possa non capirne nulla.
Avrò sempre fiducia in Te,
anche quando potrà sembrarmi di essere perduto e avvolto nell'ombra della morte.
Non avrò paura,
perché Tu sei con me e so che non mi lasci solo di fronte ai pericoli.

Thomas Merton
Prades, 31 gennaio 1915 - Bangkok 10 dicembre 1968










09/12/12

II Avvento

(Lc 3,1-6)

Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tratrarca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio  venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbasato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».


Luca dà inizio al racconto dell'attività pubblica di Gesù con una pagina solenne, quasi maestosa, un lungo elenco di re e sacerdoti, che improvvisamente subisce uno scarto, un dirottamento: un sassolino del deserto cade dentro l'ingranaggio collaudato della storia e ne muta il passo: «la parola di Dio venne su Giovanni nel deserto». 
La Parola, fragile e immensa, viene come l'estasi della storia, di una storia che non basta più a se stessa; le inietta un'estasi, che è come un uscire da sé, un sollevarsi sopra le logiche di potere, un dirottarsi dai soliti binari, lontano dalle grandi capitali, via dalle regge e dai cortigiani, a perdersi nel deserto. È il Dio che sceglie i piccoli, che «abbatte i potenti», che fa dei poveri i principi del suo regno, cui basta un uomo solo che si lasci infiammare dalla sua Parola. Chi conta nella storia? Erode sarà ricordato solo perché ha tentato di uccidere quel Bambino; Pilato perché l'ha condannato a morte. Nella storia conta davvero chi comincia a pensare pensieri buoni, i pensieri di Dio. 
«La parola di Dio venne su Giovanni, nel deserto».
Ma parola di Dio viene ancora, è sempre in volo in cerca di uomini e donne dove porre il suo nido, di gente semplice e vera, che voglia diventare «sillaba del Verbo» (Turoldo). Perché nessuno è così piccolo o così peccatore, nessuno conta così poco da non poter diventare profeta del Signore.
«Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni burrone sarà riempito, ogni monte abbassato; le vie tortuose diventeranno diritte e quelle impervie, spianate».
Il profeta però vede oltre, vede strade che corrono diritte e piane, burroni colmati, monti spianati. Per il viaggio mai finito dell'uomo verso l'uomo, dell'uomo verso il suo cuore. E soprattutto di Dio verso l'uomo. 
La voce dipinge un paesaggio aspro e difficile, che ha i tratti duri e violenti della storia: le montagne invalicabili sono quei muri che tagliano in due villaggi, case e oliveti; i burroni scoscesi sono le trincee scavate per non offrire bersaglio e per meglio uccidere; sono l'isolarsi per paura... È anche la nostra geografia interiore, una mappa di ferite mai guarite, di abbandoni patiti o inflitti. 
Un'opera imponente e gioiosa, e a portarla a compimento sarà Colui che l'ha iniziata. L'esito è certo, perché il profeta assicura «Ogni uomo vedrà la salvezza». Ogni uomo? Sì, esattamente questo: ogni uomo. Dio viene e non si fermerà davanti a burroni o montagne, e neppure davanti al mio contorto cuore. Raggiungerà ogni uomo, gli porrà la sua Parola nel grembo, potenza di parto di un mondo nuovo e felice, dove tutto ciò che è umano trovi eco nel cuore di Dio.


Ermes Ronchi  da "Avvenire".







08/12/12

Maria


La donna, che non può osare avvicinarsi al Santuario,"conterrà" il Dio che quello stesso Santuario pretendeva racchiudere tra le sue mura. 
La donna, che non può neanche osare toccare la Bibbia, accoglierà dentro di sé la Parola di Dio fatta carne. 
La donna, che non può rivolgersi al sacerdote né tanto meno toccarlo, sarà madre del Santo dei Santi. 
Il Dio, che mai ha rivolto parola a una donna, la chiamerà immà (mamma).

Alberto Maggi

06/12/12

Tre

Il fine della mia vita è realizzare il sogno che Dio ha fatto sulla mia culla.

Jean Salem


In cammino verso l'identità - Carlo Molari

L'identità dell'uomo non è già costituita all'inizio del suo cammino, ma assume le sue sembianze definitive alla fine. (...) L'uomo è in processo verso il suo compimento. Noi nasciamo incompiuti, nasciamo materia per diventare progressivamente spirito, anima, per assumere la nostra identità definitiva, quel "nome che è scritto nei cieli" (Lc10,20). La domanda che ci porremo al momento della morte sarà: chi sei? Chi sei diventato? Non risponderemo con ciò che abbiamo fatto, perché questo è provvisorio, destinato a perire. Risponderemo se siamo diventati quella forma definitiva di vita che Dio ha fissato per noi, se siamo diventati figli di Dio.
Alla nascita l'uomo è un complesso di possibilità vitali aperte ad innumerevoli sbocchi. L'identificazione della persona avviene progressivamente attraverso le scelte di ogni giorno, che annullano alcune reali possibilità per renderne attuali solo altre. Per questo tutte le decisioni vitali comportano perdite e spesso anticipano l'angoscia della morte. In realtà ogni scelta, sopratutto se irreversibile, qualifica la persona in un determinato modo annullando molte altre possibilità ugualmente reali. 
L'identificazione personale avviene attraverso queste piccole morti quotidiane, che però consentono la nascita definitiva dell'uomo interiore (cfr. 2Cor 4,16-18; Ef 3,16).  Finché l'identità personale non è consolidata, l'uomo si identifica attraverso realtà esterne a lui: il luogo di nascita, i propri genitori, il titolo di studio, la professione, ecc. Noi viviamo di identità provvisorie e false, al massimo funzionali e quindi temporanee. In realtà nulla appartiene all'uomo al di fuori di se stesso, del "nome scritto nei cieli" (cfr. Lc 10,20), che fissa la sua identità definitiva. Egli la riceverà solo alla fine: "Noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Gv 3,2). (...)

Crescere come persone richiede l'abbandono progressivo di questi riferimenti d'identità e l'acquisizione della propria forma personale fissata dalla interiorità.  Per questo invecchiare esige la capacità di fare progressivamente a meno di tutti i riferimenti di identificazione, per essere semplicemente se stessi. (...) La morte ci chiederà di avere acquisito in modo così completo il nostro proprio nome, da saperlo abitare interamente, senza altri riferimenti esteriori; la capacità cioè di essere semplicemente noi stessi, in continuo rinnovamento interiore, in virtù dei molteplici doni accolti durante l'esistenza.  Il criterio della morte ci insegna a vivere in vista della nostra identità definitiva, senza permetterci di identificarci eccessivamente con le identità provvisorie.  (...)

L'uomo nasce materiale e diventa spirituale, nasce carne e diventa spirito. Questo processo coincide con il divenire persona: l'uomo nasce natura e diventa persona. Tutto ciò vale anche per l'umanità nel suo complesso. (...) Gli uomini possono progressivamente accogliere in modo più ricco l'azione creatrice di Dio e vivere di perfezioni superiori alla loro attuale condizione. (...)
Il divenire della persona e della umanità si realizza nei rapporti. L'azione creatrice di Dio non emerge nella creazione e non diventa efficace nella storia se non attraverso creature. Solo nei rapporti, quindi, la creatura umana cresce come persona. Il Concilio Vaticano II (...) scrive che l'uomo può "divenire più uomo" attraverso i rapporti e raggiungere la sua identità piena. (...) La persona cresce per le offerte di vita che le vengono dalle relazioni. Questo deve renderci attenti agli altri per offrire a tutti, sopratutto ai più poveri, delle offerte di vita che li facciano crescere. (...) La nostra identità ci è offerta dagli altri e non esistono  altri canali attraverso i quali possano pervenirci doni di vita se non i nostri rapporti, luogo esclusivo dell'azione creatrice. Ma le offerte vitali possono essere accolte solo attraverso processi attivi di assimilazione, che richiedono ampi  spazi interiori.
Crescere perciò è imparare ad interiorizzare i doni "degli altri", di un Altro; è intrattenere rapporti intensi per accogliere tutte le offerte vitali che ci fanno diventare persona. 

tratto da
Carlo Molari "Per una spiritualità adulta"

05/12/12

Due

Non farti allontanare dalla tua strada, neppure da quelli che vanno nella stessa direzione.

S.J. Lec


04/12/12

Uno

L'uomo muore sempre prima di essere completamente nato.

Erick Fromm


02/12/12

I Avvento

Lc 21,25-28.34-36


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà  sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell'uomo».

L'Avvento è il tempo che prepara nascite, il tempo di santa Maria nell'attesa del parto, tempo delle donne: solo le donne in attesa sanno cosa significhi davvero attendere. Ma non si attende solo la nascita di Gesù. 
«Ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia...» Il Vangelo ci prende per mano, ci porta fuori dalla porta di casa, a guardare in alto, a percepire il cosmo pulsare attorno a noi, a sentirci parte di una immensa vita. Che patisce, che soffre, che si contorce come una partoriente (Is 13,8), ma per produrre vita. Il presente porta nascite nel grembo. Ma «quanto morir perché la vita nasca» (Rebora).È un tempo di crisi. C'è una crisi della Chiesa, diminuiscono le vocazioni, cresce l'indifferenza religiosa, l'istituzione ecclesiastica perde fiducia. Ma la fede ci permette di intravedere che la fine di un certo tipo di Chiesa può portare a un nuovo modo di vivere la fede, più essenziale, libero e convinto, pieno di cuore e di verità. È il nostro atto di fede: il regno di Dio viene, ed è più vicino oggi di ieri.Anche la crisi economica e finanziaria ci sta dicendo che dobbiamo cambiare strada e favorire un altro modello di economia, non fondato sulla logica della crescita infinita, che è insostenibile, ma su rispetto della natura, sobrietà e solidarietà. Il Vangelo d'Avvento ci aiuta a non smarrire il cuore, a non appesantirlo di paure e delusioni: «state attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano». Ci sarà sempre un momento in cui ci sentiremo col cuore pesante, scoraggiati. Ho provato anch'io lo scoraggiamento, molte volte, ma non gli tengo il posto, non gli permetto di mangiare nel mio piatto, non gli permetto di sedere sul trono del mio cuore. Il motivo è questo: fin dentro i muscoli e le ossa io so una cosa, come la sapete voi, ed è che non può esserci disperazione finché ricordo perché sono venuto sulla terra, di chi sono al servizio, chi mi ha mandato qui. E chi sta venendo: «allora vedranno il Figlio dell'uomo venire con grande potenza e gloria.»Questo mondo contiene Lui! Che Viene, che è qui, che è più grande di noi; c'è un Liberatore, esperto di nascite, in cammino su tutte le strade.«Alzatevi, guardate in alto e lontano, perché la vostra liberazione è vicina.» Uomini e donne in piedi, a testa alta, occhi alti e liberi: così vede i discepoli il Vangelo. Gente dalla vita verticale.
 Il Vangelo ci insegna a leggere il presente e la storia come grembo di futuro, a non fermarci all'oggi, ma a guardare avanti: questo mondo porta un altro mondo nel grembo. Un mondo più buono e più giusto, dove Dio viene, vicino come il respiro, vicino come il cuore, vicino come la vita.

Ermes Ronchi - da "Avvenire"




01/12/12

Vocazione e identità - Thomas Merton


«La nostra vocazione non è semplicemente quella di essere, ma di collaborare con Dio a creare la nostra stessa vita, la nostra identità, il nostro destino. Siamo esseri liberi e figli di Dio. Questo significa che non dobbiamo esistere passivamente, ma scegliendo la verità, dobbiamo partecipare attivamente alla Sua libertà creativa per la nostra vita e per la vita degli altri. Anzi, per essere più precisi, siamo anche chiamati a lavorare con Dio nel creare la verità della nostra identità. Possiamo sfuggire questa responsabilità giocando a mascherarci; e questo ci soddisfa, perché a volte può sembrarci un modo di vivere libero e creativo. E’ cosa facile che sembra accontentare tutti. Ma a lungo andare questo costa e fa soffrire notevolmente. Operare la nostra stessa identità in Dio ( ciò che la Bibbia chiama ‘operare la propria salvezza’ ) è lavoro che richiede sacrificio e angoscia, rischio e molte lacrime. Richiede ad ogni momento un attento esame della realtà, una grande fedeltà a Dio, al Suo oscuro rivelarsi nel mistero di ogni situazione. Non conosciamo con certezza né in anticipo quale sarà il risultato di questo lavoro. Il segreto della mia piena identità è nascosto in Dio. Lui solo può farmi quale sono, o piuttosto, quale sarò, quando finalmente comincerò ad essere pienamente. Ma se io non desidero raggiungere questa mia identità, se non mi metto all'opera per trovarla insieme a Lui e in Lui, quest’opera non verrà mai compiuta. Il modo di farlo è un segreto che posso imparare da Lui solo, e da nessun altro. Non vi è modo di conoscere questo segreto se non per mezzo della fede. La contemplazione è dono più grande, più prezioso, perché mi permette di conoscere e di capire ciò che Egli vuole da me.»

«L’uomo sa di aver trovato la propria vocazione quando cessa di cercare come si deve vivere e incomincia a vivere. Così se uno è chiamato alla vita solitaria, cesserà di preoccuparsi come si deve vivere e incomincerà a farlo in pace soltanto quando sarà in solitudine. Ma se uno non è chiamato alla vita solitaria, più è solo più si preoccupa intorno al modo di vivere. Quando non si vive la propria vera vocazione, il pensiero offusca la vita, o si sostituisce ad essa, o si sottomette ad essa in modo che la vita soffoca il pensiero ed estingue la voce della coscienza. Quando troviamo la nostra vocazione pensiero e vita sono una sola cosa.»

Thomas Merton - Scritti scelti