23/09/14

E' sparita la modestia - Alessandro Pronzato

«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)


Ricordare il «principio di Peter»
Per ritrovare la modestia,virtù in via di estinzione, può essere utile ricordare il principio di Peter. E' stato coniato (...) dallo studioso americano Lauerence J. Peter ed è formulato in questi termini precisi, quasi una legge: «In una gerarchia, ogni impiegato tende a salire fino al proprio livello di incompetenza».
Applicato al nostro tema: c'è gente che si guadagna numerose benemerenze, una giusta fama, stima e perfino popolarità in un campo specifico, dove ha fornito ottime prove di sé. E succede spesso che venga "promossa" grazie a quegli indiscussi meriti acquisiti in un settore preciso, a esprimere giudizi, oltre che su quello che è il suo territorio familiare, su cose diverse, fino ad essere annoverata tra i "tuttoogi". E così raggiunge inevitabilmente, anche se finge di non accorgersi, il suo livello di incompetenza. 
E allora diventa indisponente per la supponenza e la sicurezza, la boria e talvolta perfino l'arroganza che ostenta su problemi, fatti e avvenimenti, che trascendono la sua preparazione ed esulano dal campo in cui è veramente esperta. (...)

C'è bisogno di servi inutili
Al di là del "principio di Peter", c'è una frase pronunciata da Gesù che dovrebbe mettere in crisi certi atteggiamenti pretenziosi, altezzosi, da "padroni del vapore", di individui che sembrano avere il "complesso del Padreterno" (ma Lui, per fortuna, non è così!).
«Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"» (c 17,10). (...)
Direi che oggi non scarseggiano i servi.
Il guaio è che si nota una evidente sproporzione tra il numero imponente di servi che si ritengono necessari, perfino indispensabili, si illudono di aver fatto cose grandiose (e quindi pretendono si conoscano, ne siano tutti informati...) e un numero striminzito di servi inutili.
C'è bisogno di "servi inutili", se si vuole che la vigna del Signore venga coltivata e non semplicemente "illustrata".
Necessitano operai che trovino la gioia nel faticare per Dio e il suo Regno nell'oscurità, e non nell'esibire in vetrina le loro sensazionali imprese che, sovente, di sensazionale hanno soltanto il ridicolo dell'immodestia.
Troppi "servi" oggi sono impegnati a presentare programmi grandiosi, annunciare iniziative (naturalmente) coraggiose, proclamare svolte (naturalmente) determinanti... 
Il fatto è che, a cominciare da Maria di Nazaret, la storia - anche se non viene scritta nei testi ufficiali - la fanno i "servi inutili", non i maggiordomi decorativi, i camerieri loquaci, i pavoni che abbelliscono i cortili e i dintorni del palazzo, i trombettieri del re.
La storia la fanno gli umili faticatori che mettono a disposizione del Signore una schiena da piegare e un sorriso che impedisce loro di smarrire il senso delle proporzioni. 
E quando sollevano la testa dalla zappa familiare, non lo fanno per ricevere la corona d'alloro, ma per tergersi il sudore. E se rimane loro ancora un po' di fiato, riesocno solo a mormorare «Signore, aiutaci a non prenderci troppo sul serio».  (...)

Domande provocatorie
Allorché mi capita sotto gli occhi un certo brano della Lettera ai Romani, vengo attirato irresistibilmente da due domande provocatorie di Paolo che mi scatenano fantasie cattive: «Chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere?» (11,34).
Mi verrebbe da obiettare: conosco parecchie persone che danno a vedere, con la spavalda sicurezza che ostentano, di conoscere anche i pensieri più reconditi del Signore, anzi di detenerne l'esclusiva.
Quanto ai consigli, tutti ne siamo impediti dalla considerazione elementare che, a cose fatte, al massimo si può protestare, ma i consigli risultano ormai inutili. Il Signore, purtroppo, ci mette di fronte al fatto compiuto.
Quella volta che Cristo ha presentato all'attenzione dei discepoli un progetto di viaggio non precisamente piacevole, Pietro - consigliere neppure interpellato - non ha esitato a dissuadere il Maestro con una certa vivacità. E il suo suggerimento è stato interpretato come una tentazione (cfr. Mt 17,23).
Io sospetto che se il Creatore, prima di munire l'uomo della libertà, avesse interpellato qualche teologo, avrebbe ricevuto qualche consiglio non propriamente incoraggiante di andarci piano, magari accompagnato da minacce di... dissociazione dal progetto.
E ho motivo di sospettare che se Cristo avesse sottoposto all'approvazione di una commissione di esperti la parabola del figliol prodigo, o il metodo che intendeva seguire nella vicenda scabrosa della donna adultera, o la rispsota che avrebbe dato alla petizione del buon ladrone, probabilmente sarebbe stato invitato a modificare il finale. Si rischiava di incoraggiare un certo lassismo nei costumi, si poteva cogliere un incoraggiamento alla disobbedienza, c'era il rischio di presentare una visione in chiave di facilità della salvezza. (...)

E poi ci sono quelli che, non potendo dare consigli a Dio, si fanno disinvolti e perfino spregiudicati consiglieri degli altri a nome di Dio. Non riuscendo a essere "micorfoni" di Dio, si accontentano di farsi suoi "altoparlanti".
E' il caso di ripeterci con frequenza quell'esclamazione: «O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio... » (Rm 11,33).
E noi rimaniamo, nonostante i nostri scavi più arditi, solo alla superficie. Sfioriamo i piccoli frammenti di quella ricchezza.  E la nostra testa e il nostro cuore sono così piccoli rispetto a quella sapienza e scienza (anche se la bocca, invece, è sempre un po' troppo larga...).
Un pressante invito alla modestia ci viene pure dall'altra domanda: «hi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio?» (Rm 11,35).
Prestazioni virtuose (ricordate i fioretti dei "bei tempi antichi"?), sacrifici, rinunce, atti eroici, opere buone, perfino voti. Inutile coltivare illusioni: non arriviamo per primi.
Dio ci precede immancabilmente.
I suoi doni, le sue meraviglie sono sempre in anticipo sui nostri slanci e le nostre iniziative. Tutto quello che facciamo per Lui non è altro che una minuscola restituzione o, se vogliamo, una maniera - comunque insufficiente - di dire grazie.
Ci convincessimo di questo, vivremmo il nostro rapporto religioso con maggior impegno e, nello stesso tempo, con maggior serenità e minori tensioni. 
Un credente tormentato e angosciato è un beneficiato in ritardo di molti "grazie".

Il cuore docile
Il discorso della modestia conduce necessariamente a parlare di docilità.
I tuttologi e gli opinionisti pontificanti oggi, se avessero un po' di tempo, dovrebbero rileggersi la famosa preghiera di Salomone per ottenere il dono della sapienza (cfr. 1Re 3,6-9).
Nella preghiera di Salomone si avverte di primo acchito un timbro di autenticità. Non recita davanti a Dio la parte del'umile, di chi afferma di non essere degno... e aspetta di sentirsi dire che non è vero.
Lui si presenta così com'è. Confessa le proprie insufficienze e i propri limiti. Si riconsoce "un ragazzo". Inesperto, sprovveduto, per nulla sicuro di sé.
E' più che legittimo il sospetto che la sicurezza sia, il più delle volte, frutto di presunzione. (...)
Salomone non sbandiera i propri titoli. Non vanta alcuna specializzazione. Né tira fuori ridicole e iopocrite giustificazioni (...). Si dichiara disponibile a ricevere. Dopo che gli è stata conferita l'autorità, si aspetta... tutto il resto che, in un certo senso la giustifichi.
Il re non si mostra preoccupato per la propria faccia, il successo, la popolarità. Gli sta a cuore il bene altrui. sa che se commette qualche sciocchezza, non compromette tanto il proprio prestigio, ma ne vanno di mezzo delle persone di cui è responsabile.

Comincia ad imparare...
 Salomone non ci tiene ad apparire come uno che sa. Si considera, piuttosto, uno che deve imparare, comincia ad imparare.
Ottenere da Dio "un cuore docile", non significa infatti accumulare un sapere, ma mettersi in ascolto.
Dio gli concede "un cuore saggio e intelligente", non un "deposito" di verità, di ricette, di risposte prefabbricate soltanto da utilizzare. Ossia, in pratica, gli promette che ogni giorno lo istruirà, gli farà capire qualcosa, lo correggerà, lo rirpenderà se è il caso.
Salomone non ottiene un possesso definitivo in partenza, un bagaglio di scienza che nessuno dovrà più attentarsi a mettere in discussione. Si garantisce, invece, la possibilità di vedere, esaminare, capire, decidere in maniera giusta di volta in volta. Oserei dire: l'unica sicurezza che chiede è quella di... non essere troppo sicuro di sé.  Ossia la certezza del dubbio quotidiano. (...)
Col cuore docile non si esita a mettersi in discussione (e a lasciarsi mettere in discussione) e, quando è il caso (e lo è sovente...), riconoscere gli sbagli.

Rovesciare troni e cattedre
Maria, tu nel Magnificat hai esaltato l'azione di Dio che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili (Lc 1,52).
Tra i troni da abbattere c'è anche quello su cui si è installato e resiste tenacemente il nostro orgoglio, affiancato da quelle insopportabili zitelle che sono la supponenza, l'arroganza, la boria, la saccenteria, la spocchia, la vanità, l'alterigia, la sicumera, la sufficienza (te la raccomando quella famiglia!).
Abbiamo bisogno di essere sottoposti a questo rivoluzionario ribaltamento per ritrovare, al posto della superbia detronizzata, la gioia dell'umiltà, della modestia, della semplicità, della discrezione.
Fa' che il tuo dichiararti ed essere "serva", capace di scomparire felicemente nel Signore, e fare "oscuramente" la sua volontà (...) cancelli ogni nostra pretesa di brillare nel teatro mondano, ci aiuti a respingere ogni tentazione di appropriarci della gloria che a Lui solo appartiene, sconfessi i nostri goffi atteggiamenti da "protagonisti", ci faccia scoprire il ridicolo del nostro stile di individui che si ritengono indispensabili.
Maria, convinci la Chiesa a scendere dal trono di una apologetica trionfalistica, per riconoscere umilmente anche i propri errori e non solo rivendicare le benemerenze. Perché una Chiesa che non confessi apertamente le proprie colpe non potrà mai essere la Chiesa della misericordia.
Maria, dopo aver pregato come Salomone per ottenere il dono della sapienza, rinunciando alla nostra tronfia scienza, noi abbiamo la fortuna di trovare in te l'illustrazione vivente di un "cuore docile". Fa' che ne approfittiamo. 
Docile vuol dire, praticamente, disposto ad imparare. 
Maria, ti autorizziamo a rovesciare impietosamente le nostre cattedre pretenziose - ambulante e permanenti -, perché possiamo ritrovare il gusto di "lasciarci insegnare".


don Alessandro Pronzato

tratto da "C'era la Madre di Gesù. A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca"
 

14/09/14

Il nome di Gesù - Fil 2,6-11




 Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio;
ma svuotò se stesso,
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo

umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.

 Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami
«Gesù Cristo è Signore!», 
a gloria di Dio Padre.

 Fil 2, 6-11

Trinfo del Nome di Gesù - G.B. de Gaulli (1674-1679)