29/01/14

Cinquantanove


Ciascuno di noi ha una sua vocazione. Tutti siamo chiamati da Dio ad avere parte nella Sua vita e nel Suo regno. Se siamo chiamati nel posto in cui Dio vuole fare il massimo bene, significa che siamo chiamati dove possiamo meglio lasciare noi stessi e trovare Lui.

Thomas Merton
 



28/01/14

La nuova evangelizzazione - papa Francesco (E.G.)

 dalla «Evangelii Gaudium», esortazione apostolica, 2013


III. La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede

14. In ascolto dello Spirito, che ci aiuta a riconoscere comunitariamente i segni dei tempi, dal 7 al 28 ottobre 2012 si è celebrata la XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana". Lì si è ricordato che la nuova evangelizzazione chiama tutti e si realizza fondamentalmente in tre ambiti.

In primo luogo, menzioniamo l'ambito della pastorale ordinaria, «animata dal fuoco dello Spirito, per incendiare i cuori dei fedeli che regolarmente  frequentano la Comunità e che si riuniscono nel giorno del Signore per nutrirsi della sua Parola e del Pane di vita eterna» (Benedetto XVI, Omelia). Vanno inclusi in quest'ambito anche i fedelli che conservano una fede cattolica intensa e sincera, esprimendola in diversi modi, benché non partecipino frequentemente al culto. Questa pastorale si orienta alla crescita dei credenti, in modo che rispondano sempre meglio e con tutta la loro vita all'amore di Dio.

In secondo luogo, ricordiamo l'ambito delle «persone battezzate che però non vivono le esigenze del Battesimo» (ibid.) non hanno un'appartenenza cordiale alla CHiesa e non sperimentano più la consolazione della fede. La Chiesa, come madre sempre attenta, si impegna perché essi vivano una conversione che restituisca loro la gioia della fede e il desiderio di impegnarsi con il Vangelo. 

Infine, rimarchiamo che l'evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Molti di loro cercano Dio segretamente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana. Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I crstiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma «per attrazione» (Benedetto XVI, Omelia).

15. Giovanni Paolo II ci ha invitato a riconoscere che «bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per l'annunzio» a coloro che stanno lontani da Cristo, «perché questo è il compito primo della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio 1990). L'attività missionaria «rappresenta, ancor oggi, la massima sfida per la Chiesa» (ibid.) e «la causa missionaria deve essere la prima» (ibid.). Che cosa succederebbe se prendessimo realmente sul serio queste parole? Semplicemente riconosceremmo che l'azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa. In questa linea, i Vescovi latinoamericani hanno affermato che «non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa passiva, dentro le nostre chiese» (Documento di Aparecida, 2007) e che è necessario passare «da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria» (ibid.). Questo compito continua ad essere la fonte delle maggiori gioie per la Chiesa: «Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più ch per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7).

papa Francesco

25/01/14

Inizio della missione di Gesù in Galilea - III T.O. (A)

 Mt 4,12-23

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.


Il Vangelo di questa domenica include un passo dal capitolo 8° del profeta Isaia: «Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce.» Il testo di Isaia prosegue fino ad un punto in cui si fa riferimento ad un momento in cui "è stato spezzato il giogo che opprimeva il popolo e il bastone del suo aguzzino è stato spezzato, come nel giorno di Màdian". A cosa fa riferimento il testo? Alla storia di un giudice, Gedeone, il quale vincerà contro i madianiti, con un piccolissimo numero di soldati, solmanete 300, contro migliaia di nemici, perché userà la luce nella notte, accenderà delle fiaccole, metterà dei suoni, romperà delle brocche... con una battaglia non convenzionale. 
Ecco che arriviamo a Gesù, che quando ci sarà l'episodio drammatico dell'arresto di Giovanni capisce che è il momento della sua missione: Giovanni si ferma e Lui parte, va nella Galilea, và a Cafarnao, sulla riva del mare. Cafarnao è la città più importante su una certa, ben precisa, via, che il testo del profeta Isaia cita, come la via del mare.  La via del mare era una via commerciale, piuttosto importante, che da nord, sud, est, ovest andava verso il Mediterraneo e passava per questo lago, il lago di Tiberiade . Cafarnao stava proprio al crocevia. Quindi che cos'è la Galilea? Era un luogo dove passavano tanti tipi di popolazioni, non era "la pura Giudea", ma piuttosto una "periferia" dove si è a contatto con altri, con persone di diverse origini e provenienze. 
Quindi vediamo che, curiosamente, la storia della salvezza non partirà da un luogo di purezza, da un luogo di perfezione; non partirà da un luogo asettico, igienico, tranquillo, sicuro, ma dalla confusione di un luogo dove ci sono tanti pagani, tante persone che passano, tanta debolezza, tanta poca obbedienza alla Legge.... La Galilea quindi è un territorio che confina con altre Nazioni: c'è la Decapoli, per esempio, le cui città sono tutte pagane, ci sono le città di cultura ellenistica... insomma, per Gesù è questo il posto giusto. C'è la tenebra: è questo il punto di partenza del Signore. Lui non inizia entrando dalle cose già a posto, ma dalle cose rotte, dalle cose messe male, dalle cose confuse: dalle nostre tenebre. 
Gesù comincia la sua missione "dallo scantinato", dalla zona meno presentabile... una zona che persino le Scritture citano pochissimo: è il luogo del popolo che cammina nelle tenebre, nella confusione, di assenza di "purismo giudaico". 
Gesù chiama questo tipo di persone; chiama gente che porta avanti un'esistenza in una zona di periferia. Capiamo perché insiste tanto su questo tipo di tematica il nostro papa Francesco: è quello il luogo della chiamata, il luogo in cui comparirà splendidamente la chiamata di Pietro, Andre, Giacomo e Giovanni.
Sono chiamati, dove? Mentre stanno in sinagoga a mani giunte a pregare? No: chiamati mentre stanno lavorando, lì dove sembrerebbe che Dio non c'entra niente. Ma è proprio lì che Dio li va a chiamare, è lì che li trova, li "stana".
«Convertitevi perché il Regno dei Cieli è vicino» dice Gesù. E' vicino  a chi? E' vicino a gente che è in luogo che è lontano dal Tempio; è vicino proprio a quelli che sembrerebbero i meno adatti. E' prorpio qui la srpresa: il Signore Gesù si è incarnato e non ha preso una condizione che richiede a noi chissà quali condizioni e prerogative... No: ci prende prorpio nel momento più profano, lontano. E' lì che il Regno dei Cieli è vicino. E non perché noi siamo vicini a Lui, ma è Lui ad essere vicino a noi! Perché è Gesù che è venuto "in Galilea"; è Gesù che è sceso a Cafarnao; è Gesù che si è messo sulla via del mare. E' Lui che chiama chi è confuso, intrecciato, impastato con la vita ordinaria. E' Lui che ci chiama proprio lì! Questo Vangelo ci dice che non c'è luogo dove Dio non ci possa trovare. La tenebra è un luogo dove il Signore Gesù Cristo ci può venire a stanare.
Questa non è altro che la prefigruazione di quella che sarà la missione vera e propria: andare giù, scendere nella tenebra più profonda dell'uomo, nei suoi inferi, nella morte dell'uomo e lì prenderlo per mano e chiamarlo. 
Non guardiamo a noi stessi per credere che siamo chiamati: guardiamo a Lui che ci chiama. Non guardiamo alla nostra capacità: guardiamo alla Sua potenza. E' Lui che sa trasformare la tenebra in luce.

don Fabio Rosini


20/01/14

Spiritualità della bicicletta - Madeleine Delbrêl

“Andate...” dici a ogni svolta del Vangelo.
Per essere con Te sulla Tua strada occorre andare
anche quando la nostra pigrizia ci scongiura di sostare.

Tu ci hai scelto per essere in un equilibrio strano.
Un equilibrio che non può stabilirsi né tenersi
se non in movimento,
se non in uno slancio.

Un po’ come in bicicletta che non sta su senza girare,
una bicicletta che resta appoggiata contro un muro
finché qualcuno non la inforca
per farla correre veloce sulla strada.

La condizione che ci è data è un’insicurezza universale,
vertiginosa.
Non appena cominciamo a guardarla,
la nostra vita oscilla, sfugge.

Noi non possiamo star dritti se non per marciare,
se non per tuffarci,
in uno slancio di carità.

Tutti i santi che ci sono dati per modello,
o almeno molti,
erano sotto il regime delle Assicurazioni,
una specie di Società assicurativa spirituale che li garantiva
contro rischi e malattie,
che prendeva a suo carico anche i loro parti spirituali.
Avevano tempi ufficiali per pregare
e metodi per fare penitenza, tutto un codice di consigli
e di divieti.

Ma per noi
è in un liberalismo un poco pazzo
che gioca l’avventura della tua grazia.
Tu ti rifiuti di fornirci una carta stradale.
Il nostro cammino si fa di notte.
Ciascun atto da fare a suo turno s’illumina
come uno scatto di segnali.
Spesso la sola cosa garantita è questa fatica regolare
dello stesso lavoro ogni giorno da fare
della stessa vita da ricominciare
degli stessi difetti da correggere
delle stesse sciocchezze da non fare.

Ma al di là di questa garanzia
tutto il resto è lasciato alla tua fantasia
che vi si mette a suo agio con noi.

Madeleine Delbrêl


19/01/14

La gioia di evangelizzare - papa Francesco (E.G.)

 dalla «Evangelii Gaudium», esortazione apostolica, 2013



II. La dolce e confortante gioia di evangelizzare

9. Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri. Comunicandolo, il bene attechisce e si sviluppa.
Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l'altro e cercare il suo bene. Non dovrebbero meravigliarci allora alcune espressioni di san Paolo: «L'amore di Cristo ci possiede» (2Cor 5,14); «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16).
10. La proposta è vivere ad un livello superiore, però non con minore intensità: «La vita si rafforza donandola e s'indebolisce nell'isolamente e nell'agio. Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vita agli altri»(Documento di Aparecida, 2007). Quando la Chiesa chiama all'impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale: «Qui scopriamo un'altra legge rpfonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri. La missione, alla fin fine, è questo» (ibid.). Di conseguenza, un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale. Recuperiamo e accresciamo il fervore, «la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime […] Possa il mondo del nostro tempo - che cerca ora nell'angoscia, ora nella speranza - ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo» (Paolo VI, Evangelii nuntiandi 1975).

UN'ETERNA NOVITA'

11. Un annuncio rinnovato offre ai credenti, anche ai tiepidi o non praticanti, una nuova gioia nella fede e una fecondità evangelizzatrice. In realtà, il suo centro e la sua essenza è sempre lo stesso: il Dio che ha manifestato il suo immenso amore in Cristo morto e risorto. Egli rende i suoi fedeli sempre nuovi, quantunque siano anziani, «riacquistano forza mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,31). Cristo è il «Vangelo eterno» (Ap 14,6), ed è «lo stesso ieri e oggi e per sempre»(eb 13,8), ma la sua ricchezza e la sua bellezza sono inesauribili. Egli è sempre giovane e fonte costante di novità. La Chiesa non cessa di stupirsi per «la profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio»(Rm 11,33). Diceva san Giovanni della Croce: «questo spessore di sapienza e scienza di Dio è tanto profondo e immenso, che, benché l'anima sappai di esso, sempre può entrare più addentro» (Cantico Spirituale 36,10). O anche, come affermava sant'Ireneo: «[Cristo], nella sua venuta, ha portato con sé ogni novità» (Adversus haeres IV).
Egli sempre può, con la sua novità, rinnovare la nostra vita e la nostra comunità, e anche se attraversa epoche oscure e debolezze ecclesiali, la proposta cristiana non invecchia mai. Gesù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre "nuova".

12. Sebbene questa missione ci richieda un impegno generoso, sarebbe un errore intenderla come un eroico compito personale, giacché l'opera è prima di tutto sua, al di là di quanto possiamo scoprire ed intendere. Gesù è «il primo e più grande evangelizzatore» (Paolo VI, Evangelii nuntiandi 1975). In qualunque forma di evangelizzazione il primato è sempre di Dio, che ha voluto chiamarci a collaborare con Lui e stimolarci con la forza del suo Spirito. La vera novità è quella che Dio stesso misteriosamente vuole produrre, quella che Egli ispira, quella che Egli provoca, quella che Egli orienta e accompagna in mille modi. In tutta la vita della Chiesa si deve sempre manifestare che l'iniziativa è di Dio, che «è lui che ha amato noi» per primo (1Gv 4,10) e che «è Dio solo che fa crescere» (1Cor 3,7). Questa convinzione ci permette di conservare la gioia in mezzo a un compito tanto esigente e sfidante che prende la nostra vita per intero. Ci chiede tutto, ma nello stesso tempo ci offre tutto.

13. Neppure dovremmo intendere la novità di questa missione come uno sradicamento, come un oblio della storia viva che ci accoglie e ci spinge in avanti. La memoria è una dimensione della nostra fede che potremmo chiamare "deutoeronomica", in analogia con la memoria di Israele. Gesù ci lascia l'Eucarestia come memoria quotidiana della Chiesa, che ci introduce sempre più nella Pasqua (cf. Lc 22,19). La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo della memoria grata: è una grazia che abbiamo bisogno di chiedere. Gli Apostoli mai dimenticarono il momento in cui Gesù toccò loro il cuore: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,39). Insieme a Gesù, la memoria ci fa presente una vera «moltitudine di testimoni» (Eb 12,1). Tra loro, si distinguono alcune persone che hanno inciso in modo speciale per far germogliare la nostra gioia credente (...). A volte si tratta di persone semplici e vicine  che ci hanno iniziato alla vita della fede (...) Il credente è fondamentalmente "uno che fa memoria".

papa Francesco

Credevo che il mio viaggio... - R. Tagore



 Credevo che il mio viaggio
fosse giunto alla fine
mancandomi oramai le forze.

Credevo che la strada
davanti a me
fosse chiusa
e le provviste esaurite.

Credevo che fosse giunto
il tempo
di trovare riposo
in una oscurità pregna
di silenzio.

Scopro invece che i tuoi 
progetti
per me non sono finiti
e quando le parole ormai
vecchie
muoiono sulle mie labbra
nuove melodie nascono dal
cuore;

e dove ho perduto le tracce
dei vecchi sentieri
un nuovo paese mi si apre
con tutte le sue meraviglie.

Rabindranath Tagore


18/01/14

Ecco l'agnello di Dio - II T.O. (A)

 Gv 1,29-34

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».


Giovanni, vedendo Gesù venirgli incontro, dice: Ecco l'agnello di Dio
Parole diventate così consuete nelle nostre liturgie che quasi non sentiamo più il loro significato. Un agnello non può fare paura, non ha nessun potere, è inerme, rappresenta il Dio mite e umile (se ti incute paura, stai sicuro che non è il Dio vero). Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo, che rende più vera la vita di tutti attraverso lo scandalo della mitezza. Gesù-agnello, identificato con l'animale dei sacrifici, introduce qualcosa che capovolge e rivoluziona il volto di Dio: il Signore non chiede più sacrifici all'uomo, ma sacrifica se stesso; non pretende la tua vita, offre la sua; non spezza nessuno, spezza se stesso; non prende niente, dona tutto. Facciamo attenzione al volto di Dio che ci portiamo nel cuore: è come uno specchio, e guardandolo capiamo qual è il nostro volto. Questo specchio va ripulito ogni giorno, alla luce della vita di Gesù. Perché se ci sbagliamo su Dio, poi ci sbagliamo su tutto, sulla vita e sulla morte, sul bene e sul male, sulla storia e su noi stessi. 
Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo
Non «i peccati», al plurale, ma «il peccato» al singolare; non i singoli atti sbagliati che continueranno a ferirci, ma una condizione, una struttura profonda della cultura umana, fatta di violenza e di accecamento, una logica distruttiva, di morte. In una parola, il disamore. Che ci minaccia tutti, che è assenza di amore, incapacità di amare bene, chiusure, fratture, vite spente. Gesù, che sapeva amare come nessuno, è il guaritore del disamore. Egli conclude la parabola del Buon Samaritano con parole di luce: fai questo e avrai la vita. Vuoi vivere davvero? Produci amore. Immettilo nel mondo, fallo scorrere... E diventerai anche tu un guaritore del disamore. Noi, i discepoli, siamo coloro che seguono l'agnello (Ap 14,4). Se questo seguire lo intendiamo in un'ottica sacrificale, il cristianesimo diventa immolazione, diminuzione, sofferenza. Ma se capiamo che la vera imitazione di Gesù è amare quelli che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare ciò che lui rifiutava, toccare quelli che lui toccava e come lui li toccava, con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza, e non avere paura, e non fare paura, e liberare dalla paura, allora sì lo seguiamo davvero, impegnati con lui a togliere via il peccato del mondo, a togliere respiro e terreno al male, ad opporci alla logica sbagliata del mondo, a guarirlo dal disamore che lo intristisce. 
Ecco vi mando come agnelli... vi mando a togliere, con mitezza, il male: braccia aperte donate da Dio al mondo, braccia di un Dio agnello, inerme eppure più forte di ogni Erode.

P. Ermes Ronchi

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