30/04/13

E quella lì era la felicità - A. Baricco


«Gli erano entrate negli occhi, quelle due immagini, come l'istantanea percezione di una felicità assoluta e incondizionata. Se le sarebbe portate dietro per sempre.  
Perché è così che ti frega, la vita. Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli più. 
E quella lì era la felicità. 
Lo scopri dopo, quand'è troppo tardi. 
E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri da quell'immagine, da quel suono, da quell'odore. Alla deriva».

Alessandro Baricco,  "Castelli di rabbia"




Trentadue

Possa io fare della mia vita qualcosa di semplice e diritto, 
come un flauto di canna che il Signore riempie di musica.

Rabindranath Tagore 



29/04/13

La piccola via - Teresa di Lisieux


«Ho sempre desiderato d'essere una santa, ma, ahimè, ho sempre constatato, quando mi sono confrontata con i Santi, che tra loro e me c'è la stessa differenza che esiste tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli e il granello di sabbia, oscuro, calpestato dai piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il Buon Dio non potrebbe ispirare desideri irrealizzabili; quindi, nonostante la mia piccolezza, posso aspirare alla santità.  Farmi diversa da quello che sono, più grande, mi è impossibile: mi devo sopportare per quello che sono con tutte le mie imperfezioni; ma voglio cercare il modo di andare in Cielo per una piccola via tutta nuova.  Siamo in un secolo di invenzioni: oggi non vale più la pena di salire i gradini di una scala: nelle case dei ricchi un ascensore la sostituisce vantaggiosamente. Vorrei trovare anch'io un ascensore per innalzarmi fina a Gesù, perché sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione.Allora ho cercato nei libri santi l'indicazione dell'ascensore, oggetto del mio desiderio; e ho letto queste parole uscite dalla bocca della Sapienza Eterna: "Se qualcuno è molto piccolo, venga a me". Così sono arrivata a intuire che avevo trovato ciò che cercavo. E volendo sapere, o mio Dio, ciò che faresti al molto piccolo che rispondesse alla tua chiamata, ho continuato le mie ricerche ed ecco quello che ho trovato: "Come una madre accarezza il figlio, così io vi consolerò: vi porterò in braccio e vi cullerò sulle mie ginocchia!" L'ascensore che mi deve innalzare fino al Cielo sono le tue braccia, o Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, anzi bisogna che io resti piccola, che lo diventi sempre più».


«Capisco così bene che soltanto l'amore può renderci graditi al Signore, da costituire esso la mia unica ambizione.
A Gesù piace mostrarmi il solo cammino che conduca alla fornace divina, cioè l'abbandono del bambino il quale si addormenta senza paura tra le braccia di suo Padre. "Se qualcuno è piccolo, venga a me", ha detto lo Spirito Santo per bocca di Salomone, e questo medesimo Spirito d'amore ha det­to ancora che "la misericordia è concessa ai piccoli". In nome suo il profeta Isaia ci rivela che nell'ultimo giorno "il Signore condurrà il suo gregge nelle pasture, raccoglierà gli agnellini e se li stringerà al cuore", e, come se tutte queste promesse non bastassero, lo stesso profeta, il cui sguardo s'immergeva già nelle profondità eterne, dice in nome del Signore: "Come una madre accarezza il figlio, così io vi consolerò, vi porterò in braccio e vi accarezzerò sulle mie ginocchia". Oh, Madrina cara! dopo un linguaggio simile non c'è che da tacere, piangere di riconoscenza e d'amore.
Ah, se tutte le anime deboli e imperfette sentisse­ro ciò che sente la più piccola fra loro, l'anima della sua Tere­sa, non una dispererebbe d'arrivare alla vetta della montagna d'amore, poiché Gesù non chiede grandi azioni, bensì soltanto l'abbandono e la riconoscenza. Egli infatti dice nel Salmo XLIX: "Non ho bisogno alcuno dei capri dei vostri greggi, perché tutte le bestie delle foreste mi appartengono e le migliaia di animali che pascolano sulle colline, conosco tutti gli uccelli dei monti... Se avessi fame, non a voi lo direi, perché la terra e tutto ciò che contiene è mio. Debbo forse mangiare la carne dei tori e bere il sangue dei montoni? Immolate a Dio sacri­fici di lode e di ringraziamento". Ecco ciò che Gesù esige da noi, non ha bisogno affatto delle nostre opere, ma soltanto del nostro amore, perché que­sto Dio stesso che dichiara di non aver bisogno di dirci se ha fame, non ha esitato a mendicare un po' d'acqua dalla Samari­tana. Aveva sete... Ma dicendo: "dammi da bere" era l'amo­re della sua povera creatura che il Creatore dell'universo recla­mava... Aveva sete d'amore... Ah! lo sento più che mai, Gesù è assetato, non incontra se non ingrati e indifferenti tra i disce­poli del mondo, e tra i suoi stessi discepoli trova pochi cuori i quali si abbandonino a lui senza riserve, e capiscano la tenerezza del suo amore infinito. Intimi segreti del nostro Sposo!»

S. Teresa di Lisieux

tratto da "Storia di un'anima"


Il Vangelo rivelato ai piccoli - Mt 11,25-30

dal Vangelo di Matteo  (11,25-30)

In quel tempo, Gesù disse:  «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. 
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».


28/04/13

Sogno un mondo... - M.L. King



Sogno un mondo 
nel quale 
poter fermare un passante 
all’angolo della strada 
e in qualche modo 
diventare 
subito suo amico 
e percorrere con lui, 
nello stupore dell’incontro, 
il suo cammino interiore. 

Le rare volte che Dio mi ha 
fatto la grazia di questi incontri, 
ho scoperto cos’è 
amare veramente.


Martin Luther King




Kyrie - L.V. Beethoven (Missa Solemnis op. 123)


La musica....

«La rivelazione sublime della vita spirituale.
Una rivelazione più alta della scienza e della filosofia: è il senso del divino, 
e nulla è di più alto dell'accostarsi alla divinità 
e di espanderne i raggi sopra gli uomini»

Ludwig Van Beethoven



Ludwig Van Beethoven
Missa Solemnis op. 123, Kyrie

dirige
Sir Colin Davis
London Symphony Chorus & Orchestra


27/04/13

Alla sera - Ugo Foscolo


Forse perché della fatal quïete
tu sei l'imago a me sì cara vieni
o sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all'universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.


Ugo Foscolo, "Sonetti" - 1803





Il comandamento nuovo - V Pasqua

Gv 13,31-33a.34-35

Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».


Ecco un altro breve Vangelo densissimo e meraviglioso. 
Gesù – ci dice il testo liturgico – quando Giuda fu uscito dal cenacolo, parla della sua gloria: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”. E’ giusto che la liturgia abbia iniziato questo brano del Vangelo citando Giuda, perché sta proprio qui - come vedremo - la gloria di Cristo
Il testo di oggi, quindi, riporta questa parte sulla gloria e, più avanti, il comandamento sull’amore, che vedremo per come è veramente e non come, magari, una sovra lettura, sentita abitualmente, ci può portare a credere di ascoltare. 

Che gloria è comparsa in questo momento? Quella che è comparsa davanti a Giuda: Gesù ha lavato i piedi a Giuda; Gesù ha dato il boccone dell’ultima cena a Giuda; Gesù ha dato se stesso all’uomo che lo sta tradendo e Gesù è perfettamente consapevole di quello che Giuda sta per fare. I discepoli non capiscono perché lui esca, ma Gesù lo sa, anzi lo invita ad andare fino in fondo, non lo ferma, non lo impedisce nel suo piano perché sa che in questo c’è, sotto, il piano misterioso, straordinario di Dio: qui si deve manifestare la gloria di Dio. E che cos’è la gloria di Dio? Uno spettacolo magniloquente, pieno di luci e di tuoni? No: l’amore al suo nemico. Ciò che compare è come Gesù ama. Ama con generosità l’uomo che lo porterà al massacro, l’uomo che lo porterà alla distruzione. L’uomo che lo consegnerà ad una morte dove non c’è solo il già agghiacciante aspetto della sofferenza fisica, ma anche quella morale: quest’uomo per tradirlo lo bacerà, che è il segno di un amico. Amare chi ci sta trattando con sotterfugi e ne conosciamo i sotterfugi! Amare chi ci butterà giù da un burrone per un calcolo totalmente sballato, per una monetizzazione agghiacciante. 

E’ interessante che nell’ultima cena Gesù dirà “Qualcuno di voi mi tradirà” e tutti diranno: “Sono forse io?”. Tutti ci dobbiamo domandare “Sono forse io?” , perché un “pezzetto” di Giuda ce l’abbiamo tutti quanti noi, e tutti quanti dobbiamo sperimentare fino a che punto arriva l’amore di Dio con noi… Tutti quanti sappiamo di essere molto fragili e di confonderci, di fare i nostri piccoli piano da quattro soldi che poi ci portano a commerciare anche le cose di Dio. 
Quando Gesù ha trattato con benevolenza Giuda , parla della sua gloria. “A questo punto – dice – vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” 

Il comandamento vecchio è “Ama il prossimo tuo come te stesso”, il nuovo è “Amatevi come io vi ho amato”. Il punto di partenza non è la nostra capacità di amare, ma la sua. “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Cosa vuole dire? Perché tutti si chiedono “Sono forse io?”. 
Solo dopo i discepoli capiranno… Ora non comprendono, le cose vanno veloci, gli avvenimenti vanno come accatastandosi e dopo loro dovranno pian piano dipanare la preziosità di quello che hanno vissuto; dovranno capire “Siamo stati amati così”. Perché in fondo tutti lo abbandonano, da Pietro fino a Giuda sono tutti dentro questo “essere amati da Gesù, senza merito”. 

Cosa è, allora, la Pasqua che stiamo celebrando in questo tempo? E’ il passare dalle nostre povere cose, alle cose di Dio, è passare da noi stessi a Lui; e ci si passa nell’amore, nella profonda esperienza della sua identità, della sua gloria, che ci fa dimenticare noi stessi e innamorarci di chi ci ama tanto… quanto non lo potremo mai amare! 
Amatevi come io vi ho amato”. La forza per amare non è nelle nostre qualità. Quanta gente si mette ad amare sulla base della propria forza di volontà, delle proprie qualità, della propria generosità… ma tutto questo non ci porta che a noi stessi. Resteremo nel cerchio angusto della nostra sopravvivenza, di ciò che siamo. Ma è quando qualcuno ha spezzato questo cerchio della nostra sopravvivenza, ha fatto irruzione nella nostra vita amandoci all’inverosimile, amandoci come non potevamo pensare di essere amati, allora a quel punto noi possiamo aprirci ad un amore più grande. 
E’ Cristo che ama in noi , e noi siamo invasi dal suo amore. 
Noi non siamo chiamati ad essere tanto bravi da fare quanto ha fatto Lui; ma, avendo visto la sua gloria, la forza dell’amore che Lui ci ha dato, restituire questo amore. Il nostro è un amore di risposta. Il nostro amore è un’eco. Come quando uno va in una valle, grida e sente un’eco, sente la sua voce tornare. Così Dio fa in noi: ci ama e noi siamo questa valle, povera a vuota, dove però riecheggia la Sua voce. E allora, a quel punto, noi riusciamo a riamare, perché finalmente abbiamo fatto spazio a questo suono meraviglioso della sua visita. 

Da questo tutti sapranno che sarete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. Non sapranno che siete bravi: non sapranno che siete coerenti, non sapranno che siete delle persone eccezionali, meravigliose, stimabili… No: sapranno che siete miei. Noi cerchiamo molto spesso di fare atti, in cui affermiamo la nostra capacità di amare, la nostra propria coerenza. Ma la nostra coerenza non è che sia propriamente una forza evangelizzatrice così convincente, perché se tu sei coerente, e io magari non lo sono, ti posso dire “mamma mia quanto sei bravo!”, ma tutto finisce lì, non mi riguarda. Se invece vedo in te l’opera di un altro, questo forse mi riguarda, questo altro può lavorare pure in me. 

Io devo vedere in te qualcosa che ti fa identificare come discepolo di qualcuno. “Perché vi amate voi due anche se siete diversi? Perché vi perdonate fra di voi?” Quando appare questo appare la Chiesa di Cristo, non appaiono uomini che seguono un’etica, che si sforzano di essere coerenti con una serie di cose, belle buone, importanti… No. Appare qualcuno che ha un centro che non è più la propria vita; appare qualcuno che non deve più difendere se stesso, perché la sua vita è stata già consegnata ed è diretta da qualcun altro. 
I nostri atti possono essere anche nell’ambito di una vita ecclesiale perfetta, inappuntabile, ma tutti atti autoreferenziali. Oppure esistono atti che fanno riferimento a Cristo. 
Quanto è bella l’umiltà quando appare! Vediamo un riferimento a qualcuno di più grande, vediamo che c’è qualcuno che non ha bisogno di difendere se stesso perché vediamo qualcuno il cui centro, nella vita, è un altro: è un discepolo. Non possiamo che essere aperti alla fede. 
Vediamo uno che ama, non perché ha deciso di fare, per un suo progetto, questo o quello, ma perché non può che rispondere a qualcuno di cui parla sempre; non può che parlarne perché ne è preso, ne è catturato, ne è gioiosamente “schiavo”, come diceva San Paolo. Io prigioniero di Cristo, prigioniero di legami che non sono catene ma di legami che sono la gratitudine, la gioia, la voglia di seguirlo. 

Avere amore gli uni per gli altri
Noi siamo chiamati a capire che, alla fine, tutto il centro della nostra attività, se non è amore è “robetta”; se non è amore che parla di Cristo, amore che ama come Cristo, che fa presente quella gloria di Cristo, che è amore anche a chi ci fa del male… l’amore a chi parla male di noi, l’amore a chi ci tradisce, l’amore a chi ci fa soffrire… Altrimenti che cos’è mettere in piedi orpelli liturgici di non si sa che genere, catechesi splendide che chiamano folle, sistemi ecclesiali organizzatissimi…ma non compare l’amore di Cristo? L’amore che solo Cristo sa dare, unico, che si è manifestato, splendidamente, nella croce di Cristo. 
Questo è proprio unico del cristianesimo: cerchiamo nelle altre religioni tante cose, anche simili, per poterci stimare reciprocamente, ma l’amore al nemico, tanto raro a trovarsi anche all’interno della Chiesa, è l’unicità vera del cristianesimo.

don Fabio Rosini


25/04/13

Vivere il presente - Chiara Lubich

Tutta la sapienza della vita sta nel vivere bene il momento presente.
Ma per attuare ciò occorre una grande confidenza in Dio.
E' necessario saper perdere nel cuore di Gesù ogni preoccupazione che ci assilla per qualcosa di passato o di futuro o di alcunché a cui Dio non vuole che ci dedichiamo direttamente nel presente.
Per cui, alle volte, questa vita richiede un abbandono in Dio non sempre semplice, ma grande. E alle volte eroico.
E' con questi atti eroici di confidenza che ci attiriamo l'aiuto divino e diretto su ciò che più ci preoccupa. 
Cosicché la vita risulta una continua comunione a due: l'anima, che fa ciò che Dio vuole da lei nel presente, e Dio, che opera ciò che l'anima lascia fare a lui.

Chiara Lubich



24/04/13

Ci manca la follia dell'amore - A. Pronzato


«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)


Fuori di sé
Due espressioni popolari a riguardo dell'amore. Quando qualcuno s'innamora, c'è immancabilmente chi commenta: «Quello ha perso la testa».
Un'altra frase che spesso viene rivolta alla persona amata è: «Ti amo da pazzi...».
Niente di strano. Le due espressioni traducono una caratteristica del tutto naturale dell'amore. Non si può amare se non perdendo la testa. E non ci può essere che un amore da pazzi.
L'amore si apparenta alla follia. Per amare veramente occorre uscire fuori di sé, rinunciare ad amministrare giudiziosamente la propria vita, smetterla di fare calcoli prudenti, seguire una logica che non è quella del senso comune.
Dice Michel Quoist: «L'amore è una strada a senso unico: parte sempre da te per andare verso gli altri. Ogni volta che prendi qualcosa o qualcuno per te, smetti di amare, perché smetti di dare. Cammini contromano».

C'è chi cammina contromano nella strada dell'amore.
L'egoista è precisamente uno che cammina contromano. Parte dagli altri per arrivare inevitabilmente e ostinatamente a sé. Gli altri non sono che un pretesto, un'occasione, un mezzo per amare se stesso. Sono in funzione del proprio io.
Anche quando dice di fare del bene, l'egoista pensa a se stesso, intende fare del bene a se stesso. E' totalmente occupato con se stesso. 
L'egoista si rivela costituzionalmente inadatto ad amare, anche allorché sembra travolto da una passione irrefrenabile, perché non è disposto ad uscir fuori di sé (le sue "uscite" sono programmate in modo da rientrare al più presto), perdere il controllo della situazione, buttar via il registro della contabilità personale.
L'egoista si rivela incapace di abbandonarsi, consegnarsi all'altro. L'egoista, perfino nell'amore continua a ragionare in termini di interesse, vantaggi e piacere individuali.
In altre parole: può essere disposto a tutto, meno che alla follia, meno che a perdere la testa.
Nell'amore autentico c'è una componente di rischio, eccesso, esagerazione.
L'egoista si protegge. Mentre l'amore comporta un "esporsi" senza difese.

Una luce calda, non la lampada al neon
Oggi il pericolo, nel campo della carità cristiana, può essere quello di una prevalenza dell'organizzazione, delle strutture, delle forme esteriori.
Certo, data la molteplicità e la complessità dei problemi, si rende necessario un minimo di organizzazione, programmazione, articolazione dei compiti, delimitazione dei settori.
Ma guai quando le strutture diventano prevalenti e finiscono per soffocare la spontaneità, congelare i sentimenti.
Guai quando una fredda razionalità non permette al cuore di uscire allo scoperto.
Guai quando le forme finiscono per soffocare la vita. (...)
Certa carità asettica, burocratica, impassibile, rigidamente funzionale, regolata da criteri amministrativi, rischia di oscurare l'amore di Dio. 
La carità va affidata a degli appassionati , non a più o meno diligenti funzionari. Ha bisogno di individui vulnerabili, non di imperturbabili impiegati. 
L'amore è fuoco, non cenere di pratiche, carte, casi.
E' luce - anche dell'intelligenza - . Ma luce calda, prodotta con la collaborazione del cuore, non luce smorta e gelida delle lampade al neon.

Il mio nome è "non - abbastanza"
Il romanziere greco Kazantzakis racconta la storia di un eremita che insisteva a chiedere a Dio qual era il suo vero nome. Un giorno percepì una voce che gli diceva: «Il mio nome è "non-abbastanza", perché è quello che io grido in silenzio a tutto coloro che osano amarmi...».
Sarà il caso di interpretare in questa ottica il senso del comandamento di Gesù: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
Il Signore esige dai suoi amici un amore "come" il suo: eccessivo, prodigale. (...)

E' necessario, però, intendersi prima di tutto sul senso di comandamento nel linguaggio di Giovanni. Il comandamento non può essere ricondotto a una dimensione puramente giuridica, legalistica, nel senso di norma, prescrizione. Comandamento, più che ordine, significa incarico, compito. (...)

Oltre ogni limite
Il comandamento dell'amore impone non il minimo, ma il massimo. Non fissa limiti. E' un invito a superare ogni misura, ad andare oltre. 
Si tratta di un atteggiamento di fondo, più che di comportamenti stabiliti una volta per sempre. 
Non qualcosa di previsto, programmato, scontato, ma qualcosa di inedito, sorprendente.
In riferimento al comandamento dell'amore uno non potrà mai dire "sono a posto", "mi sento soddisfatto", "più di così non sono obbligato".
«E' meglio che non si innamori mai colui che è disposto ad amare veramente» (Ajmatov, Il patibolo).
Il Signore non stabilisce il minimo indispensabile per sentirsi a posto (non vuole che ci sentiamo a posto), ma un superamento continuo. (...)
Anche il nostro amore, perciò, deve chiamarsi  "non-abbastanza".

La carta perdente
Né bisogna dimenticare che il comandamento dell'amore si colloca nel contesto della Passione imminente, allorché Gesù, con piena evidenza, appare come il Perdente.
Le forze del male, la malvagità, l'odio, la violenza sembrano avere il sopravvento.
Nella notte «in cui veniva tradito» (1Cor 11,23), nella notte della vergogna dell'uomo, Gesù punta ancora sull'amore.
Gli uomini, in quella notte, presentano il loro volto più ripugnante: quello del tradimento, della vigliaccheria, del calcolo, del traffico più turpe, dell'indifferenza, dell'estraneità. Esibiscono un allucinante campionario di prodotti deteriori: opportunismi, alleanze sospette, fanatismi, stupidità, paure, meschinità, infedeltà.
Eppure: «...li amò fino alla fine» (Gv 13,1).
Noi ci tiriamo indietro, ma Lui non viene meno. Lui continua a scommettere sull'amore, anche se l'amore, in questa notte, verrà sconfitto, tradito, irriso, umiliato.
Allorché l'amore sembra inutile, Gesù punta cocciutamente su questa carta perdente. Dio si è spogliato di tutto. Si è ridotto a debolezza disarmata. Si è messo nelle mani degli uomini. Ognuno può farne quello che vuole. Solo quella carta perdente non riusciranno a strappargli.

Amare: solitudine e comunione
Sarà il caso di ripensare a questo paradosso della notte della Passione del Figlio dell'Uomo.
Nelle tenebre che incombono ancor oggi, e che sembrano guadagnare sempre più spazio, nella notte dell'uomo che sembra non avere fine, mentre la violenza continua a celebrare i suoi bestiali riti di sempre, non dobbiamo cedere alla tentazione di puntare su altri mezzi. Guai se lasciamo cadere quella carta perdente.
L'amore è comunione, ma talvolta è anche sofferta solitudine.
Si tratta di resistere, nella notte, anche quando si sperimenta l'abbandono, la diserzione dei più.
Vorrei citare, a questo proposito, una bellissima composizione poetica di Padre David Maria Turoldo:

«E quando gli altri neppure sapranno
più che esisti
allora sarò io ad aspettarti. Quando nessuno
più ti porterà un fiore
che non sia di pietà
e gioia nessuna
altri penserà di raccogliere 
dalle tue mani vuote
allora siederemo a tavola insieme
e divideremo quel nulla
che ci sarà d'avanzo»

Se saremo capaci di spingere la nostra fedeltà nell'amore fino all'ultima sera, rimanendo soli col Dio più vero, perché derelitto, perché sconfitto, allora Lui ci svelerà il segreto per ritrovare la gloria di essere uomini e no perdere la voglia di tentare ad essere cristiani.

Non riportarci a casa, Maria...
In giorno, Maria, i parenti sono partiti da Nazaret per cercare di recuperare tuo Figlio: «Vennero a prenderlo, poiché dicevano "E' fuori di sé"» (Mc 3,21).
Erano preoccupati per il buon nome della famiglia. Tentavano di riportarlo a casa, farlo rientrare nelle misure del buon senso e dell'onorabilità secondo la gente.
Sul Calvario, però, tu non hai neppure tentato di riportarlo a casa, come quando, ragazzino, era rimasto nel Tempio.
L'hai lasciato «fuori di sé». Anzi, gli sei stata accanto, schierandoti dalla parte di quell'amore folle. 
Con la tua presenza ai piedi della Croce, hai detto l'ultimo sì: prima ancora che alla morte del Figlio, alla sua sconvolgente follia.
Sei stata chiamata a sottoscrivere quella dichiarazione di pazzia firmata con una croce. Hai accettato che tuo Figlio perdesse la testa fino a quel punto.
Madre, complice della pazzia del Figlio, ti chiediamo: nonostante i ripetuti tentativi di ritornare alla normalità, di non esporci troppo, costringici a rimanere "fuori". Non lasciarci "rientrare" nelle misure comuni.
Mettici dentro la convinzione che soltanto attraverso la follia dell'amore possiamo dimostrare di appartenere alla famiglia di tuo Figlio.


don Alessandro Pronzato

"C'era la Madre di Gesù... A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca"


Trentuno

La Chiesa non è una ONG. E' una storia d'amore.
Quando l'organizzazione prende il primo posto, l'amore viene giù e la Chiesa diventa una ONG.
E questa non è la strada.

papa Francesco



22/04/13

Trenta

I veri angeli sono le persone che in certi momenti compaiono all'improvviso a dare luce alla vita.

Banana Yoshimoto


Il pastore e il mercenario - Gv 10, 11-18

Giovanni 10, 11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

*  *  *  *  *


Il Signore Gesù Cristo si pone come pastore e non come mercenario.
L’uomo invece ha la tendenza a farsi condurre da mercenari. L’uomo crede ai suoi idoli, che sono i suoi mercenari, che chiedono tanto in cambio. L’uomo tende sempre a vivere con qualcuno e per qualcuno che lui paga, remunera con la sua propria vita. Noi non crediamo all’amore, non crediamo alla gratuità del Signore, noi non crediamo a questo Buon Pastore: finiremo per credere molto di più a chi, quando arriva il lupo, ci abbandonerà: questo è normale, questo è prevedibile. Infatti aprirsi al Buon Pastore non è facile per niente, perché bisogna anche un po’ denunciare le proprie relazioni; perché se io mi relaziono a qualcuno che affronterà il lupo, affronterà il male per difendermi, riterrà di dover sanguinare per proteggere me, questo vuol dire essere scardinati nella nostra mentalità originaria ed essere condotti ad un altro tipo di logica: la logica per cui, io, se non faccio questo sono un mediocre, se non vivo così sono un mediocre.

Ecco, questo è il Vangelo del Buon Pastore: siamo posti di fronte a questa generosità.
Con questo Vangelo, normalmente, si pensa ai sacerdoti, che sono i pastori.
Cosa cerca la gente nei sacerdoti? Cerca pastori e non mercenari. E piuttosto si rassegna, molto spesso, a non trovare così frequentemente questa generosità.
Noi sappiamo che si può predicare bene, si può gestire bene, si può celebrare in maniera perfetta e trigonometrica, ma poi, al dunque, ciò che veramente tutti quanti stiamo aspettandoci, gli uni dagli altri, è qualcuno che dia il sangue, qualcuno che sia pastore e non mercenario.
Quando ci vediamo avvicinare un coniuge, un figlio, un padre, un amico, ci chiediamo in fondo all’anima: ma costui è un mercenario o è pastore? Viene per me o viene per sé? Starà con me solamente finché gli conviene e al primo pericolo scapperà, o mi sarà fedele?
Certamente il sacerdozio è una chiamata alla perdita della propria vita, come lo è il matrimonio. Certamente, ogni sposo, ogni sposa, spera di trovare nell’altro, non un mercenario, non uno sfruttatore, non una persona che si serva di noi, non un utilitarista, ma qualcuno che ci ami veramente. Certo che l’amore è una chiamata all’indissolubilità: per questo la Chiesa proclama che il matrimonio è indissolubile, ed è grottesco pensare che il matrimonio sia una cosa a termine. Perché l’amore non può essere una cosa che quando arriva il lupo te ne vai; quando non ti conviene più, butti via.  L’indissolubilità è una condizione che viene proprio esplicitata da questo testo.
Questo testo parla di uno che non si ferma di fronte al lupo, che al momento in cui la cosa diventa svantaggiosa si fa quattro calcoli e si tira indietro: è qualcuno che si gioca la propria vita per l’altro. Questo è l’amore: se non c’è questo non c’è amore!
Finché io dico, quello che mi conviene lo faccio o quello che mi piace, che mi appaga lo faccio, quello che non mi conviene, non mi appaga, non lo faccio… io non sono un amatore, io sono un mercenario; io non sono pastore, io non sono un fratello, io non sono uno sposo, io non sono un prete, io non sono un padre.  Questa società vive il dramma delle relazioni che si spezzano; nel cuore delle persone che hanno patito separazioni, frazioni delle proprie famiglie, defezioni nelle relazioni, c’è questo scandalo, questa tristezza, che sta lì, nel profondo dell’anima: non c’è nessuno che affronta il lupo. Quando arriva il lupo sei solo; quando arriva il lupo devi fare i conti solamente con la tua capacità di fuga o di lotta.
 Il Signore Gesù Cristo fa apparire una vita nuova. Per questo i cristiani hanno un amore indissolubile; per questo non conta avere il matrimonio o il sacerdozio, la fraternità o la paternità, o l’amicizia: conta avere lo spirito di Cristo. Conta avere lo spirito del Pastore.

C’è una frase agghiacciante, che richiama questo testo: quando avviene il primo omicidio della storia. Nel testo di Genesi 4, quando Caino uccide il suo fratellino minore, quando Caino devasta per invidia il suo fratello, dopo che l’ha ucciso c’è il grido di Dio “Dov’è Abele, tuo fratello?” E’ un grido che riecheggia anche con Adamo: “Adamo dove sei?”. Ha perso un figlio, con Adamo; ha perso un altro figlio, ancor più gravemente, con Abele. Lo sta cercando, ed è agghiacciante la risposta di Caino: “Non lo so, sono forse il custode di mio fratello?”. Questa è la frase degli assassini, di tutti coloro che non amano: perché non c’è bisogno di togliere la vita fisica a qualcuno per ucciderlo. Basta disinteressarsene.  La frase è: “Sono forse il custode di mio fratello?”. Tradotto dall’ebraico è il termine “pastore”, colui che lo guarda, colui che se ne occupa, colui che ti guarda, colui che si prende cura di te. Da che mondo è mondo, i fratelli maggiori hanno tenerezza per i fratelli minori, li difendono; da che mondo è mondo è naturale pensare che il fratellino piccolo dica: “Chiamo mio fratello più grande a difendermi!”. Ecco: meglio non chiamarlo questo fratello più grande: è l’assassino.
Ecco, noi siamo una generazione che ripete questo: “Sono forse il custode di mio fratello?”. Questo è il fratello che abbiamo intorno e che siamo anche noi. “Ma questi non sono fatti miei!”. Ecco, quando sentiamo la frase “Questo è un tuo problema”, siamo di fronte all’assassino. Siamo di fronte a quello che dice: “Ma mica sono il tuo custode!”.  La domanda poniamocela: “Sono il custode di mio fratello?” Esiste una sola risposta onesta: “Sì, lo sono”. Non possiamo vivere se non ci custodiamo gli uni, gli altri.  Non possiamo vivere se non siamo pastori gli uni degli altri. Non possiamo vivere, se tutto ciò che sappiamo fare è applicare un codice, una norma, un protocollo: ti faccio ciò che ti devo fare! Non sono semplicemente il tuo burocratico vicino di esistenza: io sono il tuo pastore e tu sei il mio.
Quando qualcuno dice: “Non ho niente contro di te” crede di dire qualcosa di bello. “Non hai niente contro di me?”, tu hai qualcosa con me, per me. Le nostre relazioni sono relazioni di cura: non può esistere qualcuno che non si prende cura di qualcuno che ha intorno! Ecco: io sono qui che sto morendo e tu, mi ignori?
Anche il Codice Penale conosce l’omissione di soccorso. Quante omissioni di soccorso nelle nostre relazioni! Quanti mercenari! Quante ferite, quante tristezze!
Il Signore Gesù Cristo è il Buon Pastore, colui che offre la vita per le pecore. Per la sua strada si impara l’arte di sanguinare per gli altri.

Auguro a tutti voi l’inquietudine di avere un cuore sanguinante, di soffrire per chi avete intorno. Vi auguro di essere imbarazzati per i problemi altrui, di essere scomodati dai problemi altrui. Vi auguro di avere tanti lupi cattivi da affrontare, ovverosia, tanto amore da praticare.

don Fabio Rosini


21/04/13

Chi ci separerà dall'amore di Cristo? - Rm 8, 31-39

Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!
Chi ci separerà dall'amore di Cristo? forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto

Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo considerati come pecore da macello.

Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.
Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.


dalla Lettera di San Paolo ai Romani


20/04/13

Nelle mani del Pastore - IV Pasqua

Gv. 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».


Oggi parliamo di pastori, come ogni quarta domenica di Pasqua.
Gesù si propone come pastore cosa che non stupisce in un paese in cui la pastorizia era una delle principali fonti di sussistenza. Ed è l’occasione, nella Chiesa, per interrogarci su chi è Chiesa e su come, in questa Chiesa, ognuno abbia delle responsabilità reciproche e sul fatto che alcuno fratelli siano chiamati a indicare il Pastore e a radunare attorno a lui il gregge.
La vita è un tempo che ci è dato per imparare ad amare.
Scoprirsi amati da Dio scoprire in lui la sorgente dell’amore è l’esperienza più bella che possiamo fare e questa esperienza è il cuore dell’annuncio della Chiesa.
Anche in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo (ma esistono tempi “facili”?).
Oggi vogliamo ascoltare la parola del Pastore, l’unico, che ci incoraggia e ci sprona ad avere fiducia nel Padre.

Pastore grintoso
Tutti pensiamo al pastore che va in cerca della pecora che si è persa e che la riporta caricandosela sulle spalle. Immagine dolcissima e commovente che ci consegna Luca e che, in trasparenza, svela l’esperienza interiore dell’evangelista. Ma il pastore di Giovanni, quello di cui si parla nel vangelo di oggi, assume altre caratteristiche: è duro e determinato e lotta strenuamente per difendere il gregge dai lupi e dai mercenari. Un pastore che veglia, che lotta, disposta a dare la propria vita per la salvezza del gregge, diversamente da come fanno i pastori per professione.
Gesù ci sta dicendo che siamo nelle sue mani, in mani sicure, che nessuno ci strapperà mai dal suo abbraccio, che solo in lui riceviamo la vita dell’Eterno. Ma per seguirlo occorre ascoltarlo e riconoscere la sua voce, cioè frequentare la sua Parola, meditarla assiduamente.
Quella Parola che diventa segno della sua presenza, che illumina ogni altro segno della presenza del Risorto.

Uditori
Diventare adulti nella fede significa scoprire ciò che Gesù dice: nulla mai ci potrà allontanare dalla mano di Dio. Gesù ci tiene per mano, con forza. Ci ama, come un pastore capace, come qualcuno che sa dove portaci a pascolare. Non come un pastore pagato a ore, ma come il proprietario che conosce le pecore ad una a una. Siamo stati comprati a caro prezzo dall’amore di Cristo.
Perché dubitare della sua presenza? Nulla mi può separare dalla sua mano.
La fonte della fede, l’origine della fede è l’ascolto. 
Ascolto della nostra sete profonda di bene e di luce. Ascolto della Parola che Gesù ci rivolge svelando il Padre. Questo ascolto ci permette di ascoltare la nostra vita in maniera diversa, di mettere il Vangelo a fondamento delle nostre scelte.
Ci conosce, il Maestro.
Conosce il nostro limite, la nostra fatica, ma anche la nostra costanza e la gioia che abbiamo nell’amarlo. E Gesù, oggi, ci esorta: niente ti strapperà dal mio abbraccio.
Non il dolore, non la malattia, non la morte, non l’odio, non la fragilità, non il peccato, non l’indifferenza, non la contraddizione di esistere. Nulla.
Nulla ci può rapire, strappare, togliere da Lui.
Siamo di Cristo, ci ha pagati a caro prezzo.
Siamo di Cristo.

Pastori nel pastore
Sono tempi grandiosi, per la Chiesa. 
La quaresima che abbiamo appena vissuto ha visto la rinuncia di Benedetto (che, come previsto, fa esattamente ciò che ha detto di voler fare: si nasconde e prega per noi!) e l’accettazione di Francesco, diretto ed evangelico, che ha ridato grande speranza a tutti i discepoli.
Molti perdono fiducia nella Chiesa e nei suoi pastori, guardando alle mele marce (che necessitano della nostra preghiera, ma anche di essere fermate) e scordando le centinaia di migliaia di preti, di catechisti, di religiosi che vivono con generosità e correttezza il loro ministero. 
Questa domenica, dedicata alla preghiera per i pastori, diventa, quest’anno, densa di significato e di coinvolgimento.
È questo il momento di pregare per i nostri pastori, questo il momento di fare penitenza, di andare all’essenziale. Di chiedere preti santi, a immagine del Santo. 
Quanta sofferenza mi raccontano i miei confratelli, persone trasparenti, evangeliche, veramente avvinte dal Signore, travolti dalle cose da fare, spesso ingabbiati in una struttura e nelle attese della gente che li considera dei funzionari e non dei fratelli nella fede!
A loro papa Francesco ricorda:

«Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” - questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini».

È questo il tempo della preghiera e della conversione.
È l’intero corpo che soffre e l’intero corpo deve guarire, purificandosi, facendo penitenza.
Con sguardo profetico e spirituale, papa Francesco invita tutti noi ad accettare questo momento non per chiuderci a riccio, o lamentarci, o metterci sulle difensive, ma per stringere, forte, la mano del Signore. Nulla ci può rapire dalla sua mano.
Anche se siamo un gregge testardo, incoerente, spelacchiato, il Signore non ci abbandona.
Ancora per dire e per dirci che la Chiesa non è il popolo dei perfetti, ma dei perdonati.
Non il popolo dei giusti, ma dei figli.

Paolo Curtaz

www.tiraccontolaparola.it


17/04/13

L'ora del naufragio - D. Bonhoeffer

Comprendete l'ora della tempesta e del naufragio: è l'ora della inaudita prossimità di Dio, non della sua lontananza. Là dove tutte le altre sicurezze si infrangono e crollano, e tutti i puntelli che reggevano la nostra esistenza sono rovinati uno dopo altro; là dove abbiamo dovuto imparare a rinunciare, proprio là si realizza questa prossimità di Dio, perché Dio sta per intervenire, vuol essere per noi sostegno e certezza. 
Egli distrugge, lascia che abbia luogo il naufragio, nel destino e nella colpa; ma in ogni naufragio ci ributta su di Lui. Questo ci vuole mostrare: quando tu lasci andare tutto, quando perdi e abbandoni ogni tua sicurezza, ecco, allora sei libero per Dio e totalmente sicuro in Lui. 
Che solo ci sia dato di comprendere con retto discernimento le tempeste della tribolazione e della tentazione, le tempeste d'alto mare della nostra vita! In esse Dio è vicino, non lontano, il nostro Dio è in croce. La croce è il segno in cui la falsa sicurezza viene sottoposta a giudizio e viene ristabilita la fede in Dio. 


Dietrich Bonhoeffer



15/04/13

L'albatros - Alda Merini

Io ero un uccello 
dal bianco ventre gentile, 
qualcuno mi ha tagliato la gola 
per riderci sopra, 
non so. 

Io ero un albatro grande
e volteggiavo sui mari. 
Qualcuno ha fermato il mio viaggio, 
senza nessuna carità di suono. 

Ma anche distesa per terra 
io canto ora per te 
le mie canzoni d'amore.

Alda Merini


14/04/13

Dalla crisi una nuova Chiesa - J. Ratzinger

«Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. 
Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. 
Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. 
Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la Fede al centro dell’esperienza. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la Sinistra e ora con la Destra. 
Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti. 
Allora la gente vedrà quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto.»

Joseph Ratzinger   

(dicembre 1969, conclusione del ciclo di lezioni radiofoniche presso la Hessian Rundfunk, ripubblicati nel volume “Faith and the Future”)


13/04/13

Mi ami tu? - III Pasqua

Gv 21, 1-19

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».


Normalmente, nella forma lunga di questo Vangelo, si distinguono due parti: quella della pesca miracolosa e la parte della dichiarazione di amore che Cristo chiede a Pietro. Sembrano due testi separati ma in realtà è un testo solo.
L’elemento attorno cui ruota tutto questo Vangelo è la pesca miracolosa.
Per comprendere meglio dobbiamo partire dalla domanda che Gesù fa Simon Pietro: “Simone figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”.
Normalmente la traduzione che si sceglie di seguire è: “più di costoro”. 
[Se però andiamo a vedere i verbi nel testo greco originale, presentano un'ambiguità che apre ad ipotesi di lettura diverse].

Un'ipotesi di lettura - quella che diamo sempre - è che a Simon Pietro è chiesto di amare Gesù, più di quanto gli altri amano; oppure di amare Gesù più degli altri
In ogni caso entrambe le interpretazioni lasciano un pochino in difficoltà. 
Vediamo che in questo testo compare un altro, che è il discepolo amato, colui che ha una relazione d’amore con Gesù, che viene focalizzata come la condizione del discepolo per eccellenza. Quindi, potremo interpretare il passo del Vangelo anche  in questa chiave: Pietro è chiamato a diventare, fino in fondo, un po’ come il “discepolo amato”, ossia quello che ha una relazione di predilezione con il Signore.
[Tuttavia una quarta ipotesi possibile è quella che] traduce questo "costoro" del testo evangelico, non come “mi ami più di qualcuno”, ma come “mi ami più di qualcosa, di queste cose qui”. (...)

Il testo comincia con Pietro che torna a pescare; torna alle sue vecchie cose, torna alle cose che faceva prima di conoscere il Signore. Và a pescare, ma queste vecchie cose si rivelano inutili, non servono: infatti gli apostoli non pescano nulla. 
A questo punto compare Gesù, ma Pietro non lo riconosce. Sarà attraverso l’esperienza della pesca miracolosa, che lo riconoscerà, con l’aiuto del discepolo amato; egli rappresenta sempre quel “passo in avanti” che permette a Pietro di entrare nelle cose: nella scena del sepolcro, come anche nella scena del rinnegamento… il discepolo amato precede sempre Simon Pietro, lo fa entrare nei luoghi importanti, belli e brutti, in cui lui deve capire qualche cosa. Anche in questa scena viene introdotto dal discepolo amato che gli dice “E’ il Signore!”. E allora lo riconosce.
Torna a riva con tutto questo “ben di dio” che hanno pescato e stanno mangiando insieme di questo pesce. (...) A questo punto Gesù domanda a Simon Pietro: mi ami più di queste cose? Mi ami più della barca, delle reti, del pesce, di tutte le cose che avevi lasciato per seguirmi, di tutte le cose che tu avevi messo da parte per stare con me?

E' un ritrovamento di Gesù risorto: Simon Pietro ha fatto un’esperienza, ma questa esperienza si sta annacquando, in un ritorno alle vecchie cose.
Ed è il pericolo costante della Chiesa. 
Questo capitolo 21° del vangelo di Giovanni, infatti, ci apre la prospettiva della storia della Chiesa: come farà la Chiesa nei momenti di difficoltà, nei momenti in cui non pesca niente? Nel momento in cui agisce secondo i suoi criteri, ha perso di vista il Signore e la sua missione la svolge partendo da se stessa, dalle sue proprie capacità? La Chiesa, da sola, non può proprio niente, senza il suo Sposo. Dovrà rinnovare la sua chiamata.

Gesù quindi chiede a Simon Pietro “mi ami più di queste cose?
Mi ami di più: il Signore va amato di più: questo è ciò che rimetterà Simon Pietro nella condizione piena del discepolo, rimetterà la Chiesa intera in sella alla sua missione. 
Questo avverrà per mezzo di una pesca miracolosa, che però a questo punto diventa secondaria: questi pesci infatti vanno abbandonati. Come nei Vangeli sinottici, Simone aveva dovuto abbandonare la barca e le reti all’inizio della sua chiamata, così,anche questa volta, alla fine, Gesù dirà a Simon Pietro: “Seguimi”. E lui dovrà lasciare queste cose, amarlo più di queste cose.

E’ evidente che la domanda viene fatta tre volte, perché tre volte c’è stato il rinnegamento da parte di Simon Pietro, e Pietro deve arrivare ad una tristezza, che è la consapevolezza della propria debolezza, che è prendere fino in fondo in mano la sua povertà e accettare di essere chiamato non perché lui è all’altezza della sua vocazione. 
Quando nel capitolo 13° aveva detto “Io darò la mia vita per te!” Gesù gli risponde “Mi seguirai più tardi”. In questo brano invece gli dice: seguimi adesso. 
Adesso che ha imparato l’arte di riconoscerlo da risorto, che ha imparato a stare con Gesù amandolo di più delle cose a cui è tentato di tornare. Adesso è possibile che Simon Pietro si lanci verso la nuova realtà.

Quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio – adulto, anziano, maturo – tenderai le mani e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi” . 
Questo è il cambiamento di Pietro: dall’essere uno che si veste come gli pare e và dove gli pare - quindi in una condizione infantile, uno che non ha ancora fatto quel salto adulto che è l’esser stato amato nel suo errore - ad aver capito che Gesù vale più di ogni cosa (e che è inutile tenere di riserva, la sua vecchia professione, così, se va male con Gesù recupera con quella)… Ora finalmente può entrare nella vita adulta, ossia tendere le mani – riferimento chiaro alla crocifissione – ed essere vestito da un altro, avere l’abito da un altro. 

In sintesi questa è la storia di come la Chiesa si riappropria costantemente della resurrezione di Cristo, tentata sempre di tornare alle sue vecchie cose. Ogni cristiano fa esperienze belle, meravigliose... vede Cristo risorto nella sua vita, ma deve fare sempre i conti con questa tentazione: tornare alle proprie forze. 
Deve fare esperienza di gettare le reti in una maniera diversa, cominciando sempre da una piccola obbedienza: sta pescando, non funziona, allora arriva Gesù che gli dice di pescare in un’altra maniera, e attraverso questa obbedienza lo ritrova. 
Ritrovandolo riscopre il suo atto di amore verso Gesù, che implica delle rinunce, implica un amare di più, implica amare Gesù più delle cose di questo mondo. 

A questo punto si diventa adulti, a questo punto si diventa pronti ad amarlo più della propria stessa vita, ad amarlo fino in fondo e ad essere, fino in fondo, discepoli.

don Fabio Rosini

Ventinove



La cortesia di alcuni
è come una conchiglia levigata,
delicata al tatto,
ma al cui interno manca
la preziosa perla:
una conchiglia
completamente chiusa
ai reali bisogni del fratello

Kahlil Gibran

12/04/13

Ventotto

Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso.

Annie Hebert


11/04/13

Ci manca la fantasia dell'amore - A. Pronzato

«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)


Le chiamate dell'ordinario.
Per favore, non leghiamo l'amore agli avvenimenti eccezionali, alle grandi imprese.
L'amore, certo si manifesta nei fatti più che con le parole. Ma non si tratta, normalmente, di fatti eccezionali, bensì modesti, piccoli, quasi trascurabili, quotidiani. (...)
Proprio quando non succede niente di straordinario, è il momento per far succedere lo straordinario dell'amore. (...)
Il "tutto" dell'amore lo si vive nel frammento delle occupazioni di ogni giorno. Più che cogliere le "grandi occasioni" - che magari non arrivano mai - è assai più importante, e difficile, non lasciarsi sfuggire le infinite, piccole occasioni per amare.
Io credo che uno dei rimorsi più tormentosi che ci frugano impietosamente nella coscienza, allorché facciamo il bilancio della nostra vita, sia provocato dalla consapevolezza di aver lasciato passare, inutilizzate, una serie impressionante di minuscole opportunità, specialmente nel campo dell'amore, dell'attenzione all'altro. (...)
Non basta accorrere - una tantum - alla chiamata dello straordinario, dell'emergenza. Ciò che conta è avvertire la chiamata continua dell'ordinaria amministrazione.
La musica più bella dell'amore è quella che sta scritta nello spartito un po' sdrucito, delle giornate e delle ore tutte uguali. Le grandi ore dell'amore coincidono con l'ora che stai vivendo.

Ci vuole così poco...
Mio padre mi aveva insegnato un grande segreto: «Ci vuole così poco...».
Era un ritornello abituale, indirizzato sopratutto a me. Lui non approvava certe mie impuntature, spigolosità, scontrosità, puntigliosità, posizioni rigide, atteggiamenti polemici. (...)
«Ci vuole così poco...».
Un sorriso. Cinque minuti di tempo. Una parola condiscendente. Un gesto amichevole. Una gentilezza verso quella persona antipatica. Un minuscolo atto di generosità nei confronti di chi non se lo merita. Un briciolo di pazienza per un vecchio noioso. Un po' di attenzione prestata a una persona petulante. Una cartolina spedita da un paese straniero a un poveraccio trascurato da tutti. (...)
Mio padre non pretendeva certo di risolvere tutti i problemi del mondo. Sapeva che erano troppi e ci vuole troppo. 
Si è limitato a propormi una ricetta per cominciare a risolverne qualcuno, a pochi metri di distanza.
Oggi mi sto convincendo che ci vuole così poco per cambiare qualcosa nella propria vita, e quindi cambiare qualcosa anche nel mondo.
Ammetto, però, che ci vuole molto coraggio per riconoscere che.... ci vuole così poco.
Abituati come siamo ad affrontare anche i più piccoli problemi con discussioni interminabili, progetti globali, programmazioni sterminate, tonnellate di documenti, questionari, dichiarazioni solenni, quel "così poco" ci mette addosso tanta paura.

Dio non ama le ripetizioni
Dio è amore (1Gv 4,8). E, perciò, Dio è anche fantasia. La fantasia, infatti, è il genio dell'amore.
Dio è "nuovo". E ama fare cose nuove.
«Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19).
Nel suo amore, Lui non è mai ripetitivo, ma sorprendente, inedito, originale.

«Ora faccio udire cose nuove
e segrete che tu nemmeno sospetti.
Ora sono create e non da tempo:
prima di oggi tu non le avevi udite
perché tu non dicessi: "Già lo sapevo"» (Is 48, 6-7)

Per coloro che ama, Dio crea «nuovi cieli e nuova terra» (Is 65, 17).
Allorché, nell'amore, si spegne la fantasia, quello è il segno allarmante che si sta spegnendo anche l'amore.
Venendo meno la fantasia, ci si rifugia nel ricordo nostalgico, nel rimpianto lamentoso del passato, nelle recriminazioni. I sospiri lacrimevoli spuntano quando muoiono gli «oh!» di meraviglia. La memoria, allora, oltre che rifugio più o meno confortevole, può diventare addirittura una prigione, che paralizza il dinamismo dell'amore.
La fedeltà stessa, senza fantasia, si riduce a stanca replica, copione obbligato, rigidezza, catena inesorabile.
Al contrario, la fedeltà all'insegna della fantasia, è creatività, freschezza, spontaneità, libertà.

La carità, per non inaridire, ha bisogno della fantasia.
La fantasia deve mettersi anche al servizio della carità, per evitarle il pericolo di inaridire e inacidire. 
La fantasia, ovviamente, non fa mai perdere il contatto con la ragione e coi fatti concreti. 
Tuttavia, non esita a spingersi "oltre". Impedisce, così, alla carità di essere semplicemente una noiosa, pedante sgobbona, e perfino una insopportabile bisbetica.
Con la fantasia, la carità non è soltanto pesante dovere da compiere, ma capacità e gioia di "sorprendere" l'altro, indovinarne le esigenze (anche quelle che lui non riesce ad esprimere o addirittura di cui non è neppure cosciente), anticiparne i desideri, e offrirgli novità che lo aiutino a vivere e a sperare.
C'è da aver paura di una carità sciatta, burocratica, ciabattona, lagnosa, cupa, infastidita, che si limita a fornire - senza slancio - lo stretto necessario.
La carità non può rassegnarsi ad essere soltanto "una cosa buona". Deve diventare "una cosa bella".
Grazie alla fantasia, l'amore non si riduce a ripetere gesti meccanici, prestazioni serie, ma inventa sempre qualcosa di stupefacente, di unico, di esclusivo.
L'amore si conserva - e si rafforza e cresce - unicamente quando viene "creato" giorno per giorno, allorché diventa, quotidianamente, "una cosa nuova", mai sperimentata prima.

Il superfluo è la cosa necessaria
(...) Anche il superfluo, in certe circostanze, può risultare indispensabile. 
Per non morire di fame, l'uomo ha bisogno di pane di fiori.
«Vestire gli ignudi» può voler dire anche assicurare il profumo. D'altra parte, il dono dell'essenziale, perché non abbia ad umiliare, va accompagnato dal superfluo. 
Per evitare che la carità puzzi di stantìo, bisogna profumarla, darle la fragranza della novità.
La carità deve celebrare i propri riti in un clima di festa, non di tetraggine e squallore.
E poi, chi è in grado di stabilire, una volta per tutte, che cosa è superfluo e che cosa è necessario?
In determinate circostanze, un fiore può essere indispensabile più del pane, la musica più della minestra, il profumo più del vestito, una fotografia più dell'immagine devota. 
Un povero, talvolta, può aver bisogno di un sorriso più che dell'elemosina (e, comunque, meglio ci siano tutti e due), di un po' del nostro tempo e della nostra attenzione partecipe, più che del nostro aiuto.
Il povero richiede dignità, prima ancora che compassione.
Un vecchio non può fare a meno della medicina. Ma ha bisogno anche di essere "onorato" con una tovaglia candida, una passeggiata, una gita in macchina. E, per addormentarsi, talvolta richiede la pillola. Ma, se non abbiamo chiuso il cuore nell'insensibilità, dobbiamo intuire che implora anche una carezza.

A Cana, la Madonna si è accorta che mancava non il necessario, ma il superfluo. Ed è intervenuta per assicurare non il pane, ma il vino "inutile". Si è data da fare per colmare quel vuoto intollerabile. (...)
Gesù stesso, che pure ha sempre condotto un'esistenza da povero, nell'imminenza della Passione, ha apprezzato il gesto "scandaloso" della donna che gli versava sul capo un profumo costosissimo (cfr. Mt 14, 3-9).
Dobbiamo convincerci che non è possibile amare senza un pizzico di fantasia.
Non si tratta soltanto di rispondere alle attese.
Il compito più urgente può essere quello di "sorprendere", ossia di produrre l'inatteso, l'imprevedibile.
Il "di più" risulta indispensabile per vivere.

Donna dell'imprevedibile
Maria, tu hai sperimentato più di chiunque altro, e anche cantato, le «grandi cose» (Lc 1,49), e quindi anche «le cose nuove» che il Signore ha compiuto in te e per te.
Sei stata la beneficiaria stupefatta della fantasia del suo Amore.
Per cui è logico pensare che anche la tua risposta e la tua fedeltà si siano sviluppate sulla stessa linea di novità e creatività. A partire dalla prima notizia, recapitata dall'angelo, Lui non ha mai cessato di "sorprenderti". E tu, certo, ti sei impegnata a "sorprendere" Lui. 
Il tuo «sì» è stata una sorpresa grandiosa.
E tutte le volte che ribadivi il iniziale, era sempre qualcosa di nuovo, di «mai sentito». Nessuno dei tuoi innumerevoli era uguale all'altro. Ognuno di quei  conteneva qualcosa di diverso, perfino di inimmaginabile.
E io amo immaginare che anche nella tua casa di Nazareth si svolgesse, grazie alla tua delicata regia, una vita ordinaria e imprevedibile al tempo stesso. Non una rigida e statica programmazione, ma le continue invenzioni della fantasia. Nello spartito delle solite occupazioni, tu riuscivi a produrre le "improvvisazioni" dell'amore.

Donna dell'imprevedibile, togli dal nostro amore la patina opaca della noia, del risaputo, della monotonia, del ripetitivo. Strappagli di dosso l'abito logoro della trasandatezza. (...)
Maria Vergine fedele e sorprendente (...) aiutaci a comprendere che tutto è possibile per chi ama.
Perfino non ripetersi, pur compiendo le stesse cose, e dedicandosi alle stesse occupazioni di sempre.
Maria, facci capire che la fantasia ci avvicina al Dio creatore. (...)
Rendici coscienti che un fiore può rendere la nostra terra più abitabile.

don Alessandro Pronzato 

"C'era la Madre di Gesù... A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca"

10/04/13

La barca di legno di rosa - Ivano Fossati



da "Lindbergh. Lettere da sopra la pioggia"


Passa una barca di legno d'ulivo 
con sopra un pescatore e un pesce ancora vivo
e il tempo li insegue,
il tempo li circonda, 
il tempo li dondola e gli fa l'onda,
l'onda del mare 
di gente questo mare
l'onda del mare 
di gente questo mare. 

Passa un barca di voci leggere 
piena di canzoni e senza acqua per bere:
sono le donne dei paesi vicini 
sono le donne coi loro bambini; 
sono le operaie povere malpagate 
sono le operaie povere abbandonate 
in braccio al mare, 
di gente questo mare 
in braccio al mare 
di gente questo mare. 

Passa una barca di legno di pino 
con sopra un gendarme e con sopra un assassino 
e i loro pensieri sono legati insieme, 
i loro pensieri gettati in catene 
in fondo al mare, 
catene in fondo al mare 
in fondo al mare 
di gente questo mare. 

Passa una barca tagliata a metà 
con mezzo capitano e mezzo motore che non va 
e mezzo marinaio, mezza faccia sorridente 
che ha perso l'anima e non ha sentito niente 
in mezzo al mare, 
l'anima in mezzo al mare, 
in mezzo al mare 
di gente questo mare. 

Passa una barca di legno di rosa 
che arriva al mattino e porta già la sposa 
e la sposa è bella quasi come in una favola... 
Bambini giù dal letto, bambini tutti a tavola 
che il tempo tac, il tempo non ci aspetta 
il tempo tac, non ci rispetta 
e corre disperato, 
disperato come un cane, 
ma oggi c'è da mangiare 
perfino per chi ha fame 
in questo mare 
di gente questo mare 
in questo mare 
di gente questo mare. 

Ah, se potessi raccontare 
tutto quello che vedo e sento 
dall'orizzonte di questo cielo 
che picchia giù nel mare 
in questa notte cieca di luna 
e te 
se stai ad ascoltare.