27/04/13

Il comandamento nuovo - V Pasqua

Gv 13,31-33a.34-35

Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».


Ecco un altro breve Vangelo densissimo e meraviglioso. 
Gesù – ci dice il testo liturgico – quando Giuda fu uscito dal cenacolo, parla della sua gloria: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”. E’ giusto che la liturgia abbia iniziato questo brano del Vangelo citando Giuda, perché sta proprio qui - come vedremo - la gloria di Cristo
Il testo di oggi, quindi, riporta questa parte sulla gloria e, più avanti, il comandamento sull’amore, che vedremo per come è veramente e non come, magari, una sovra lettura, sentita abitualmente, ci può portare a credere di ascoltare. 

Che gloria è comparsa in questo momento? Quella che è comparsa davanti a Giuda: Gesù ha lavato i piedi a Giuda; Gesù ha dato il boccone dell’ultima cena a Giuda; Gesù ha dato se stesso all’uomo che lo sta tradendo e Gesù è perfettamente consapevole di quello che Giuda sta per fare. I discepoli non capiscono perché lui esca, ma Gesù lo sa, anzi lo invita ad andare fino in fondo, non lo ferma, non lo impedisce nel suo piano perché sa che in questo c’è, sotto, il piano misterioso, straordinario di Dio: qui si deve manifestare la gloria di Dio. E che cos’è la gloria di Dio? Uno spettacolo magniloquente, pieno di luci e di tuoni? No: l’amore al suo nemico. Ciò che compare è come Gesù ama. Ama con generosità l’uomo che lo porterà al massacro, l’uomo che lo porterà alla distruzione. L’uomo che lo consegnerà ad una morte dove non c’è solo il già agghiacciante aspetto della sofferenza fisica, ma anche quella morale: quest’uomo per tradirlo lo bacerà, che è il segno di un amico. Amare chi ci sta trattando con sotterfugi e ne conosciamo i sotterfugi! Amare chi ci butterà giù da un burrone per un calcolo totalmente sballato, per una monetizzazione agghiacciante. 

E’ interessante che nell’ultima cena Gesù dirà “Qualcuno di voi mi tradirà” e tutti diranno: “Sono forse io?”. Tutti ci dobbiamo domandare “Sono forse io?” , perché un “pezzetto” di Giuda ce l’abbiamo tutti quanti noi, e tutti quanti dobbiamo sperimentare fino a che punto arriva l’amore di Dio con noi… Tutti quanti sappiamo di essere molto fragili e di confonderci, di fare i nostri piccoli piano da quattro soldi che poi ci portano a commerciare anche le cose di Dio. 
Quando Gesù ha trattato con benevolenza Giuda , parla della sua gloria. “A questo punto – dice – vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” 

Il comandamento vecchio è “Ama il prossimo tuo come te stesso”, il nuovo è “Amatevi come io vi ho amato”. Il punto di partenza non è la nostra capacità di amare, ma la sua. “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Cosa vuole dire? Perché tutti si chiedono “Sono forse io?”. 
Solo dopo i discepoli capiranno… Ora non comprendono, le cose vanno veloci, gli avvenimenti vanno come accatastandosi e dopo loro dovranno pian piano dipanare la preziosità di quello che hanno vissuto; dovranno capire “Siamo stati amati così”. Perché in fondo tutti lo abbandonano, da Pietro fino a Giuda sono tutti dentro questo “essere amati da Gesù, senza merito”. 

Cosa è, allora, la Pasqua che stiamo celebrando in questo tempo? E’ il passare dalle nostre povere cose, alle cose di Dio, è passare da noi stessi a Lui; e ci si passa nell’amore, nella profonda esperienza della sua identità, della sua gloria, che ci fa dimenticare noi stessi e innamorarci di chi ci ama tanto… quanto non lo potremo mai amare! 
Amatevi come io vi ho amato”. La forza per amare non è nelle nostre qualità. Quanta gente si mette ad amare sulla base della propria forza di volontà, delle proprie qualità, della propria generosità… ma tutto questo non ci porta che a noi stessi. Resteremo nel cerchio angusto della nostra sopravvivenza, di ciò che siamo. Ma è quando qualcuno ha spezzato questo cerchio della nostra sopravvivenza, ha fatto irruzione nella nostra vita amandoci all’inverosimile, amandoci come non potevamo pensare di essere amati, allora a quel punto noi possiamo aprirci ad un amore più grande. 
E’ Cristo che ama in noi , e noi siamo invasi dal suo amore. 
Noi non siamo chiamati ad essere tanto bravi da fare quanto ha fatto Lui; ma, avendo visto la sua gloria, la forza dell’amore che Lui ci ha dato, restituire questo amore. Il nostro è un amore di risposta. Il nostro amore è un’eco. Come quando uno va in una valle, grida e sente un’eco, sente la sua voce tornare. Così Dio fa in noi: ci ama e noi siamo questa valle, povera a vuota, dove però riecheggia la Sua voce. E allora, a quel punto, noi riusciamo a riamare, perché finalmente abbiamo fatto spazio a questo suono meraviglioso della sua visita. 

Da questo tutti sapranno che sarete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. Non sapranno che siete bravi: non sapranno che siete coerenti, non sapranno che siete delle persone eccezionali, meravigliose, stimabili… No: sapranno che siete miei. Noi cerchiamo molto spesso di fare atti, in cui affermiamo la nostra capacità di amare, la nostra propria coerenza. Ma la nostra coerenza non è che sia propriamente una forza evangelizzatrice così convincente, perché se tu sei coerente, e io magari non lo sono, ti posso dire “mamma mia quanto sei bravo!”, ma tutto finisce lì, non mi riguarda. Se invece vedo in te l’opera di un altro, questo forse mi riguarda, questo altro può lavorare pure in me. 

Io devo vedere in te qualcosa che ti fa identificare come discepolo di qualcuno. “Perché vi amate voi due anche se siete diversi? Perché vi perdonate fra di voi?” Quando appare questo appare la Chiesa di Cristo, non appaiono uomini che seguono un’etica, che si sforzano di essere coerenti con una serie di cose, belle buone, importanti… No. Appare qualcuno che ha un centro che non è più la propria vita; appare qualcuno che non deve più difendere se stesso, perché la sua vita è stata già consegnata ed è diretta da qualcun altro. 
I nostri atti possono essere anche nell’ambito di una vita ecclesiale perfetta, inappuntabile, ma tutti atti autoreferenziali. Oppure esistono atti che fanno riferimento a Cristo. 
Quanto è bella l’umiltà quando appare! Vediamo un riferimento a qualcuno di più grande, vediamo che c’è qualcuno che non ha bisogno di difendere se stesso perché vediamo qualcuno il cui centro, nella vita, è un altro: è un discepolo. Non possiamo che essere aperti alla fede. 
Vediamo uno che ama, non perché ha deciso di fare, per un suo progetto, questo o quello, ma perché non può che rispondere a qualcuno di cui parla sempre; non può che parlarne perché ne è preso, ne è catturato, ne è gioiosamente “schiavo”, come diceva San Paolo. Io prigioniero di Cristo, prigioniero di legami che non sono catene ma di legami che sono la gratitudine, la gioia, la voglia di seguirlo. 

Avere amore gli uni per gli altri
Noi siamo chiamati a capire che, alla fine, tutto il centro della nostra attività, se non è amore è “robetta”; se non è amore che parla di Cristo, amore che ama come Cristo, che fa presente quella gloria di Cristo, che è amore anche a chi ci fa del male… l’amore a chi parla male di noi, l’amore a chi ci tradisce, l’amore a chi ci fa soffrire… Altrimenti che cos’è mettere in piedi orpelli liturgici di non si sa che genere, catechesi splendide che chiamano folle, sistemi ecclesiali organizzatissimi…ma non compare l’amore di Cristo? L’amore che solo Cristo sa dare, unico, che si è manifestato, splendidamente, nella croce di Cristo. 
Questo è proprio unico del cristianesimo: cerchiamo nelle altre religioni tante cose, anche simili, per poterci stimare reciprocamente, ma l’amore al nemico, tanto raro a trovarsi anche all’interno della Chiesa, è l’unicità vera del cristianesimo.

don Fabio Rosini