30/08/13

Tu sei come una terra... - C. Pavese


Tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C’è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t’ingombrano e vanno nel vento.
Membra e parole antiche.
Tu tremi nell’estate.

Cesare Pavese 
da "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi"  (1945)



28/08/13

Ama e fa' ciò che vuoi - S. Agostino


Molte cose possono avvenire che hanno un'apparenza buona ma non procedono dalla radice della carità: anche le spine hanno i fiori; alcune cose sembrano aspre e dure; ma si fanno per instaurare una disciplina, sotto il comando della carità. 
Una volta per tutte, dunque, ti viene imposto un breve comando: ama e fa' ciò che vuoi; se taci, taci per amore; se parli, parla per amore; se correggi, correggi per amore; se perdoni, perdona per amore; stabilisci nel tuo intimo la radice dell'amore, perché da essa non può procedere altro che il bene.

S. Agostino




Cinquantuno



Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo migliore.
Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace.

Etty Hillesum


25/08/13

La porta stretta - XXI T.O.

Lc 13, 22-30


In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino per Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 
«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: "Signore, aprici!" Ma egli vi risponderà: "Non so di dove siete". Allora comincerete a dire: "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze". Ma egli vi dichiarerà: "Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!" Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primo che saranno ultimi».




In 
guardia 
dal 
rischio 
di 
ricercare 
indicazioni
 statistiche 
in 
base
 alle
 quali
 accontentarsi
 di
 stare
 nella
 media.
 È
 questo,
 infatti,
 il
 retroterra
 da
 cui
 nasce
 la
 domanda
 di
 quel
 tale
 che
 chiede 
a
 Gesù 
se 
sono
 pochi
 quelli
 che
 si
salvano.
Della
 serie:
 se
 non
 sono 
pochi,
 forse 
c’è
 anche
 per 
me 
qualche
 possibilità 
di
 scampo;
 dopo 
tutto
 non
sono
 peggiore
 di 
tanti
 altri.
È 
più
 forte 
di 
noi 
stabilire 
criteri
 di 
vicinanza
 e 
lontananza
 da 
Dio
 convinti 
come
 siamo
 che
 Dio
 usi
 le
 nostre
 stesse
 unità
 di
 misura.
 Per
 fortuna
 non
 è
 così:
 a
 ripercorrere
 il
 vangelo,
 infatti,
si 
resta 
non 
poco 
sconcertati 
nel
constatare
 che, 
stando
 a
 quello 
che 
attesta 
il 
Signore
 Gesù, 
vicini,
 talvolta,
 sono
 proprio
 coloro
 che
 noi
 di
 buon 
grado
 definiremmo 
lontani.
 Lontani, sì,
 ma
 dalla 
nostra
 immagine 
di
 Dio,
 non 
certo 
da
 quella
 che 
Gesù
 ci 
ha 
rivelato: 
vi 
sono 
ultimi
 che
 saranno
 primi
 e
 vi
 sono
 primi
 che
 saranno
 ultimiPubblicani
 e
 peccatori
 vi
 precedono… 
Lontananza 
e
 vicinanza 
non 
si 
misurano
 dalle 
nostre
 postazioni
 ma
 soltanto 
dal
 cuore 
stesso
 di
 Dio,
 il
 cuore
 che
 intravede
 germogli
 là
 dove,
 forse,
 un
 occhio
 meno
 attento
 avrebbe
 riconosciuto
 solo
 desolazione.
 Sarà
 la
 sorpresa
 dell’ultimo
 giorno
 quando
 vedremo
 sedere
 a
 mensa
 quanti,
 magari,
 noi
 abbiamo
 finito
 per
 escludere
 persino
 dalle
 nostre
 assemblee
 eucaristiche
 perché
 abbiamo
 usato
 una
 unità
 di
 misura
 troppo
 basata
 sulla
 ristrettezza
 di
 certe
 nostre
 vedute
 che
 non
 poche 
volte 
va
 di
 pari
 passo 
con 
una
 ristrettezza
 del
 cuore.
A
 quel
 tale 
Gesù
 propone
 di
 andare
 oltre
 la
 formulazione
 di
 una
 domanda 
astratta
 tipica
 delle
 dispute.
Gesù 
risponde 
alla
 domanda
 correggendola 
e 
portandola 
su 
un
 altro 
piano. 
La
 questione,
 infatti,
 non
 è
 da
 porre
 in
 termini
 astratti
 bensì
 personali:
 sforzatevi…
 E
 il
 verbo
 greco 
è 
agonizo, 
da
 cui 
agonia, 
la 
lotta 
estrema
 che
l’uomo 
ingaggia 
per 
strappare 
la 
sua 
vita
 dalle 
mani 
della 
morte.

Dio
 vuole
 che
 tutti
 gli
 uomini
 siano
 salvi 
ma
 questo
 esige
 da
 parte
 dell’uomo
 una
 vera
 e
 propria
 lotta
 da
ingaggiare 
contro
 tutto
 ciò
 che 
finisce 
per 
cristallizzare 
tanto 
la
 vita 
quanto
 la
 fede.
 Accogliere
 la
 gratuità
 del
 dono
 di
 Dio
 si
 traduce
 in
 una
 esistenza
 capace
 di
 ospitalità
 verso
 ogni
 uomo
 vincendo
 –
 attraverso
 la
 lotta,
 appunto
 –
 tutto
 ciò
 che
 esprime
 solo
 un
 criterio 
egoistico 
del 
vivere.
Non
 casuale 
mi 
pare 
l’annotazione 
con 
cui Luca 
apre 
il 
brano
 evangelico 
là
 dove 
riporta 
che
 Gesù
 era
 in
 cammino
 verso
 Gerusalemme.
 Come
 a
 dire
 che
 a
 salvarci
 non
 è
 una
 pretesa
 familiarità 
con 
lui 
o 
chissà 
quale 
frequentazione 
di 
riti. 
A 
salvarci 
è 
soltanto 
la
 disponibilità 
a
 stare
 in
 cammino.
 Si
 salva
 chi
 accoglie
 la
 sfida
 permanente
 del
 cammino,
 chi
 vince
 la
 tentazione 
della 
staticità 
che 
spesso 
si 
declina 
con 
quell’atteggiamento 
di
 sufficienza 
proprio di
 chi 
non
 si 
lascia 
interpellare 
più
 da 
nulla 
e 
perciò
 si
 sente
 arrivato. Accettare 
la
 sfida 
 del
 cammino,
 invece,
 mette
 a
 tema
 il
 rischio
 dell’incontro
 e
 la
 possibilità
 che
 nuove
 domande
 affiorino 
nel 
proprio 
cuore ,
di 
quelle 
che
 inquietano 
e 
perciò 
inducono 
alla
 scoperta 
di 
nuovi itinerari.
Credente
 non
 è
 chi
 ha
 fatto
 della
 sua
 fede
 uno
 status,
 un
 habitus
 ma
 chi
 accetta
 di
 arrischiarsi
 verso
 la
 propria
 Gerusalemme,
 quel
 luogo
 cioè,
 dove
 non
 scontata
 è
 la
 fede
 quando
 la
 derisione,
 la
 sconfitta
 e
 persino
 la
 morte
 sembrano
 smentire
 quanto
 finora
 perseguito 
o 
raggiunto.
La
 porta
 stretta
 da
 attraversare
 dice 
la
 necessità
 di
 farsi
 piccolo
 per
 poter
 essere
 trovati
 idonei 
al 
passaggio. 
Stretta 
la 
porta 
ma 
non 
chiusa 
se 
non 
per 
chi 
non 
accetta 
quel 
percorso 
di ridimensionamento
 che
 porta 
a
 conformare 
la
 propria 
esistenza
 su
 quella
 del 
Signore
Gesù.

Egli 
stesso,
 infatti, 
ha 
conosciuto 
sulla 
sua 
pelle
 la 
necessità 
di 
spogliarsi 
delle 
sue 
prerogative divine
 insegnandoci
 che
 non
 c’è
 altra
 via
 per
 avere
 accesso
 al
 Regno
 se
 non
 quella
 del
 diventare 
bambini,
 del 
farsi
 piccoli.

 

don Antonio Savone


23/08/13

L'abbandono alla divina provvidenza - J.P. de Caussade

Dio parla ancor oggi come parlava un tempo ai nostri padri, quando non c'erano né direttori né metodi. L'ordine di Dio manifestato ad ogni momento costituiva tutta la spiritualità (...). Si sapeva soltanto che ogni momento reca con sé un dovere che si deve adempiere con fedeltà, e questo era sufficiente per le persone spirituali di allora, e tutta la loro attenzione vi si concentrava costantemente. (...)
Tali erano i moventi segreti del comportamento di Maria, la più semplice e la più abbandonata delle creature. La risposta che diede all'angelo, quando si limitò a dirgli: Fiat mihi secundum verbum tuum, esprime tutta la teologia mistica dei suoi avi. Tutto si riduceva, come adesso, al più puro e semplice abbandono dell'anima alla volontà di Dio sotto qualunque forma si presentasse. (...) Era questa divina volontà che la guidava in tutto: le sue occupazioni, sia che fossero comuni o particolari, ai suoi occhi non erano che ombre più o meno luminose nelle quali ella trovava costantemente il motivo di glorificare Dio e di riconoscere le operazioni dell'Onnipotente. (...) Ben poco questa realtà straordinaria appare però nella santa Vergine; almeno non è quello che la Scrittura mette in risalto di lei. la sua vita ci è presentata esteriormente in modo molto semplice e comune. maria fa e soffre quello che fanno e soffrono le persone della sua condizione: va a visitare la cugina Elisabetta e come lei ci vanno gli altri parenti. Va a farsi iscrivere a Betlemme, e anche gli altri ci vanno e trova rifugio in una stalla, in conseguenza della sue povertà. Ritorna a Nazareth, da cui l'aveva allontanata la persecuzione di erode, e qui Gesù e Giuseppe vivranno del loro lavoro assieme a lei. Ecco il pane quotidiano della sacra Famiglia.
Ma di quale pane si nutre la fede di Maria e di Giuseppe, qual'è il sacramento dei loro sacri momenti? (...) Quello che è visibile è simile a quanto accade a tutti gli altri uomini; ma l'invisibile che la fede scopre e riconosce è Dio stesso che opera cose grandissime. (...) Tu dai Dio sotto apparenze vili come una stalla, la mangiatoia, il fieno, la paglia. Ma a chi ti dai? Esurientes implevit bonis. io si rivela ai piccoli nelle più piccole cose, mentre i grandi, limitandosi all'esteriorità, non lo scoprono nemmeno nelle grandi.
Ma qual'è il segreto per trovare questo tesoro, questo granello di senape, questa dracma? Non c'è nessun segreto; questo tesoro è dovunque e si offre a noi in ogni tempo, in ogni luogo. Non solo Dio, ma tutte le creature, amiche e nemiche, lo versano a piene mani e lo fanno scorrere attraverso tutte le facoltà dei nostri corpi e delle nostre anime fino al centro dei nostri cuori: apriamo la bocca ed essa ne sarà riempita. L'azione divina inonda l'universo, penetra in tutte le creature, le colma di sé; dovunque esse sono le c'è; le precede, le accompagna, le segue. Si tratta solo di lasciarsi trasportare dalle sue onde. (...)

C'è un tempo in cui l'anima vive in Dio e ce n'è uno nel quale Dio vive nell'anima. (...) Quando Dio vive nell'anima, questa deve abbandonarsi totalmente alla sua provvidenza; quando l'anima vive in Dio, essa si munisce con cura e con regolarità di tutti i mezzi che ritiene in grado di condurla a questa unione. Tutti i suoi pensieri, le sue letture, i suoi programmi, le sue revisioni, sono fissati; è come se avesse una guida al fianco da cui tutto è regolato, perfino il tempo di parlare.
Quando Dio vive nell'anima, essa non ha più niente che le venga da se stessa. Non ha che quello che le dà, in ogni momento, il principio che la sorregge: nessuna provvista, non più vie tracciate; è come un bambino che viene condotto dove si vuole e che ha solo il sentimento per distinguere le cose che gli si presentano. Non ci sono più libri indicati per quest'anima; molto spesso essa è priva di un direttore fisso e Dio la lascia senz'altro appoggio che lui solo. La sua dimora è nelle tenebre, nell'oblio, nell'abbandono, nella morte e nel nulla. Sente i suoi bisogni e le sue miserie senza sapere da dove né quando le verrà il soccorso. Attende in pace e senza inquietudine che venga chi l'assisterà, i suoi occhi guardano soltanto il cielo. E Dio, che non potrebbe trovare nella sua sposa disposizioni più pure di questa totale rinuncia a tutto quello che essa è - per non essere che per grazia e per operazione divina - le fornisce al momento opportuno i libri, i pensieri, la conoscenza di se stessa, gli avvertimenti, i consigli, gli esempi dei giusti. 
Tutto quello che le altre anime trovano con la loro iniziativa, quest'anima lo riceve nel suo abbandono, e ciò che le altre conservano con precauzione per ritrovarlo al momento opportuno, quest'anima lo riceve al momento del bisogno e poi lo abbandona, non volendo possedere se non quello che Dio vuol concederle, per non vivere che per mezzo di lui. Le altre intraprendono per la gloria di Dio un'infinità di cose; questa spesso è in un angolo della terra come un coccio di vaso rotto da cui non si può più trarre alcuna utilità. Lì quest'anima abbandonata  dalle creature (...)spesso ignora a che possa servire, ma lo sa bene Dio. Gli uomini la credono inutile e le apparenze favoriscono questo giudizio; ma non è meno vero che, attraverso risorse segrete e canali sconosciuti essa spande un'infinità di grazie su molte persone che spesso non se ne rendono conto e alle quali lei stessa non pensa.
Tutto è efficace, tutto predica, tutto è apostolico in queste anime solitarie. Dio conferisce al loro silenzio, al loro riposo, al loro oblio, al loro distacco, alle loro parole, ai loro gesti, una certa efficacia che opera nelle anime a loro insaputa. E poiché esse sono influenzate dalla presenza occasionale di mille creature di cui la grazia si serve per istruirle quasi inconsciamente, così a loro volta servono da sostegno, da guida a parecchie anime, senza che vi sia nessun legame palese né un impegno esplicito per ciò. e' Dio che opera in loro, ma con interventi imprevisti e spesso sconosciuti: (...) esse non percepiscono affatto il fluire di questa potenza e nemmeno vi contribuiscono con la loro cooperazione. Sono come un profumo nascosto che si avverte senza conoscerlo e che ignora  esso stesso la propria virtù. (...)
Si tratta dunque di una dipendenza dal beneplacito di Dio e di una passività continua per essere e per agire mossi dalla volontà divina.  Bisogna sottolineare bene che si tratta della sua volontà nascosta, della sua volontà improvvisa, occasionale e, potremmo dire, imprevedibile. La chiamerò, se volete, volontà di pura provvidenza, per distinguerla da quella che ci indica i doveri precisi da cui nessuno si deve dispensare. (...)
Da questo deriva che la loro vita, benché molto straordinaria, non presenta tuttavia niente che non sia comune e del tutto ordinario (...). Anche se le osserviamo nelle altre cose, niente, appare di notevole né di particolare; sono totalmente immerse nel corso degli avvenimenti ordinari e quello che potrebbe distinguerle non cade sotto gli occhi.  
E' questa continua dipendenza che le vincola alla volontà suprema, che sembra disporre tutto per loro. Questa volontà le rende costantemente padrone di se stesse mediante la sottomissione abituale del loro cuore. Questa volontà, inoltre, sia che esse vi cooperino espressamente, sia che vi obbediscano senza accorgersene, le impegna al servizio delle anime. 
Non vi sono né onori né vantaggi per un tale compito, svolto nella più grande inutilità agli occhi del mondo.  (...)
Mi sembra che sia facile concludere da tutto ciò che queste anime abbandonate non possono, come le altre, occuparsi di desideri, di ricerche, di sollecitudini, né legarsi a certe persone, entrare in certi progetti, prescriversi certi sistemi metodici o schemi studiati di parlare, di agire, di leggere. Tutto ciò presupporrebbe che possano disporre ancora di se stesse, cosa che la situazione di abbandono in cui si trovano esclude di per sé. E questo uno stato in cui si arriva ad appartenere a Dio attraverso una cessione piena e totale di tutti i propri diritti su se stessi: sulle proprie parole, azioni, pensieri e comportamenti; sull'impiego del proprio tempo e su tutte le situazioni che possono prodursi. Una sola cosa rimane da fare, ed è quella di aver sempre gli occhi fissi sul Signore che si è scelto e di restare incessantemente in ascolto per intuire e conoscere la sua volontà ed eseguirla con prontezza. (...)
Si lascia dunque agire Dio in tutto, non riservando per sé che l'amore e l'obbedienza al dovere presente; e su questo punto l'anima agirà senza mai stancarsi. Insomma, quest'anima è attiva in tutto quello che le prescrive il dovere presente, ma passiva e abbandonata per tutto il resto in cui non mette niente di suo se non l'attendere nella pace la mozione divina.
Niente è più sicuro di questa semplice via, come non c'è niente di più chiaro, di più facile, di più dolce, né di meno soggetto all'errore e all'illusione. (...) Per tutto il resto si manterrà in una totale libertà, sempre pronta a obbedire alle ispirazioni della grazia non appena si faranno sentire, pronta sopratutto ad abbandonarsi alle sollecitudini della Provvidenza. (...)
Di quando in quando si troveranno delle persone verso le quali, senza conoscerle e senza sapere donde vengono, si sentirà una segreta fiducia ispirata da Dio nel tempo della privazione: è questo un segno che egli vuole servirsene per comunicare alle anime qualche nuova luce, anche se soltanto in modo passeggero.
Esse allora chiedono consiglio e seguono con estrema docilità quanto viene loro suggerito; ma in mancanza di quest'aiuto si attengono alle norme che sono state date loro dal primo direttore spirituale. così sono sempre realmente dirette, o attraverso gli antichi principi ricevuti un tempo, o ad opera di questi consigli occasionali, e si affidano ad essi fino a che Dio non manderà delle persone a cui affidarsi nuovamente del tutto, o le toglierà da questo mondo dopo che hanno camminato nell'abbandono guidate solo da lui.

tratto da
Jean-Pierre de Caussade, "L'abbandono alla divina provvidenza"


19/08/13

Cinquanta

"... E se tu dai tanta importanza a te stessa, ti agiti e fai chiasso, allora ti sfugge quella grande, potente e eterna corrente, che è la vita "

Etty Hillesum