22/04/13

Il pastore e il mercenario - Gv 10, 11-18

Giovanni 10, 11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

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Il Signore Gesù Cristo si pone come pastore e non come mercenario.
L’uomo invece ha la tendenza a farsi condurre da mercenari. L’uomo crede ai suoi idoli, che sono i suoi mercenari, che chiedono tanto in cambio. L’uomo tende sempre a vivere con qualcuno e per qualcuno che lui paga, remunera con la sua propria vita. Noi non crediamo all’amore, non crediamo alla gratuità del Signore, noi non crediamo a questo Buon Pastore: finiremo per credere molto di più a chi, quando arriva il lupo, ci abbandonerà: questo è normale, questo è prevedibile. Infatti aprirsi al Buon Pastore non è facile per niente, perché bisogna anche un po’ denunciare le proprie relazioni; perché se io mi relaziono a qualcuno che affronterà il lupo, affronterà il male per difendermi, riterrà di dover sanguinare per proteggere me, questo vuol dire essere scardinati nella nostra mentalità originaria ed essere condotti ad un altro tipo di logica: la logica per cui, io, se non faccio questo sono un mediocre, se non vivo così sono un mediocre.

Ecco, questo è il Vangelo del Buon Pastore: siamo posti di fronte a questa generosità.
Con questo Vangelo, normalmente, si pensa ai sacerdoti, che sono i pastori.
Cosa cerca la gente nei sacerdoti? Cerca pastori e non mercenari. E piuttosto si rassegna, molto spesso, a non trovare così frequentemente questa generosità.
Noi sappiamo che si può predicare bene, si può gestire bene, si può celebrare in maniera perfetta e trigonometrica, ma poi, al dunque, ciò che veramente tutti quanti stiamo aspettandoci, gli uni dagli altri, è qualcuno che dia il sangue, qualcuno che sia pastore e non mercenario.
Quando ci vediamo avvicinare un coniuge, un figlio, un padre, un amico, ci chiediamo in fondo all’anima: ma costui è un mercenario o è pastore? Viene per me o viene per sé? Starà con me solamente finché gli conviene e al primo pericolo scapperà, o mi sarà fedele?
Certamente il sacerdozio è una chiamata alla perdita della propria vita, come lo è il matrimonio. Certamente, ogni sposo, ogni sposa, spera di trovare nell’altro, non un mercenario, non uno sfruttatore, non una persona che si serva di noi, non un utilitarista, ma qualcuno che ci ami veramente. Certo che l’amore è una chiamata all’indissolubilità: per questo la Chiesa proclama che il matrimonio è indissolubile, ed è grottesco pensare che il matrimonio sia una cosa a termine. Perché l’amore non può essere una cosa che quando arriva il lupo te ne vai; quando non ti conviene più, butti via.  L’indissolubilità è una condizione che viene proprio esplicitata da questo testo.
Questo testo parla di uno che non si ferma di fronte al lupo, che al momento in cui la cosa diventa svantaggiosa si fa quattro calcoli e si tira indietro: è qualcuno che si gioca la propria vita per l’altro. Questo è l’amore: se non c’è questo non c’è amore!
Finché io dico, quello che mi conviene lo faccio o quello che mi piace, che mi appaga lo faccio, quello che non mi conviene, non mi appaga, non lo faccio… io non sono un amatore, io sono un mercenario; io non sono pastore, io non sono un fratello, io non sono uno sposo, io non sono un prete, io non sono un padre.  Questa società vive il dramma delle relazioni che si spezzano; nel cuore delle persone che hanno patito separazioni, frazioni delle proprie famiglie, defezioni nelle relazioni, c’è questo scandalo, questa tristezza, che sta lì, nel profondo dell’anima: non c’è nessuno che affronta il lupo. Quando arriva il lupo sei solo; quando arriva il lupo devi fare i conti solamente con la tua capacità di fuga o di lotta.
 Il Signore Gesù Cristo fa apparire una vita nuova. Per questo i cristiani hanno un amore indissolubile; per questo non conta avere il matrimonio o il sacerdozio, la fraternità o la paternità, o l’amicizia: conta avere lo spirito di Cristo. Conta avere lo spirito del Pastore.

C’è una frase agghiacciante, che richiama questo testo: quando avviene il primo omicidio della storia. Nel testo di Genesi 4, quando Caino uccide il suo fratellino minore, quando Caino devasta per invidia il suo fratello, dopo che l’ha ucciso c’è il grido di Dio “Dov’è Abele, tuo fratello?” E’ un grido che riecheggia anche con Adamo: “Adamo dove sei?”. Ha perso un figlio, con Adamo; ha perso un altro figlio, ancor più gravemente, con Abele. Lo sta cercando, ed è agghiacciante la risposta di Caino: “Non lo so, sono forse il custode di mio fratello?”. Questa è la frase degli assassini, di tutti coloro che non amano: perché non c’è bisogno di togliere la vita fisica a qualcuno per ucciderlo. Basta disinteressarsene.  La frase è: “Sono forse il custode di mio fratello?”. Tradotto dall’ebraico è il termine “pastore”, colui che lo guarda, colui che se ne occupa, colui che ti guarda, colui che si prende cura di te. Da che mondo è mondo, i fratelli maggiori hanno tenerezza per i fratelli minori, li difendono; da che mondo è mondo è naturale pensare che il fratellino piccolo dica: “Chiamo mio fratello più grande a difendermi!”. Ecco: meglio non chiamarlo questo fratello più grande: è l’assassino.
Ecco, noi siamo una generazione che ripete questo: “Sono forse il custode di mio fratello?”. Questo è il fratello che abbiamo intorno e che siamo anche noi. “Ma questi non sono fatti miei!”. Ecco, quando sentiamo la frase “Questo è un tuo problema”, siamo di fronte all’assassino. Siamo di fronte a quello che dice: “Ma mica sono il tuo custode!”.  La domanda poniamocela: “Sono il custode di mio fratello?” Esiste una sola risposta onesta: “Sì, lo sono”. Non possiamo vivere se non ci custodiamo gli uni, gli altri.  Non possiamo vivere se non siamo pastori gli uni degli altri. Non possiamo vivere, se tutto ciò che sappiamo fare è applicare un codice, una norma, un protocollo: ti faccio ciò che ti devo fare! Non sono semplicemente il tuo burocratico vicino di esistenza: io sono il tuo pastore e tu sei il mio.
Quando qualcuno dice: “Non ho niente contro di te” crede di dire qualcosa di bello. “Non hai niente contro di me?”, tu hai qualcosa con me, per me. Le nostre relazioni sono relazioni di cura: non può esistere qualcuno che non si prende cura di qualcuno che ha intorno! Ecco: io sono qui che sto morendo e tu, mi ignori?
Anche il Codice Penale conosce l’omissione di soccorso. Quante omissioni di soccorso nelle nostre relazioni! Quanti mercenari! Quante ferite, quante tristezze!
Il Signore Gesù Cristo è il Buon Pastore, colui che offre la vita per le pecore. Per la sua strada si impara l’arte di sanguinare per gli altri.

Auguro a tutti voi l’inquietudine di avere un cuore sanguinante, di soffrire per chi avete intorno. Vi auguro di essere imbarazzati per i problemi altrui, di essere scomodati dai problemi altrui. Vi auguro di avere tanti lupi cattivi da affrontare, ovverosia, tanto amore da praticare.

don Fabio Rosini