24/04/13

Ci manca la follia dell'amore - A. Pronzato


«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)


Fuori di sé
Due espressioni popolari a riguardo dell'amore. Quando qualcuno s'innamora, c'è immancabilmente chi commenta: «Quello ha perso la testa».
Un'altra frase che spesso viene rivolta alla persona amata è: «Ti amo da pazzi...».
Niente di strano. Le due espressioni traducono una caratteristica del tutto naturale dell'amore. Non si può amare se non perdendo la testa. E non ci può essere che un amore da pazzi.
L'amore si apparenta alla follia. Per amare veramente occorre uscire fuori di sé, rinunciare ad amministrare giudiziosamente la propria vita, smetterla di fare calcoli prudenti, seguire una logica che non è quella del senso comune.
Dice Michel Quoist: «L'amore è una strada a senso unico: parte sempre da te per andare verso gli altri. Ogni volta che prendi qualcosa o qualcuno per te, smetti di amare, perché smetti di dare. Cammini contromano».

C'è chi cammina contromano nella strada dell'amore.
L'egoista è precisamente uno che cammina contromano. Parte dagli altri per arrivare inevitabilmente e ostinatamente a sé. Gli altri non sono che un pretesto, un'occasione, un mezzo per amare se stesso. Sono in funzione del proprio io.
Anche quando dice di fare del bene, l'egoista pensa a se stesso, intende fare del bene a se stesso. E' totalmente occupato con se stesso. 
L'egoista si rivela costituzionalmente inadatto ad amare, anche allorché sembra travolto da una passione irrefrenabile, perché non è disposto ad uscir fuori di sé (le sue "uscite" sono programmate in modo da rientrare al più presto), perdere il controllo della situazione, buttar via il registro della contabilità personale.
L'egoista si rivela incapace di abbandonarsi, consegnarsi all'altro. L'egoista, perfino nell'amore continua a ragionare in termini di interesse, vantaggi e piacere individuali.
In altre parole: può essere disposto a tutto, meno che alla follia, meno che a perdere la testa.
Nell'amore autentico c'è una componente di rischio, eccesso, esagerazione.
L'egoista si protegge. Mentre l'amore comporta un "esporsi" senza difese.

Una luce calda, non la lampada al neon
Oggi il pericolo, nel campo della carità cristiana, può essere quello di una prevalenza dell'organizzazione, delle strutture, delle forme esteriori.
Certo, data la molteplicità e la complessità dei problemi, si rende necessario un minimo di organizzazione, programmazione, articolazione dei compiti, delimitazione dei settori.
Ma guai quando le strutture diventano prevalenti e finiscono per soffocare la spontaneità, congelare i sentimenti.
Guai quando una fredda razionalità non permette al cuore di uscire allo scoperto.
Guai quando le forme finiscono per soffocare la vita. (...)
Certa carità asettica, burocratica, impassibile, rigidamente funzionale, regolata da criteri amministrativi, rischia di oscurare l'amore di Dio. 
La carità va affidata a degli appassionati , non a più o meno diligenti funzionari. Ha bisogno di individui vulnerabili, non di imperturbabili impiegati. 
L'amore è fuoco, non cenere di pratiche, carte, casi.
E' luce - anche dell'intelligenza - . Ma luce calda, prodotta con la collaborazione del cuore, non luce smorta e gelida delle lampade al neon.

Il mio nome è "non - abbastanza"
Il romanziere greco Kazantzakis racconta la storia di un eremita che insisteva a chiedere a Dio qual era il suo vero nome. Un giorno percepì una voce che gli diceva: «Il mio nome è "non-abbastanza", perché è quello che io grido in silenzio a tutto coloro che osano amarmi...».
Sarà il caso di interpretare in questa ottica il senso del comandamento di Gesù: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
Il Signore esige dai suoi amici un amore "come" il suo: eccessivo, prodigale. (...)

E' necessario, però, intendersi prima di tutto sul senso di comandamento nel linguaggio di Giovanni. Il comandamento non può essere ricondotto a una dimensione puramente giuridica, legalistica, nel senso di norma, prescrizione. Comandamento, più che ordine, significa incarico, compito. (...)

Oltre ogni limite
Il comandamento dell'amore impone non il minimo, ma il massimo. Non fissa limiti. E' un invito a superare ogni misura, ad andare oltre. 
Si tratta di un atteggiamento di fondo, più che di comportamenti stabiliti una volta per sempre. 
Non qualcosa di previsto, programmato, scontato, ma qualcosa di inedito, sorprendente.
In riferimento al comandamento dell'amore uno non potrà mai dire "sono a posto", "mi sento soddisfatto", "più di così non sono obbligato".
«E' meglio che non si innamori mai colui che è disposto ad amare veramente» (Ajmatov, Il patibolo).
Il Signore non stabilisce il minimo indispensabile per sentirsi a posto (non vuole che ci sentiamo a posto), ma un superamento continuo. (...)
Anche il nostro amore, perciò, deve chiamarsi  "non-abbastanza".

La carta perdente
Né bisogna dimenticare che il comandamento dell'amore si colloca nel contesto della Passione imminente, allorché Gesù, con piena evidenza, appare come il Perdente.
Le forze del male, la malvagità, l'odio, la violenza sembrano avere il sopravvento.
Nella notte «in cui veniva tradito» (1Cor 11,23), nella notte della vergogna dell'uomo, Gesù punta ancora sull'amore.
Gli uomini, in quella notte, presentano il loro volto più ripugnante: quello del tradimento, della vigliaccheria, del calcolo, del traffico più turpe, dell'indifferenza, dell'estraneità. Esibiscono un allucinante campionario di prodotti deteriori: opportunismi, alleanze sospette, fanatismi, stupidità, paure, meschinità, infedeltà.
Eppure: «...li amò fino alla fine» (Gv 13,1).
Noi ci tiriamo indietro, ma Lui non viene meno. Lui continua a scommettere sull'amore, anche se l'amore, in questa notte, verrà sconfitto, tradito, irriso, umiliato.
Allorché l'amore sembra inutile, Gesù punta cocciutamente su questa carta perdente. Dio si è spogliato di tutto. Si è ridotto a debolezza disarmata. Si è messo nelle mani degli uomini. Ognuno può farne quello che vuole. Solo quella carta perdente non riusciranno a strappargli.

Amare: solitudine e comunione
Sarà il caso di ripensare a questo paradosso della notte della Passione del Figlio dell'Uomo.
Nelle tenebre che incombono ancor oggi, e che sembrano guadagnare sempre più spazio, nella notte dell'uomo che sembra non avere fine, mentre la violenza continua a celebrare i suoi bestiali riti di sempre, non dobbiamo cedere alla tentazione di puntare su altri mezzi. Guai se lasciamo cadere quella carta perdente.
L'amore è comunione, ma talvolta è anche sofferta solitudine.
Si tratta di resistere, nella notte, anche quando si sperimenta l'abbandono, la diserzione dei più.
Vorrei citare, a questo proposito, una bellissima composizione poetica di Padre David Maria Turoldo:

«E quando gli altri neppure sapranno
più che esisti
allora sarò io ad aspettarti. Quando nessuno
più ti porterà un fiore
che non sia di pietà
e gioia nessuna
altri penserà di raccogliere 
dalle tue mani vuote
allora siederemo a tavola insieme
e divideremo quel nulla
che ci sarà d'avanzo»

Se saremo capaci di spingere la nostra fedeltà nell'amore fino all'ultima sera, rimanendo soli col Dio più vero, perché derelitto, perché sconfitto, allora Lui ci svelerà il segreto per ritrovare la gloria di essere uomini e no perdere la voglia di tentare ad essere cristiani.

Non riportarci a casa, Maria...
In giorno, Maria, i parenti sono partiti da Nazaret per cercare di recuperare tuo Figlio: «Vennero a prenderlo, poiché dicevano "E' fuori di sé"» (Mc 3,21).
Erano preoccupati per il buon nome della famiglia. Tentavano di riportarlo a casa, farlo rientrare nelle misure del buon senso e dell'onorabilità secondo la gente.
Sul Calvario, però, tu non hai neppure tentato di riportarlo a casa, come quando, ragazzino, era rimasto nel Tempio.
L'hai lasciato «fuori di sé». Anzi, gli sei stata accanto, schierandoti dalla parte di quell'amore folle. 
Con la tua presenza ai piedi della Croce, hai detto l'ultimo sì: prima ancora che alla morte del Figlio, alla sua sconvolgente follia.
Sei stata chiamata a sottoscrivere quella dichiarazione di pazzia firmata con una croce. Hai accettato che tuo Figlio perdesse la testa fino a quel punto.
Madre, complice della pazzia del Figlio, ti chiediamo: nonostante i ripetuti tentativi di ritornare alla normalità, di non esporci troppo, costringici a rimanere "fuori". Non lasciarci "rientrare" nelle misure comuni.
Mettici dentro la convinzione che soltanto attraverso la follia dell'amore possiamo dimostrare di appartenere alla famiglia di tuo Figlio.


don Alessandro Pronzato

"C'era la Madre di Gesù... A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca"