27/02/14

La passione delle pazienze - Madeleine Delbrêl


La passione, la nostra passione, sì, noi l'attendiamo.
Noi sappiamo che deve venire, e naturalmente intendiamo
viverla con una certa grandezza.
Il sacrificio di noi stessi: noi non aspettiamo altro che
ne scocchi l'ora.
Come un ceppo nel fuoco, così noi sappiamo di dover
essere consumati.
Come un filo di lana tagliato dalle forbici, così dobbiamo
essere separati.
Come un giovane animale che viene sgozzato, così dobbiamo
essere uccisi.
La passione, noi l'attendiamo. Noi l'attendiamo, ed essa non viene.

Vengono, invece, le pazienze.
Le pazienze, queste briciole di passione,
che hanno lo scopo di ucciderci lentamente per la tua gloria,
di ucciderci senza la nostra gloria.

Fin dal mattino esse vengono davanti a noi:
sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti,
è l'autobus che passa affollato,
il latte che trabocca, gli spazzacamini che vengono,
i bambini che imbrogliano tutto.
Sono gl'invitati che nostro marito porta in casa
e quell'amico che, proprio lui, non viene;
è il telefono che si scatena;
quelli che noi amiamo e non ci amano più;
è la voglia di tacere e il dover parlare,
è la voglia di parlare e la necessità di tacere;
è voler uscire quando si è chiusi
è rimanere in casa quando bisogna uscire;
è il marito al quale vorremmo appoggiarci
e che diventa il più fragile dei bambini;
è il disgusto della nostra parte quotidiana,
è il desiderio febbrile di quanto non ci appartiene.

Così vengono le nostre pazienze, in ranghi serrati o in fila indiana,
e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi.

E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando –
per dare la nostra vita – un'occasione che ne valga la pena.
Perché abbiamo dimenticato che come ci sono rami
che si distruggono col fuoco, così ci son tavole che
i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura.
Perché abbiamo dimenticato che se ci son fili di lana
tagliati netti dalle forbici, ci son fili di maglia che giorno
per giorno si consumano sul dorso di quelli che l'indossano.
Ogni riscatto è un martirio, ma non ogni martirio è sanguinoso:
ce ne sono di sgranati da un capo all'altro della vita.

E' la passione delle pazienze.


Madeleine Delbrêl
 




25/02/14

Una madre dal cuore aperto (E.G.) - papa Francesco

dalla «Evangelii Gaudium», esortazione apostolica 2013



V. Una madre dal cuore aperto

46. La Chiesa "in uscita" è una Chiesa con le porte aperte. Uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l'ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada. A volte è come il padre del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte perchè quando ritornerà possa entrare senza difficoltà.

47. La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte. Così che, se qualcuno vuole seguire una mozione dello Spirito e si avvicina cercando Dio, non si incontrerà con la freddezza di una porta chiusa. Ma ci sono altre porte che neppure si devono chiudere. Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale sopratutto quando si tratta di quel sacramento che è "la porta", il Battesimo. 
L'Eucarestia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c'è posto per ciascuno  con la sua vita faticosa.
48. Se la Chiesa intera assume questo dinamismo missionario deve arrivare a tutti, senza eccezioni. Però chi dovrebbe privilegiare? Quando uno legge il Vangelo incontra un orientamento molto chiaro: non tanto gli amici e vicini ricchi bensì sopratutto i poveri e gli infermi, coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati, «coloro che non hanno da ricambiarti» (Lc 14,14). Non devono restare dubbi né sussistono spiegazioni che indeboliscano questo messaggio tanto chiaro. Oggi e sempre «i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo» (Benedetto XVI, Discorso ai vescovi del Brasile, 2007), l'evangelizzazione rivolta gratuitamente ad essi è segno del Regno che Gesù è venuto a portare. Occorre afferrare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli.
49. Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferisco una chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualche cosa deve sanamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell'amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo trnaquilli, mentre fuori c'è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37).
papa Francesco

22/02/14

L'amore al nemico - VII T.O.

Mt 5,38-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».


 La liturgia di questa domenica ci regala il capitolo 19° del libro del Levitico (Lv 19, 1-2. 17-18) come prima lettura, che è una chiave perfetta per entrare nel testo; infatti la prima frase della liturgia della parola (la 1 lettura) e l'ultima (del Vangelo) si richiamano l'un con l'altra.
Comincia la 1 lettura dicendo così:
Il Signore parlò a Mosè e disse:
«Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo».
 Se andiamo a vedere l'ultima frase del Vangelo dice così:
Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
Il "siate santi perché io sono santo" diventa nel Nuovo Testamento "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". E' chiaro che nel concetto di "santità" la perfezione è inclusa; ma notiamo che il cambiamento non è solo su "santità" e "perfezione", termini tra loro in analogia, ma c'è qualcosa di profondamente diverso: il "siate santi perché io, il Signore vostro Dio sono santo" nel nuovo Testamento diventa "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". Tra un "Signore" e un "Padre", c'è una grande differenza! Un "Signore", secondo quanto normalmente si intende, è un padrone; un "Padre" ha una relazione di generazione, un'intimità.
Infatti, di cosa parla il Vangelo di questa domenica?
Siamo ad uno dei punti più alti e paradossali della dottrina evangelica:
se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. (...)  Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli.
Qui abbiamo a che fare con l'amore al nemico, l'amore a colui che mi schiaffeggia; a colui che ruba pure il vestito, che strappa, attraverso i cavilli della giustizia, anche il mantello, la tunica; a colui che costringe ad accompagnare per un miglio - qui non si fa ovviamente riferimento non ad uno che ti chiede di fare una passeggiata più lunga! ma a qualcuno che ti chiede di fare un lavoro con un carico che va oltre la misura che nella legge rabbinica del tempo veniva concepita come la misura massima di peso da portare sulle spalle, che poteva essere richiesta ad uno schiavo - per cui significa rischiare proprio l'incolumità fisica.
Siamo di fronte ad ingiustizie, siamo di fronte ad aggressioni, siamo di fronte a violenze, a contrapposizioni... Rispondere al male con l'amore. Come si può fare questo? Da dove nasce questo?
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”
Un conto è il prossimo, ma il nemico ti distrugge... il nemico ti ammazza.
E allora cosa fare di fronte a questo Vangelo che pretende che noi trattiamo il nemico come l'amico, che noi siamo buoni con i cattivi
 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano (...) Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?


Ma qui tutto quello che viene richiesto è straordinario! Ma come si può chiedere "siate santi perché io sono santo"? Ma c'è una differenza tra Dio e l'uomo abissale... oppure no? Oppure questa differenza è stata annullata? Oppure questa distanza, che noi attraverso il peccato cerchiamo grottescamente di cancellare, autoprogrammandoci dèi della nostra esistenza... in realtà questa distanza si annulla per un'altra strada?
Curioso: nella Genesi il serpente chiedeva ad Eva di diventare come Dio. Anche qui si parla di diventare come Dio, di diventare suoi figli, di essere santi come lui è santo... ma qual'è la strada? La strada è l'amore.
Noi cerchiamo di ottenere rispetto da parte degli altri, rispondiamo con la violenza, ci facciamo rispettare sbraitando, urlando... e così la nostra dignità è salva. Invece qui si dice che attraverso l'amore uno acquisisce una dignità molto più alta di quella che gli altri mi potranno mai riconoscere: la dignità di figlio di Dio.
Ma come funziona questa cosa così grande, sicché non c'è uomo così libero quanto l'uomo che può perdonare? Non c'è un uomo così autonomo quanto l'uomo che può resistere al male altrui con dolcezza? Non c'è uomo più riscattato dalla schiavitù di un uomo che è libero interiormente da ogni rabbia, da ogni rancore.
Ma come si fa'?
Qui non è una questione di autoreferenzialità: cioè, adesso noi ci mettiamo ad esere santi, adesso noi ci mettiamo a fare i perfetti, adesso noi ci mettiamo ad amare il nemico... così come un'intenzione che parte da noi. No! La chiave straordinaria di questo testo, è che c'è qualcosa della relazione di Dio con me - "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" - che si è manifestata perfetta. C'è qualcosa di meraviglioso che Dio ha fatto con me: la mia misericordia, la mia capacità di perdono, la mia capacità di pregare per chi mi fa' del male, non nasce da me nasce da Dio, nasce dal mio rapporto con Dio. Ovverosia, io per perdonare una persona che mi fa' del male, non devo guardare a lui, devo guardare a come mi ha trattato Dio, devo stare su un latro livello: io devo arrivare all'altro, venendo dal rapporto con Dio.
Se io non sono paziente è perché non ho avuto un rapporto con la pazienza di Dio. Se non sono misericordioso, è perché ho dimenticato o non ho mai aperto il cuore veramente alla pazienza e alla tenerezza di Dio. E' in Dio la soluzione dei nostri conflitti, non nel cercare di convincerci che dobbiamo fare i buoni ... non ci riusciremo mai! Perché questo vorrebbe dire che partiamo da qualcosa che soltanto Dio può fare... ma partiamo da noi stessi. E questo significa che faremmo del cristianesimo una morale, un insieme di cose che devo fare... 
Amare il nemico. Ma come si può amare il nemico, se non perché in noi c'è lo Spirito Santo che abita dentro l'anima? E come possiamo amare il nemico, se non abbiamo visto come Dio ci ha amati, nemici?

Ecco. in questa domenica meravigliosa, ci misuriamo col paradosso cristiano però capendone l'origine: l'origine del nostro essere... o è in Dio o è in noi stessi. In Dio è pietà, in Dio è misericordia, in Dio è tenerezza, in Dio è amore al nemico. Qui è l'origine di una cosa tanto grande e tanto alta, che oggi ci viene chiesta attraverso questo testo.

don Fabio Rosini

21/02/14

Buone opere e preghiera - Giovanni della Croce


«Quelli che sono molto attivi e che pensano di abbracciare il mondo con le loro prediche e con le loro opere esteriori ricordino che sarebbero di maggior profitto per la Chiesa e molto più accetti a Dio, senza parlare del buon esempio che darebbero, se spendessero almeno metà del tempo nello starsene con Lui in orazione, anche se fossero giunti ad un'orazione alta. 
Certamente allora con minor fatica otterrebbero più con un'opera che con mille per il merito della loro orazione e per le forze spirituali acquistate in essa, altrimenti tutto si ridurrà a dare vanamente colpi di martello e a fare poco più che niente, talvolta anzi niente e anche danno. 
Dio non voglia che il sale diventi insipido, poiché allora quantunque sembri che produca all'esterno qualche effetto buono, di fatto non fa niente, essendo certo che le buone opere non si possono fare se non in virtù di Dio.»

San Giovanni della Croce

 

18/02/14

Sessanta

Ci sono individui che cercano di elevare la loro anima come un uomo che salti continuamente a piedi uniti, nella speranza che a forza di saltare sempre più in alto, un giorno, invece di ricadere, riuscirà a salire fino in cielo. Ma mentre è tutto preso da questi tentativi egli non può guardare il cielo. Noi non possiamo fare nemmeno un passo verso il cielo: la direzione verticale ci è preclusa. Ma se guardiamo a lungo il cielo, Dio discende e ci rapisce.

Simone Weil

 

17/02/14

Come pregare? - Enzo Bianchi

Gli insegnamenti di Gesù sulla preghiera.

Gesù pregava. Egli apparteneva a un popolo che sapeva pregare, il popolo che ha creato il Libro dei Salmi e ha trovato nella pratica di preghiera di Israele la norma che ha informato la sua stessa fede. La sua preghiera liturgica era improntata a modi e forme della preghiera giudaica del tempo, com'era vissuta nella liturgia sinagogale e nelle feste al Tempio di Gerusalemme (...) E' da tale fonte che Gesù ha tratto ispirazione per la sua capacità creativa. (...)
Grande rilievo ha, inoltre, la preghiera personale di Gesù. Il suo ministero pubblico è, infatti, intervallato da frequenti "ritiri", sopratutto durante la notte o al mattino presto, per pregare: «in luoghi deserti», «in disparte»,
«da solo», «sul monte» (Mt 14,23; Mc 1,35; 6,46; Lc 5,16; 9,18.28), in particolare, «secondo il suo solito, sul monte degli Ulivi» (Lc 22,39). Luca è l'evangelista che inisiste maggiormente sulla preghiera di Gesù, collegandola ai momenti salienti della sua vita e della sua missione (...).
Quella di Gesù è una preghiera personalissima, in cui egli si rivolge a Dio chiamandolo "Papà", con la sfumatura di particolare intimità e confidenza insita nel termine aramaico Abba: essa è porta d'accesso al mistero della sua personalità, tutta sotto il segno della filialità nei confronti del Padre amato. E a Gesù, che prega con insistenza e perseveranza, il Padre risponde entrando con lui in dialogo: «Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato» (Sal 2,7; Eb 1,5; cfr. Mc 1,11), parole che trovano nell'oggi della resurrezione il loro compimento (cfr. At 13, 32-33).
E' a partire dalla sua esperienza di preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli a pregare, e lo ha fatto attraverso un'interpretazione autorevole dell'insegnamento relativo alla preghiera contenuto nella Scrittura e nella tradizione da lui ricevuta. E' dunque essenziale alla preghiera autentica accolgiere i consigli per la preghiera dati da Gesù ai discepoli e e da questi ascoltati, conservati, consegnati alle comunità cristiane, quindi vissuti dai credenti fino ad essere depositati come Scrittura nei Vangeli. Queste indicazioni sono ancora oggi le linee spirituali e pastorali essenziali per la preghiera cristiana. Prima di esaminarle più da vicino, va ricordato che Gesù ha riassunto il suo insegnamento nell'orazione del "Padre nostro", definito giustamente "compendio di tutto il Vangelo" (Tertulliano). In verità il Pater noster (...) più che una formula rigida, costituisce ubna sintesi delle indicazioni di Gesù sparse come semi nei quattro vangeli: è una traccia (...) capace di ricapitolare l'essenziale della preghiera cristiana.

a) PRIMA DI PREGARE, RICONCILIATI CON IL TUO FRATELLO (cfr. Mt 5,23-24; Mc 11,25)
Nel momento stesso in cui il cristiano si rivolge a Dio chiamandolo Padre, deve essere consapevole che egli non compie da solo questa invocazione, ma la esprime insieme a dei fratelli: dice «Padre», ma subito aggiunge «nostro». (...) La riconciliazione con il fratello e l'amore che si spinge fino al nemico, fino alla volontà di fare il bene a chi ci fa del male (cfr. Lc 6,27): ecco l'atteggiamento che deve accompagnare l'inizio di ogni dialogo con il Signore. Se si dimentica questopreliminare, si depaupera gravemente la preghiera, fino a vanificarla. Lo scopo della preghiera, che è la comunione, è infatti contraddetto dalla situazione di divisione e di odio vissuta dall'orante: come si può pretendere di dialogare con Dio, che ci ha amati mentre eravamo nemici, e di parlare con lui che non si vede, se non si sa perdonare o non si vuole comunicare con il fratello che si vede (cfr. 1Gv 4,20)? (...)
 
b) QUANDO PREGHI, RITIRATI NELLA TUA CAMERA (Mt 6,6)
Il credente vive la sua fede nella comunità, la esprime nella liturgia [che ha il culmine nella celebrazione dell'Eucarestia] preghiera di tutta la Chiesa, e deve pregare insieme agli altri fratelli e sorelle, facendo della preghiera comune la migliore scuola di preghiera personale. (...)
La liturgia è, dunque, l'ambiente vitale in cui crescere nella fede e nella comunione con il Signore.
Tuttavia, la preghiera comune non è sufficiente: essa necessita dell'interiorizzazione, della gratuità di chi dà del tu a Dio personalmente, quando gli altri non sono fisicamente accanto a lui. Pregare nella solitudine, in disparte, non è una forma di individualismo, bensì la possibilità di incontrare Dio quali figli nel segreto del cuore, accettando su di sé quello sguardo penetrante del Dio che conosce, guarda, parla a ciascuno in modo irripetibile e unico. L'invito di Gesù a pregare nel segreto non è solo un antidoto all'ipocrisia di chi prega per essere visto e ammirato dagli altri (cfr. Mt 6,5), ma indica un modo di dialogo amoroso e intimo con Dio, "faccia a faccia" con l'Invisibile... Sì, la preghiera personale è l'occasione di rivolgersi a Dio con libertà, di accogliere nello svolgersi del tempo la sua Presenza, di percepire il suo approssimarsi, il suo stare alla porta e bussare (cfr. Ap 3,20), il suo visitarci con premura. Un orante che si nutre unicamente di preghiera comune rischia di fare di quest'ultima solo un'esperienza di appartenenza al gruppo, se non una sorta di esibizione di fronte agli altri...
Ebbene, oggi è proprio la preghiera personale ad essere maggiormente trascurata, e questa situazione rischia a lungo terminedi svuotare anche la verità della stessa preghiera liturgica. (...) Suonano come un monito ancora attuale le parole di Martin Buber: «Se credere in Dio significa poter parlare di lui in terza persona, non credo in Dio. Se credere in lui significa potergli parlare, allora credo in Dio» (...)

c) TUTTO CIO' CHE CHIEDERETE NEL MIO NOME LO FARO' (Gv 14,13)
Pregare è anche chiedere a Dio ciò di cui abbiamo bisogno, ma chiederlo nel Nome di Gesù. Questo da un lato significa unire la nostra preghiera a quella di Gesù, che «alla destra di Dio intercede per noi» (Rm 8,34; cfr. Eb 7,25); ma, sopratutto, accordare la nostra preghiera con la sua, cioè avere in noi gli stessi sentimenti e gli stessi pensieri che furono in lui. Fine della preghiera, infatti, è ottenere che noi facciamo la volontà di Dio, non che Dio faccia la nostra: non le nostre preghiere trasformano il disegno d'amore di Dio su di noi, ma sono i doni che Dio concede nella preghiera a trasformare noi e a mettereci in sintonia con la sua volontà! Ecco perché, se si prega nel Nome di Gesù - sconcertante ma vero - , si è già esauditi (cfr. Gv 15,16; 16, 23-24), avendo posto come primato su tutto la volontà di Dio che si compie in noi e in utte le creature del cielo e della terra: questo primato è stato la sete di Gesù lungo tutta la sua vita, è stato il suo cibo quotidiano (cfr. Gv 4,34)... A tale esaudimento occorre credere, perché tutto diventa possibile a colui che ha fede (cfr. Mc 9,23; 11,24; 1Gv 5,14-15) (...).

d) PREGARE CON UMILTA', COME IL PUBBLICANO (cfr Lc 18,9-14)
L'orgoglio, il disprezzo degli altri, la sopravvalutazione di se stessi sono tutti impedimenti alla preghiera; al contrario affermare con convinzione come il pubblicano della parabola «O Dio, abbi piteà di me, peccatore» (Lc 18,13), è la prima parola per rivolgersi a Dio. Nessuna auto-esaltazione è possibile di fronte al Dio tre volte Santo, ma solo la conoscenza del proprio peccato (...) Nel vangelo di Luca - come si è già accennato - il modello di tale disposizione interiore è il pubblicano, il peccatore giustificato perché presentatosi a Dio in quell'umiliazione che, sola, può èreludere all'umiltà (...)
La relazione tra Dio e l'uomo nella preghiera va posta nell'intima verità dei protagonisti di tale incontro: il Creatore e la creatura, il Padre prodigo d'amore e il figlio perduto e ritrovato, il Medico e il malato, il Santo e il peccatore.

e) PREGARE INSIEME, ACCORDANDOSI CON I FRATELLI (cfr. Mt 18, 19-20)
Se è vero che anche la preghiera solitaria dovrebbe essere fatta in comunione con tutta l'umanità, tale comunione deve essere la nostra preoccupazione principale nel momento della preghiera comune. Cristo Signore, infatti, ha assicurato la sua presenza in tale situazione «Dove sono due o tre riuniti nel mio Nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). L'accento specifico dell'esortazione di Gesù cade sul symphonein, sul far convergere le voci, che ha come esigenza l'accordarsi, il far convergere i cuori, ossia il compiere un cammino verso una comunione profonda di sentimenti, al fine di presentarsi insieme davanti a Dio. La preghiera "sinfonica" fatta sulla terra trova esaudimento nei cieli (cfr. Mt 18,19) (...) Nella preghiera, dunque, non si tratta solo di unire le voci in domande e azioni di grazie, ma di farlo unendo il cuore di tutti. Arte difficile quella dell'accordarsi, ma non si può pregare insieme senza questo cammino faticoso di riconoscimento dell'altro, della sua alterità, della sua differenza, dei suoi doni e del suo servizio nella Chiesa. (...)

 f) PREGARE CON FIDUCIA (cfr Mt 6, 7-8)
E' un consiglio importante che precede l'insegnamento del "Padre Nostro"; ma anche altrove Gesù afferma: «Tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete»  (Mt 21,22). La pregheira cristiana non è come quella dei pagani che affaticano gli dèi moltiplicando le parole e confidando in esse; la nostra fiducia va posta in colui che ci parla e ci chiama alla preghiera: Dio, il Padre. 
La preghiera filiale non si misura, dunque, sulle ripetizioni e sulla lunghezza (cfr. Mc 12,40; Lc 20,47), ma sulla fede che la anima. Infatti, «il Padre nostro sa di quali cose abbiamo bisogno ancor prima che gliele chiediamo» (cfr. Mt 6,8.32), e nessun orante ha da temere che egli gli dia pietre al posto del pane (...) Nessuna paura per chi sa di essere figlio di Dio, per chi è certo di mettere la propria preghiera nelle mani di colui che è nostro avvocato presso il Padre (cfr. 1Gv 2,1). (...) Se anche la nostra coscienza ci rimproverasse, «Dio è più grande del nostro cuore» e ci permette di stare davanti a lui con parresia: senza questa franchezza non c'è vera preghiera cristiana perché essa è alla base della fiducia che anima il credente e la comunità cristiana nel suo insieme.

g) PREGARE SEMPRE, SENZA STANCARSI (cfr. Lc 18,1-8 e 21,34-36)
La preghiera richiede perseveranza, continuità. Più volte Gesù ha chiesto la preghiera senza interruzione. (...) Pregare sempre non significa imepgnarsi nel ripetere continuamente formule o invocazioni, ma vivere un'esistenza contrassegnata da quella che i Padri chiamavano memoria Dei, il ricordo costante di Dio (...). In altri termini, è questione di riconoscere che il Dio vivente è costantemente all'opera nella nostra esistenza e nella storia; di lottare per essere sempre consapevoli della presenza di Dio in noi, ossia della comunione che egli ci dona, perché la accogliamo e la condividiamo con tutti i nostri fratelli e sorelle.
Se c'è questa consapevolezza della presenza di Dio, allora lo Spirito Santo, che prega continuamente in noi, può invaderci talmente con la sua preghiera, da scavare a poco a poco in noi una sorgente d'acqua viva (cfr. Gv 7,38), un torrente che non si arresta. Così perveniamo a una preghiera continua, che non nasce da noi: è un flusso sotterraneo, un costante ricordo di Dio che ogni tanto emerge e diventa preghiera esplicita, ma che non ci abbandona mai. In tal modo possiamo anche farci voce di ogni creatura e di tutto il creato, perché l'universo è un oceano di preghiere che sale a Dio: preghiere inarticolate, gemiti rivolti al Creatore in attesa della manifestazione dei figli di Dio (cfr. Rm 8,19).

 
Enzo Bianchi
 tratto da "Perché pregare, come pregare"