24/05/14

Vi manderò un Paràclito - VI Pasqua (A)

 Gv 14, 15-21

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».



Tra la dimora e la strada: sono i due ambiti nei quali ci trattiene quest’oggi una liturgia della Parola che ci invita a vivere non a scompartimenti.
Tra la dimora e la strada… un’esperienza di sconfinamento tra ciò che sperimenti nel profondo del tuo cuore e ciò che sei chiamato a tradurre mentre sei per via.
Pensati così i credenti, come persone che si lasciano abitare dal Signore e dal suo Spirito e nello stesso tempo come persone che non temono di stare in cammino.
Tanto, tropp,  il nostro stare lungo la strada, nella vita, non ha un luogo di interiorità, non attinge a ragioni profonde che facciano sì che i passi siano un pellegrinaggio e non un vagabondare.
Penso anzitutto al nostro mondo relazionale. Quanti i gesti senza contenuti e senza verità: parole di cortesia senza cortesia, parole di saluto senza accoglienza, gesti di amore senza amore, gesti di vita senza fecondità!  Quanto vivere fisicamente insieme e col cuore altrove, senza più i riti del cuore ma solo adempimenti formali!
Penso poi all’esperienza ecclesiale: spesso pronti a organizzare eventi esterni senza essere capaci di gustare e vivere la presenza del Signore. Come se bastasse proporre iniziative e nello stesso tempo lasciare la propria casa, quella del cuore, vuota. Quanta mentalità aziendale, quante parole usate e urlate, quanti gesti che non nascono da un cuore che si lascia plasmare da quel Dio che ha scelto di porre la sua dimora in chi, ascoltando la sua voce, gli apre appena arriva e bussa.
Chi ha fatto almeno una volta l’esperienza dell’amore sa che può vivere della presenza dell’altro anche quando l’altro non c’è.  Riesce a stare nella vita con uno sguardo riconciliato solo chi ha qualcuno di cui può dire: tu sei davvero tutto per me. Tu sai che non vivi più per te stesso bensì per qualcun altro. Ma non è possibile – ci ripete la liturgia di questa domenica – annunciare con la bocca, nella vita, qualcuno che hai smesso di adorare dentro di te: adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori. Non è possibile vivere alla luce della memoria dell’altro nella tua vita, se hai smesso di custodirlo nel tuo cuore. Quanta illusione da parte nostra di essere segno di qualcuno che forse abbiamo estromesso. Come se bastassero solo dei segni esterni, un abito o dei riti!
Come dovette essere diversa la presenza di Filippo – di cui ci narra la pagina di Atti (At 8,5-8.14-17) – se ad un certo punto l’autore può attestare che vi fu gioia nella città. Filippo aveva trovato un cuore aperto, disponibile in persone di per sé escluse dalla possibilità di accedere a un’esperienza di vita nuova. Ma è anche vero che la sua stessa presenza era una presenza che lasciava il segno. Penso alla mia presenza: quale segno lascia?
Filippo stava fuggendo a motivo di una persecuzione ma la sua presenza diventa il segno di un Dio che inaspettatamente apre strade nuove in spazi insperati. Paradossalmente, un’esperienza di rifiuto permetterà un nuovo inizio grazie ad un uomo all’apparenza fuori dagli schemi ma con un cuore ben radicato nel Signore.
Quando il cuore è abitato comprendi che sei chiamato a stare lungo la strada con uno stile ben preciso: con dolcezza e rispetto. Mai urlando, neanche le cose di Dio. Mai offendendo. Mai brandendo la fede come fosse una spada. Mai con declamazioni ipocrite ma con una vita che ha il gusto del vangelo. Questo restituisce gioia. Anche nelle nostre città.
Se ti lasci impregnare dello Spirito di Gesù, del suo modo di vivere, del suo modo di amare, tu diventi la dimora di Dio in mezzo agli uomini. Ecco la dimora di Dio! Si dovrebbe poter dire di me, di te. Una dimora mobile, itinerante, proprio come lo era stata la tenda della presenza di Dio mentre accompagnava il cammino di Israele e proprio come lo fu la carne di Gesù.
Lui se ne va ma la sua presenza non viene meno grazie a coloro che si lasciano animare dal suo stesso Spirito. La sua presenza non è legata ai toni urlati dell’arroganza o dell’esibizione. Il ricordo della sua presenza, il segno che lo si ama davvero è legato ai gesti di chi ha attenzione per chiunque, al gesto di chi ha cura di una ferita, al gesto di chi ha occhi per la stanchezza dell’altro, al gesto di chi sta nella vita con passione, con disponibilità, con il cuore e non con il calcolo.
Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Facciamo fatica a tenere insieme amore e comandamento. Eppure si tratta di due modi per esprimere il grado di appartenenza a qualcuno: infatti, adempiere i desideri di chi abbiamo amato è il solo modo per custodire la comunione con lui.

don Antonio Savone

http://acasadicornelio.wordpress.com


16/05/14

Il ruolo della donna nella Chiesa - Enzo Bianchi

 

La bisaccia del mendicante - 2

 

Vi sono realtà che non stanno nella bisaccia del mendicante, eppure egli non può abbandonarle da qualche parte: sono le sofferenze che abitano il suo cuore. Una di queste, sempre viva e mai assopita, riguarda il mio quotidiano: vivo da monaco con fratelli e sorelle, uomini e donne nella stessa comunità. Ora, proprio le donne conoscono nella chiesa una condizione paradossale. Presenti ovunque, accanto agli uomini in tutte le forme della vita cristiana, impegnate nella trasmissione del Vangelo e testimoni di Cristo quanto gli uomini, in realtà si trovano escluse dagli ambiti decisionali e possono essere solo semplici fedeli, “christifideles”, appartenenti al laicato oppure alla vita religiosa, comunque senza autorità deliberativa perché donne.
Da decenni la chiesa cattolica si interroga sul ruolo delle donne nella chiesa, ma senza che nascano risposte adeguate e convincenti. Si esalta la femminilità con espressioni curiose (“il genio femminile”...), si sottolinea la loro eminente dignità di spose, madri e sorelle, ma poi non viene loro riconosciuta alcuna possibilità di esercitare responsabilità e funzioni direttive nella chiesa. Così tutto il corpo ecclesiale ne risulta menomato: un corpo in cui la metà delle membra deve ascoltare solo gli uomini intervenire nella liturgia, in cui le decisioni che riguardano tutti sono prese solo dagli uomini, in cui ciò che le donne sono e devono essere è stabilito da uomini, senza neppure ascoltarle...
Leggendo i Vangeli e il Nuovo Testamento, troviamo le donne presenti quanto gli uomi­ni, e Gesù stesso le annovera alla sua sequela insieme agli uomini in una comunità itinerante; Maria di Magdala è destinataria, insieme ad altre donne, del primo annuncio pasquale da parte di Cristo risorto; nella fondazione delle prime comunità cristiane le donne svolgono compiti apostolici. Non a caso san Paolo osa proclamare che ormai nella comunità cristiana non ci sono più appartenenze discriminate, “non c’è più né giudeo né greco, né maschio né femmina”, anche se poi, paradossalmente, resta incapace di trarne tutte le conseguenze nella vita della comunità cristiana.
Inizialmente, infatti, autorizza le donne a prendere la parola nella chiesa di Corinto (1Cor 11,5), pensa e predica che i doni dello Spirito santo sono dati a tutti i battezzati, senza preferenze tra uomini e donne. E non si dimentichi che nella società del tempo la donna era priva del diritto di prendere la parola nell’agorà. In seguito tuttavia, verso la fine dell’epoca apostolica, quando si imporrà il vescovo presbitero come successore degli apostoli, si toglierà alle donne il diritto di parlare nell’assemblea cristiana (1Cor 14,34). Così una prassi patriarcale prevarrà nuovamente nella chiesa e quel soffio di libertà portato dal Vangelo sarà istituzionalmente contraddetto fino a oggi.
Da allora alla donna è affidata la diaconia, il servizio alla chiesa, mentre agli uomini è riservata l’autorità e, di conseguenza, il potere. Solo nel monachesimo, fenomeno originariamente non clericale, la donna ha gli stessi diritti e doveri dell’uomo: può diventare abadessa, guida spirituale e autorità per una comunità, con il potere di insegnare, di prendere la parola in assemblea, di deliberare sulla vita della comunità. In questo il monachesimo ha un’autentica valenza profetica, anche se sovente non ne è consapevole e non sa vivere tutte le potenzialità di questa forma di sequela cristiana.
Ecco allora le domande che assillano il mendicante senza che nella sua bisaccia vi siano risposte: cosa significa ripetere formule vuote come “Maria è più importante di Pietro” senza accompagnarle con un impegno adeguato per una ricerca biblica e teologica sulla presenza della donna nella chiesa? Perché non c’è ascolto delle donne che elaborano teologia o sono impegnate nella vita pastorale, nella missione, nell’evangelizzazione, nella catechesi? Trovare risposte significa aprire nuovi cammini alla corsa del Vangelo.

 
Enzo Bianchi
da "Jesus" aprile 2014


11/05/14

Il pastore delle pecore - IV Pasqua (A)

 Gv 10, 1-10

In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».


Leggendo i vangeli abbiamo messo più volte in evidenza che Gesù era un uomo che sapeva vedere, osservare cose, azioni ed eventi quotidiani, e su di essi pensava, per trarre dalla realtà consolazione e lezione. Soprattutto le parabole sono per noi una testimonianza del modo di vedere e di pensare di Gesù, della sua capacità di applicare il quotidiano anche nell’annuncio della buona notizia. Gesù non consegnava verità preconfezionate, formule dottrinali, ma a volte consegnava parole di sapienza, a volte alzava il velo su molti enigmi umani e mondani: tutto questo per farci conoscere Dio suo Padre, il suo Dio, il Dio autentico, e farci conoscere se stesso.Nel vangelo odierno Gesù sta parlando ai farisei, che gli hanno contestato la guarigione in giorno di sabato di un uomo cieco dalla nascita (cf. Gv 9,1-41).
Essi si sentono guide e pastori rispetto al popolo di Dio, perché interpretano la sua parola e sanno insegnarla, dando anche l’esempio esterno di una vita condotta in osservanza alla Legge. Sono abilitati a questo ministero? Hanno veramente l’autorevolezza (exousía) per essere pastori del gregge? 
Gesù con molta convinzione – espressa anche dall’“Amen, amen” iniziale – consegna loroun’osservazione: dove c’è un ovile, c’è una porta attraverso la quale entra ed esce il pastore, e dietro a lui le sue pecore. Su quella porta egli vigila, veglia per proteggere il gregge. Ma a volte qualcuno scavalca il recinto proprio per portare via le pecore: è il ladro, il brigante che vuole strappare le pecore al loro pastore per fini di lucro, di accrescimento del proprio gregge. Ecco la differenza tra pastore vero e ladro, tra chi vuole il bene delle pecore e chi di esse vuole semplicemente servirsi. 
Ecco allora nelle parole di Gesù il ritratto del pastore vero e buono: entra ed esce attraverso la porta, è riconosciuto dal guardiano che gli apre la porta; le pecore riconoscono la sua voce, perché il pastore leconosce, le chiama ciascuna per nome e sa condurle su pascoli erbosi (cf. Sal 23,2), precedendole per custodirle dai pericoli e dagli attacchi dei lupi. C’è un legame reciproco tra pecore e pastore, dovutoall’azione di quest’ultimo: egli le chiama ed esse si sentono riconosciute, le guida ed esse si sentono protette, le precede ed esse si sentono orientate. Il rapporto delle pecore con il pastore è questione di vita, e dunque tra loro si instaura un legame di appartenenza e di riconoscimento. Un estraneo che entra nel recinto, invece, spaventerà le pecore che non lo conoscono, le quali fuggiranno fino a disperdersi, come sempre avviene quando manca il pastore. Il discernimento tra pastore legittimo e pastore usurpatore e ladro non è sempre facile nella vitadella chiesa. Le parole di Gesù sono un severo ammonimento, ma nei fatti quanti sono i pastori estranei o addirittura mercenari? Estranei perché non vivono “in mezzo al popolo di Dio”, non sono conosciuti nella loro vita privata, e lontani dal gregge che non li riconosce se non come funzionari: amministratori, manager, ispettori, ma non pastori... Questa purtroppo è una patologia più diffusa di quanto ifedeli possano accorgersi e avere consapevolezza.
Ma Gesù aggiunge un’altra osservazione. Con un rinnovato, duplice “amen”, dichiara non solo di essere il buon pastore, il pastore autentico del popolo di Dio, ma guardando al passato si comprende anche come la porta dell’ovile. Gesù è la porta per i pastori che lo hanno preceduto in questo servizio: se non sono passati attraverso di lui, sono stati ladri e assassini, sono stati i cattivi pastori nominati soprattutto da Geremia (cf. Ger 23,1-6) ed Ezechiele (cf. Ez 34,-31); pastori che le pecore, anche grazie all’ammonimento dei profeti, non hanno ascoltato. È dunque necessario essere istituiti pastori attraverso di lui, che li legittima a entrare e uscire dall’ovile, a guidare le pecore verso pascoli abbondanti. Gesù parla di briganti (lestaí), di assassini che non vogliono la vita in abbondanza delle pecore, ma vogliono semplicemente possederle e servirsene, mentre parla di se stesso come di un pastore venuto perché gli uomini “abbiano la vita in abbondanza”, nella libertà e nella giustizia. 
Eppure proprio nel vangelo secondo Giovanni durante la passione di Gesù le folle, poste di fronte alla scelta tra Barabba, un brigante (lestés: Gv 18,40), e Gesù, il pastore buono, sceglieranno il brigante, con il peso del loro essere maggioranza. Sarebbe necessario chiedersi quale pastore in verità noi abbiamo e come facciamo discernimento sui nostri pastori.

Enzo Bianchi


04/05/14

I discepoli di Emmaus - III Pasqua (A)

Lc 24, 13-35

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Nella prima lettura di oggi (At 2, 14.22-33), l'annuzio di Pietro della risurrezione di Cristo, c'è un passaggio che ci può fare da chiave per entrare nel Vangelo dei discepoli di Emmaus.
Dice Pietro:
Gesù di Nazaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli prodigi e segni... - consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio...
Il Vangelo di Luca ha molto forte questo senso del "disegno di Dio". Cos'è questa "prescienza di Dio"? E' per caso predeterminazione? No, perché la nostra libertà è sacra e Dio la rispetta. Ma Dio ha il suo disegno di amore. La "pre-scienza" allora è quello che Dio sa delle cose, dall'alto. La particella "pre" sta quindi ad indicare non un "prima" ma un "sopra", sopra le cose. Continua Dio malgrado tutto, malgrado la nostra libertà, malgrado le nostre stupidaggini, a partare avanti il suo disegno in maniera straordinaria e sorprendente.
Infatti il problema dei discepoli di Emmaus è di non aver capito il piano di Dio.
Loro camminano col volto triste, fanno discorsi e i discorsi che vanno facendo sono la loro "teologia della croce": una dimostrazione che la croce è stata un fallimento, è stata un macello... che forse hanno sbagliato a fidarsi di questo uomo «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele»...
E perché la fede si frantuam così, di fronte alla croce? Perché uno resta con le anguste linee della mente umana che non può articolare il piano di Dio. Il piano di Dio è sorprendente! Le cose che Dio fa' sono più grandi delle nostre... tanto che qui Gesù arriva addirittura all'insulto: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!». Sono parole forti, nella tradizione ebraica sono parole parecchio offensive!  Infatti c'è una stupidità in noi: crediamo di poter articolare nella piccola cosa che è la nostra scatola cranica, le meraviglie che Dio può fare... e può fare anche attraverso una strada spaventosamente assurda, come la strada dell'ingiustizia, della croce, della morte, del nulla... è proprio lì che noi sperimentiamo la potenza di Dio. La nostra vita è intrinsecamente dotata di una possibilità meravigliosa: quella dell'incontro con Dio. Ma l'incontro con Dio è fuori dai nostri schemi; questi uomini devono entrare in qualcosa che non è il loro schema: l'opera di Dio, la Risurrezione, non è secondo i nostri presupposti, ma secondo la prescienza di Dio, secondo il disegno sapiente di Dio.  Se non non ci apriamo a questo disegno, a questa opera di Dio, noi faremo del cristianesimo solamente una serie di norme etiche che dobbiamo applicare, non un incontro con la Provvidenza, un incontro con le iniziative di Dio che stanno nascoste dietro tutto quello che succede. Il nostro esistere non sarà un dialogo ma sarà un monologo a partire da una serie di informazioni che ci vengono date da un libro che si chiama Vangelo. Non è così... tutte le opere cristiane richiedono una sinergia con Dio, un assecondare il suo operare in noi e lo stare in un disegno.  Questo diesegno, grazie a Dio, non ci è mai chiaro: noi non dobbiamo aspettarci questo, perché il giorno in cui il disegno di Dio ci fosse perfettamente chiaro, vorrebbe dire che è piccolo quanto noi, che è una cosa mediocre... Noi siamo sempre e comunque creature che vivono qualcosa di meraviglioso e sorprendente.
Vivere come bambini tenendo per mano il Signore vuol dire speriemntare questo inaspettato. La storia di questi discepoli di Emmaus è la storia di una tristezza che si muta in gioia, proprio perché ci si apre al piano di Dio, proprio perché lo si riconosce, lo si ritrova più grande e più sorprendente di quello che ci si era messi in testa.  Crediamo di aver capito tutto? E invece tutto sta cominciando! 
Questa Parola,  in questa domenica,  viene ad aiutarci a fare questo salto nella potenza di Dio, per ridare a Lui le cose che non capiamo; questo non restare incastrati semplicemente nelle anguste porte, negli steccati prevedibili di quello che a noi sembra più plausibile. Oltre tutto questo ci sta Dio che ci dice "Stolto!".
In fondo, ogni volta che noi partecipiamo ad una liturgia e ci confrontiamo con la preghiera,  dobbiamo partire dalla possibilità di non aver capito niente... E che Dio ci debba rispiegare tutto. E' così bello passare tutta la vita a riscoprire da capo le cose! Tutta la vita a lasciarsi sorprendere: questa è la nostra chiamata!
Veramente il Signore ci cocneda di essere come questi discepoli di Emmaus che mentre stanno andando da una parte, cambieranno direzione, torneranno indietro tutti contenti perché hanno incontrato il Signore. Dio ci psosa dare di cambiare strada mille volte nella nostra vita, per la potenza di Dio, per l'obbedienza ai suoi disegni meravigliosi di amore, su di noi.

don Fabio Rosini

tratto da www.youtube.com  canale di  CATECHISTA 2.0