31/01/13

Puntare gli occhi verso l'invisibile - Pronzato

«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)

Allargamento di spazi.
Intendiamo sottoporre ancora i nostri occhi malati all'attenzione amorevole della Vergine della Contemplazione. Stiamo pendendo coscienza, infatti, che la capacità di contemplare costituisce il segno più evidente che cominciamo a guarire dalla cecità che ci affligge.
Più che guscio, tana, rifugio confortevole (come qualcuno si ostina ancora a considerarla) la contemplazione è una miracolosa operazione di allargamento degli spazi, dilatazione degli orizzonti. (...)
Diciamo subito che il vero realista è il contemplativo. Perché riesce a vedere la realtà (...) attraverso la luce dell'attesa di qualcos'altro (che determina un impegno concreto per avviare le cose verso il loro traguardo).
Il contemplativo coglie il palpito segreto del mondo. Il realista vede le cose come stanno. Il contemplativo le vede come sono "chiamate" ad essere. (...)
Un modello di preghiera contemplativa è senz'altro quello offerto da Maria nel Magnificat. Colei che «tutte le generazioni chiameranno beata» (Lc 1,48) ha scoperto, "sospettato", nell'opacità  e nel garbuglio della storia dominata dai ricchi, dai potenti, dai sapienti altezzosi, la presenza di un germe di novità, prossimo ad esplodere, e che avrebbe determinato un capovolgimento radicale delle situazioni esistenti. (...)

Uno sguardo incendiato dalla luce.
Collocandosi nell'alone di luce di Dio, il contemplativo ottiene in dono uno sguardo "diverso", sulle cose, sulle persone, sugli avvenimenti della storia e sui fatti dell'umile cronaca quotidiana.
Uno sguardo penetrante, sneza essere indagatore. Sicuro, ma privo di durezza. Dolce, disarmato, che non vuole dire ingenuo. Disincantato, senza cessare di essere "innocente". (...)

Contemplazione e amore.
La contemplazione nasce dall'amore, è esperienza di amore e sfocia necessariamente nell'amore. Se nella contemplazione un cristiano non scopre l'amore, ciò significa che, invece di "raggiungere" Dio, ha "contemplato" una caricatura di Dio, un idolo, o magari la propria immagine.
La contemplazione non è accartocciamento su se stessi, ma comunione. Avendo scoperto la sorgente comune, il contemplativo entra in comunione con gli altri esseri e con Dio. (...)
Il contrario della contemplazione non è l'azione, ma l'inganno, l'abbaglio, la falsità. (...) Il cristiano che recupera la vista riesce a cogliere nell'universo segni nuovi, decifrare messaggi segreti.

Contemplare per unire.
La contemplazione assicura l'unitarietà dell'esistenza cristiana, contro tutti i dualismi, le dissociazioni abusive (amore di Dio e amore del prossimo, fuga dal mondo e solidarietà, preghiera e lotta di liberazione, incarnazione nelle realtà terrestri e affermazione dell'Assoluto di Dio...).
Esiste una evidente complementarietà tra contemplazione e impegno temporale. La contemplazione conferisce un senso, un orientamento all'azione. La inserisce nel solco della volontà di Dio. E l'incarnazione, il compromettersi nella storia con le miserie e le lotte degli uomini, apre nuovi orizzonti alla contemplazione. Arriva più lontano sulla strada della contemplazione non chi si isola, ma chi vive la vita di tutti. (...) Dalla preghiera contemplativa scaturisce l'attività apostolica, missionaria, del credente, del testimone.
Dobbiamo essere diffidenti e persino aver paura nei confronti di un'attività cristiana che non nasca dalla contemplazione. Se il credente non ha attinto dall'assiduità contemplativa la rivelazione, il senso delle cose, l'esperienza di Dio e degli uomini, non entrerà mai nel vivo del mondo, non capirà nulla della storia, non afferrerà i problemi dei propri simili, mancherà clamorosamente la propria posizione, e il suo attivismo apparirà deleterio, e non certo in funzione del Regno.
Non si arriva al centro del mondo con delle corse affannose, ma con lo sguardo. Non si scopre il segreto della terra rovistando con le mani, ma affidandosi alla luce degli occhi "miracolati".

Dall'invisibile al visibile.
(...) Nella contemplazione si realizza questo paradosso: dimorando nel mondo invisibile, l'occhio diventa idoneo a districarsi nel mondo visibile. (...)
E' stato detto, giustamente, che "riesce difficile, stando in mezzo alla folla, vedere la folla".
Il solitario fugge dalla folla non perché non voglia più vederla o sopportarla, ma per vederla meglio. Il contemplativo intende vedere soltanto Dio, nient'altro all'infuori di Dio, perché vuole essere in grado di vedere il fratello, mettere a fuoco il suo volto, scoprire le sue necessità.
Il mistico è uno che non esita a rischiare gli occhi in direzione della luce "inaccessibile", per essere pronto a lasciarseli bruciare dinanzi alle realtà più scomode di questa terra.
Il mistico non è uno schizzinoso, un esteta della bellezza celeste. E', certo, un innamorato della bellezza, il quale tuttavia intende aprire gli occhi di fronte a tutto ciò che di ripugnante, inaccettabile, deforme, ingiusto, sgradevole, presenta la vita su questa "palla di stracci e di peccati". (...)
Ci si ritira a pregare per vedere di più, per vedere meglio. Sopratutto per posare gli occhi sulle cose e le persone che preferiremmo non vedere, sulle situazioni che vorremmo non affrontare, sulle questioni da cui desidereremmo scantonare, sugli appuntamenti che saremmo tentati di eludere. (...)
Il contemplativo non sale dalle realtà sensibili a quelle celesti, attraverso un cammino progressivo. Compie proprio l'itinerario inverso. Dall'invisibile al visibile. Da Dio al fratello.
Per raggiungere il prossimo, lui sale a Dio. Da lì è sicuro di arrivare al fratello. E se non ci arriva, è perché non si è avvicinato abbastanza a Dio.
Lui si trattiene nell'altro mondo per tutto il tempo necessario a scoprire questo mondo. (...)
Io mi fido dell'uomo di preghiera. Non mi azzardo a disturbarlo quando si trattiene a contemplare l'Unico. So che, allorché mi passa accanto, assorto, mi vede.
Temo piuttosto, l'uomo indaffarato, onnipresente. Che mi batte la mano sulla spalla, mi osserva nei particolari dell'abito, mi dice che ho una bella cera, non gli sfugge nulla di me. Quello, sono sicuro, non mi vede. Verrebbe voglia di buttargli in faccia: come fai a vedermi se non chiudi gli occhi? Come fai a non perdermi di vista se non ti assenti mai? Come è possibile che io ti interessi, se Dio non ti assorbe totalmente?

Vietato passare al largo.
Contemplare non significa passare al largo, scansare appuntamenti scomodi con gli impegni terrestri. Ma tra-passare, cioè passare attraverso, o passare dentro. 
Ossia la contemplazione non è qualcosa di inerte. Contemplare non si riduce a quiete, serenità, silenzio, estraneità, assenza, impassibilità. (...)
Il contemplativo vuole captare le "chiamate del concreto". E rispondervi.

Donna della concretezza.
Chi l'avrebbe mai sospettato... A Cana la situazione delicata non è stata avvertita, e la faccenda incresciosa non è stata risolta dai faccendieri esagitati, dagli organizzatori, dal maestro di tavola. Loro che dovevano provvedere, che stavano lì per questo, si sono lasciati cogliere alla sprovvista. (...)
La salvezza è venuta da te. La creatura della contemplazione si è manifestata come la donna della concretezza.(...)
Grazie Maria, perché a Cana tu ci fai capire che la contemplazione è presenza a Dio e presenza alle necessità (e alla gioia) del prossimo.
Che non è necessario tenere sempre il naso sulle cose per accorgersi che qualcosa non funziona. Anzi, qualche volta, risulta indispensabile prendere le distanze, per poter vedere meglio, e per essere più vicino.
E' del contemplativo che possiamo fidarci, non dell'attivista frenetico, per risolvere i problemi del mondo. Soltanto colui che riesce a stare "altrove" non delude le attese degli uomini.
Madre della concretezza, dacci il coraggio di perderci in Dio per farci trovare puntuali all'appuntamento delle più scomode realtà quotidiane.


don Alessandro Pronzato

tratto da  "C'era la madre di Gesù... 
a Cana con Maria, per scoprire quello che ci manca"


Offrire soltanto Gesù - Madre Teresa


«Voi dovete essere la radiosità di Gesù stesso. Il vostro sguardo deve essere il suo, le vostre parole le sue. 
La gente non cerca i vostri talenti, ma Dio in voi. Conducetela a Dio, mai verso voi stessi. 
Se non la conducete a Dio significa che cercate voi stessi e la gente vi amerà soltanto per voi, non perché le ricorderete Gesù. Il vostro desiderio deve essere di "offrire soltanto Gesù" nel vostro ministero, piuttosto che voi stessi. Ricordate che soltanto la vostra comunione con Gesù porta alla comunicazione di Gesù. Come Gesù era strettamente unito al Padre tanto da essere il suo splendore e la sua immagine, cosi, con la vostra unione con Gesù, voi diventate la sua radiosità, una trasparenza di Cristo, affinché quelli che vi hanno visto in certo qual modo avranno visto lui».

Madre Teresa di Calcutta


30/01/13

Quattordici

«La mia vita è diventata un colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande colloquio. A volte, quando me ne sto in un angolino del campo, i miei piedi piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti al cielo, le lacrime mi scorrono sulla faccia, lacrime che sgorgano da una profonda emozione e riconoscenza. Anche di sera, quando sono coricata nel mio letto e riposo in te, mio Dio, lacrime di riconoscenza mi scorrono sulla faccia e questa è la mia preghiera. Sono molto, molto stanca, già da diversi giorni, ma anche questo passerà, tutto avviene secondo un ritmo più profondo che si dovrebbe insegnare ad ascoltare, è la cosa più importante che si può imparare in questa vita. Il silenzio può così essere strada che conduce alla profondità. Ecco perché le grandi donne e i grandi uomini dello spirito hanno amato e vissuto il silenzio.»

Etty Hillesum

29/01/13

Ed è qualcosa da cui non puoi scappare...- Baricco


«Ed è qualcosa da cui non puoi scappare.
Il mare.
Il mare incanta, il mare uccide, commuove, spaventa, fa anche ridere, alle volte, 
sparisce, ogni tanto, si traveste da lago, oppure costruisce tempeste,
divora navi, regala ricchezze, non dà risposte,
è saggio, è potente, è imprevedibile.

Ma sopratutto: il mare chiama.
Lo scoprirai, Elisewin.

Non fa altro, in fondo, che questo: chiamare.
Non smette mai, ti entra dentro, ce l'hai addosso,
è te che vuole.
Puoi anche far finta di niente, ma non serve.
Continuerà a chiamarti.
Questo mare che vedi 
e tutti gli altri che non vedrai,
ma che ci saranno, sempre,
in agguato, pazienti, un passo oltre la tua vita.
Instancabilmente, li sentirai chiamare. 
Succede in questo purgatorio di sabbia.
Succederebbe in qualsiasi paradiso,
e in qualsiasi inferno.
Senza spiegare nulla, senza dirti dove,
ci sarà sempre un mare,
che ti chiamerà.»

Alessandro Baricco - "Oceanomare"



28/01/13

Maria ci avverte che se non chiudiamo gli occhi... - Pronzato

«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)


Penetrare sotto la crosta.
Dobbiamo riconoscerlo. Ci manca la contemplazione. Maria di Nazaret ci avverte che gli occhi ci sono stati dati sopratutto perché fossimo capaci di contemplare. Ma noi abbiamo dimenticato questa funzione essenziale della vista. Ecco perché ci ritroviamo regolarmente al buio, almeno per quel che riguarda le realtà essenziali nella nostra esistenza.
Secondo la definizione più semplice, contemplare significa "vedere oltre le apparenze", penetrare sotto la crosta, scoprire la sostanza più profonda delle cose e degli avvenimenti. (...)
Il contemplativo intuisce, sospetta che il reale, così come appare, nasconda un'altra realtà misteriosa, che è la più vera, la più autentica.

Gli occhi del gufo.
Contemplazione, quindi, è essenzialmente un fatto di sguardo. Uno sguardo reso penetrante dalla fede e dall'amore.
Non per nulla i monaci antichi avevano una predilezione particolari per gufi e civette. In questi uccelli, che spesso a noi danno un senso di ripugnanza (...) i contemplativi scorgono il simbolo della loro vita.
E ciò sopratutto a motivo degli occhi, enormi, capaci di forare il muro della notte. (...)
I nostri occhi, attratti dalle cose immediate, appariscenti, scintillanti, che si impongono violentemente all'attenzione, si chiudono a poco a poco, si riducono alle dimensioni degli oggetti miserabili che stanno a un palmo di distanza.
Gli occhi dei solitari, come quelli dei gufi, sfidano la notte; pretendono di guardare attraverso la notte; vogliono cogliere le realtà avvolte nel mistero, le cose che non si impongono. Per questo si ingrandiscono, fino a diventare immensi, capaci di afferrare la Bellezza, la Verità al di là dello spessore delle cose.
La Madonna, la creatura della contemplazione per eccellenza, ci esorta a non aver paura a lasciarci aprire gli occhi da Dio, a diventare tutto occhi. In tal modo la notte, per quanto oscura, può diventare la nostra fonte di illuminazione.

Un grido di luce.
Il contemplativo vede meglio, vede diverso, non attraverso ragionamenti, ma mediante una conoscenza intuitiva, resa possibile dalla familiarità con Dio, dalla fede e dall'amore, e mediante un cuore puro («Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio...» Mt 5,8), un cuore incendiato dalla luce che viene dall'Alto, un cuore abitato dalla Parola.
Più che conoscere, il contemplativo sa "riconoscere", spingendo il proprio sguardo oltre il velo opaco dell'apparenza, della banalità, dell'ordinario, dell'ovvio. (...)
La certezza del contemplativo non è data da deduzioni logiche, ma da una inconfondibile risonanza interiore, da una complicità segreta. (...)
Lui capta i messaggi misteriosi attraverso il prisma di luce di Dio. Là dove tutti scorgono delle linee spezzate, discordanti, arruffate, lui riesce a connettere, a concertare tutto, fino ad ottenere un disegno unitario e coerente. (...)
Più che alle voci esteriori, il contemplativo riesce a dare sfogo al "grido di luce" che gli scoppia dentro.
Il contemplativo, come Maria, più che arrovellarsi la mente a elaborare argomenti astrusi, indirizza i battiti del proprio cuore in direzione di una Persona.
Lui legge, ascolta con gli occhi. E vede bene col cuore.

Voce del verbo sospettare.
Lo sguardo contemplativo rappresenta una sfida contro l'opacità del reale. Perché permette di superare lo spesso diaframma che impedisce di andare al cuore della realtà, esplorarne le profondità, spingersi all'essenza.
Tutto sembra congiurare a farci divagare alla superficie, ad accontentarci di ciò che appare, si tocca, è a portata di mano, ci viene illustrato dagli altri. (...)
Il contemplativo "entra dentro" attraverso un passaggio segreto. Si spinge all'interno. Scava cunicoli sotterranei.
Contemplare voce del verbo sospettare. Sospettare che il più sta nascosto. Che il meglio non è ciò che appare in superficie. Che il mistero costituisce la verità delle cose.E se non arrivi a sfiorare il mistero, rimani un estraneo rispetto alla realtà.
«La bellezza del deserto sta nel fatto che nasconde un pozzo da qualche parte» (Saint-Exupéry). La contemplazione ci fa attraversare il deserto con il desiderio di scoprire il pozzo destinato alla nostra sete.
Ci fa perlustrare un campo, "sospettando" il tesoro che è sepolto in qualche angolo. (...)
Ci permette di forare la coltre di nebbia in cui rischiamo di smarrire la direzione del cammino, per lasciar filtrare una lama di luce.

Penetrare il mistero dell'uomo.
Il verbo "sospettare" tipico della contemplazione, va applicato - nel suo significato positivo - anche nei confronti dell'uomo.
Sospettare che un individuo, sotto la crosta dei difetti, custodisce una zona intatta che si apre solo ad uno sguardo "diverso". (...)
Sospettare un'attesa, un tormento segreto, una ferita non del tutto rimarginata, una povertà che implora, un'insoddisfazione, un "bisogno d'altro", anche negli individui più sfrontatamente "appagati". (...)
Sospetta nel "guazzabuglio" del cuore umano, l'esistenza di un filo sottile che viene da lontano e può condurre lontano se lui sa afferrarlo delicatamente con le sue mani di luce.

Contemplare, voce del verbo arrischiare.
Oltre il verbo "sospettare", il contemplativo coniuga il verbo "arrischiare".
Infatti arrischia l'imprevedibile, cammina a piedi scalzi, senza bastone, senza bisaccia. Rifiuta le protezioni dell'avere, del sapere, del potere. Respinge i favori (non sempre disinteressati) della gente che conta. (...)
Il contemplativo si fa pellegrina dell'Assoluto. Scommette sull'invisibile, arrischia l'esplorazione di ciò che sta "al di là"...
E, insieme, non esita a tendere la propria mano all'altro, col rischio di perdere la propria sicurezza.

Vergine della trasparenza, aiutaci a capire che la contemplazione non si improvvisa. Che respinge i faciloni e i velleitari. Che va preparata. Che esige alcune condizioni fondamentali come la purificazione del cuore, la solitudine, il silenzio, l'umiltà, l'abbandono. (...)
Vergine della trasparenza, insegnaci che per vedere chiaro, abbiamo bisogno, qualche volta, di chiudere gli occhi... 
Forse abbiamo scoperto il tuo segreto, Maria, il segreto della tua conoscenza del mistero. Tra te e tuo Figlio c'era, come tra due innamorati, una complicità dello sguardo.


don Alessandro Pronzato

tratto da  "C'era la Madre di Gesù...
A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca."

26/01/13

Per non dimenticare...


27 gennaio
Giornata della Memoria





EDITH STEIN
Santa Teresa Benedetta della Croce
carmelitana e filosofa

Breslavia, 12/10/1981 - Auschwitz 9/08/1942













ANNE FRANK

Francoforte sul Meno, 12/06/1929 - 31/03/1945










beato TITO BRANDSMA
sacerdote carmelitano, docente e giornalista

Bolsward , 23/02/1881 - Dachau, 26/07/1942











ETTY HILLESUM
scrittrice

Middelburg, 15/01/1914 - Auschwitz, 30/11/1943







San MASSIMILIANO MARIA KOLBE
sacerdote francescano

Zdunska Wola, 8/01/1894 
Auschwitz, 14/08/1941











e per non dimenticare....



Se questo è un uomo - Primo Levi


Voi che vivete sicuri 
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate, tornando a sera,
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.

Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca, 
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi, "Se questo è un uomo"






Oggi si è compiuta questa scrittura - III T.O.

Lc 1, 1-4; 4, 14-21

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch'io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l'anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».


Un racconto di una modernità unica, dove Luca, il migliore scrittore del Nuovo Testamento crea una tensione, una aspettativa con questo magistrale racconto, che si dipana come al rallentatore: Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. E seguono le prime parole ufficiali di Gesù: oggi la parola del profeta si è fatta carne.
Gesù si inserisce nel solco dei profeti, li prende e li incarna in sé. E i profeti, da parte loro, lo aiutano a capire se stesso, chi è davvero, dove è chiamato ad andare: lo Spirito del Signore mi ha mandato ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi, agli oppressi. Adamo è diventato così, per questo Dio prende la carne di Adamo. Da subito Gesù sgombra tutti i dubbi su ciò che è venuto a fare: è qui per togliere via dall'uomo tutto ciò che ne impedisce la fioritura, perché sia chiaro a tutti che cosa è il regno di Dio: vita in pienezza, qualcosa che porta gioia, che libera e da luce, che rende la storia un luogo senza più disperati. 
E si schiera, non è imparziale Dio; sta dalla parte degli ultimi, mai con gli oppressori. Viene come fonte di libere vite, e da dove cominciare se non dai prigionieri? Gesù non è venuto per riportare i lontani a Dio, ma per portare Dio ai lontani, a uomini e donne senza speranza, per aprirli a tutte le loro immense potenzialità di vita, di lavoro, di creatività, di relazione, di intelligenza, di amore. Il primo sguardo di Gesù non si posa mai sul peccato della persona, il suo primo sguardo va sempre sulla povertà e sulla fame dell'uomo. Per questo nel Vangelo ricorre più spesso la parola poveri, che non la parola peccatori. Non è moralista il Vangelo, ma creatore di uomini liberi, veggenti, gioiosi, non più oppressi. Scriveva padre Giovanni Vannucci: «Il cristianesimo non è una morale ma una sconvolgente liberazione». La lieta notizia del Vangelo non è l'offerta di una nuova morale migliore, più nobile o più benefica delle altre. La buona notizia di Gesù non è neppure il perdono dei peccati. La buona notizia è che Dio mette l'uomo al centro, e dimentica se stesso per lui, e schiera la sua potenza di liberazione contro tutte le oppressioni esterne, contro tutte le chiusure interne, perché la storia diventi "altra" da quello che è. Un Dio sempre in favore dell'uomo e mai contro l'uomo. Infatti la parola chiave è "liberazione". E senti dentro l'esplosione di potenzialità prima negate, energia che spinge in avanti, che sa di vento, di futuro e di spazi aperti. Nella sinagoga di Nazaret è allora l'umanità che si rialza e riprende il suo cammino verso il cuore della vita, il cui nome è gioia, libertà e pienezza. Nomi di Dio.

Ermes Ronchi
da "Avvenire"

25/01/13

Tredici

Chi non vede la meta del suo cammino, si attacchi alla Croce, ed essa lo porterà.

S. Agostino


Maria è preoccupata per i nostri occhi - Pronzato


«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)

Vede che... non vediamo.
La Madre dell'attenzione non soltanto nota che sta esaurendosi il vino, ma si accorge che gli interessati... non si accorgono di nulla. Non vedono o, forse, non vogliono vedere.
Anche a noi, oggi, succede la stessa cosa.
Sono tante le cose che ci mancano. Ma il fenomeno più preoccupante è dato dal fatto che ci manca la capacità (o il coraggio) di vedere ciò che ci manca. E' lo sguardo che ci manca.
I nostri occhi non funzionano, sono malati.

Malati di distrazione.
Il nostro, troppo spesso, è uno sguardo distratto.
Sguardo distratto è quello concentrato unicamente su di sé.
Per cui vediamo esclusivamente il nostro piatto, il benessere individuale, il portafoglio, il piacere personale, le nostre esigenze, i diritti, le nostre comodità, i nostri programmi. (...)
L'egoismo costituisce una delle malattie più perniciose che possano colpire gli occhi. Chi è dominato dall'amor proprio, dall'ossessione di brillare, imporsi all'attenzione, riscuotere apprezzamenti e vantaggi, non riesce più a vedere Dio e il prossimo.
Un altro sintomo preoccupanti di occhi distratti si manifesta attraverso la tendenza a vedere soltanto ciò che dovrebbero fare gli altri, e a ignorare ciò che dovremmo produrre noi. Sempre pronti a cogliere le inadempienze altrui, e restii ad ammettere le nostre. (...)
Qunaod c'è qualcosa che non va, la prima e unica cosa che vediamo è che... tocca agli altri provvedere. «Manca il vino... E' una vergogna! Chissà se qualcuno si muove...».

Uno sguardo "chiuso".
E poi dobbiamo ammettere: il nostro è uno sguardo poco caritatevole. Facciamo fatica a convincerci che la carità comincia dallo sguardo. Che il prossimo entra in casa nostra attraverso la porta degli occhi. Un certo sguardo può essere il segnale inequivocabile di accoglienza, oppure la porta sbattuta in faccia all'altro. 
Non c'è solo lo sguardo di ostilità, di odio. C'è anche lo sguardo di indifferenza che può ferire, o addirittura uccidere.
Sì, l'indifferenza è, in fondo, un messaggio omicida. Quasi a dire: «Per me tu non esisti». Ignorare una persona, evitarla ostentatamente, significa in pratica negarle il diritto alla vita. (...)

Abbiamo bisogno di uno sguardo diverso.
Diceva Simone Weil: «Una delle verità fondamentali del cristianesimo, verità troppo spesso misconosciuta, è questa: ciò che salva è lo sguardo».
Ci sono due pagine del Vangelo in cui riscopriamo l'importanza dello sguardo come mezzo privilegiato adottato dal Cristo per recuperare "ciò che era perduto". Zaccheo, prima di tutto (cfr. Lc 19,1-11).
Zaccheo è stato salvato, senza dubbio, da uno sguardo.
Tutto l'episodio che lo riguarda è articolato sul "vedere".
Lui che cerca Gesù di "vedere" Gesù, ma non ci riesce, perché la folla glielo impedisce. E allora si arrampica su un albero «per poterlo vedere». Ma, più che vedere, "viene visto".
Gli altri che "vedono male" («vedendo ciò, tutti mormoravano...»). E il Cristo che vede "diverso".
Anche gli altri tenevano lo sguardo puntato su Zaccheo. (...)
Ma che cosa vedevano in lui? Vedevano il peccatore, l'odioso e avido esattore delle imposte, il ladro. (...)
Lo sguardo di Cristo è diverso. E' uno sguardo che non si ferma alla crosta dei difetti, ma la rompe, penetra in profondità. 
E proprio lì, in quella zona di mistero, che i curiosi e malevoli non hanno mai saputo esplorare, Gesù trova... un altro. Scopre uno che doveva ancora nascere, venire alla luce. (...)
Sì, Gesù ha creduto in Zaccheo. E gliel'ha comunicato con lo sguardo, quello sguardo che l'ha fatto scendere, anzi, precipitare dal ramo su cui si era appollaiato.
La fede di Zaccheo è nata "dopo". Precedente c'è stata la fede del Cristo. Il Cristo, infatti, ha creduto in lui, quando gli altri ormai l'avevano giudicato e liquidato definitivamente come uno da cui stare alla larga.

Uno sguardo liberatore.
E poi l'episodio della donna adultera (cfr. Gv 8,1-11).
Quando solleva gli occhi, l'adultera vede Uno che la guarda in modo "nuovo". Non aveva mai visto un uomo osservarla in quella maniera.
Finora aveva fatto esperienza di due tipi di sguardo. Quello della cupidigia, del desiderio, del possesso. E quello, severo, della condanna. (...)
Ora i suoi occhi si incrociano con gli occhi di un Uomo che non "vede" in lei né un oggetto di piacere, né un bersaglio per i sassi di una sentenza crudele.
Lo sguardo del Cristo è, in un certo senso, creatore. Chiama all'esistenza una persona. Risveglia il suo essere autentico, reale. Lo sguardo del Cristo non si rassegna al "poco di buono". Si ostina a cercare, in mezzo alle macerie, all'immondizia, per mettere in luce, il molto di buono, il meglio che c'è in ogni persona.

Il guaio di non vedere il prossimo più vicino.
Una deformazione abbastanza frequente nella nostra vista fa sì che, nel campo della carità, vediamo il prossimo "lontano", ma non riusciamo a vedere quello "vicino". Non abbiamo difficoltà a vedere il bambino africano dal ventre gonfio per la denutrizione, ma trascuriamo la persona che ci sta accanto, e che non ce la fa' più, è scoraggiata, avrebbe bisogno di un sorriso, di un po' di attenzione, di una minuscola delicatezza. C'è chi "vede" il carcerato e trova il tempo di scrivergli. Ma non si ricorda di far trovare un bigliettino al marito il giorno del suo compleanno.
Dobbiamo implorare dalla Madonna la grazia di poter vedere le persone che ci stanno davanti agli occhi. Perché a forza di essere vicine, rischiano di diventare invisibili.

Uno sguardo purificato.
Il nostro sguardo dev'essere uno sguardo libero, perché purificato. Libero perché ha sfondato la prigione del proprio egoismo, delle proprie comodità, della propria indifferenza, dei propri interessi, per aprirsi all'altro in un atteggiamento di disponibilità, accoglienza, simpatia, discrezione, cordialità, delicatezza, benevolenza.
Libero dalle lenti deformanti dei pregiudizi, delle prevenzioni, dei sospetti, della diffidenza.
Libero da ogni istinto di separazione e discriminazione. (...) «Guardami... perché io sappia se esisto» (cit.).
Le persone che il nostro sguardo rifiuta saranno condannate, forse, a portare per tutta la vita un marchio di solitudine.
Uno sguardo libero è uno sguardo che non si limita a sfiorare le persone che incontra. 
Non è sfuggente. Sa fermarsi e accogliere. 
E' necessario che, ogni mattina la Madonna ci aiuti a purificare il nostro sguardo. Si tratta di:
 - svincolarlo da ogni istinto di possesso;
 - disarmarlo dai vari elementi di ostilità, aggressività, malignità, rancori, durezza;
 - ringiovanirlo, restituendogli la capacità di stupore e di meraviglia che fa nuove le cose, e ridandogli il gusto della scoperta dell'altro;
 - renderlo attento all'altro. Capace di vedere l'altro come io vorrei essere veduto.


don Alessandro Pronzato

tratto da "C'era la Madre di Gesù.
A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca"



Cu'mme - R.Murolo, M.Martini

Scinne cu'mme
nfonno o mare a truvà
chillo ca nun tenimmo acca'.
Vieni cu'mme
e accumincia a capì comme è inutile stà a suffrì.
Guarda stu mare ca ci infonne e paure
sta cercanne e ce mbarà.

Ah comme se fa'
a da' turmiento all'anema ca vo' vulà
si tu nun scinne 'nfunno nun 'o può sapè.
No, comme se fa' 
a t'a piglià sultanto o mal'e ca ce stà
eppoi lassà stu core sulo in miezz a via.

Saglie cu'mme 
e accummincia  a cantà
insieme e note che l'aria da';
senza guardà tu continua a vulà
mientre o viento ce porta là
addo ce stanno e parole chiù belle
che te pigliano pe mbarà...




TRADUZIONE

Scendi con me
in fondo al mare a cercare
quello che non abbiamo qua.
Vieni con me
e comincia a capire com'è inutile stare a soffrire.
Guarda questo mare che ci mette paura, 
sta cercando di insegnarci...

Ah, come si fa
a dare tormento all'anima che vuole volare
ma se non tocchi il fondo non puoi saperlo.
No, come si fa 
a prendersi soltanto il male che ci sta
e poi lasciare questo cuore solo in mezzo alla strada.

Sali con me
e comincia a cantare
insieme alle note che l'aria da';
senza guardare tu continua a volare
mentre il vento ci porta là,
dove ci sono le parole più belle
che ti prendono per insegnarti...




24/01/13

L'attrattiva del tempo moderno - C. Lubich

Ecco la grande attrattiva del tempo moderno;
penetrare nella più alta contemplazione
e rimanere mescolati fra tutti,
uomo accanto a uomo.

Vorrei dire di più:
perdersi nella folla
per informarla del divino,
come s'inzuppa
un frusto di pane nel vino.

Vorrei dire di più:
fatti partecipi dei disegni di Dio sull'umanità
segnare sulla folla ricami di luce
e, nel contempo, dividere col prossimo
l'onta, la fame, le percosse, le brevi gioie.

Perché l'attrattiva del nostro,
come di tutti i tempi,
è ciò che di più umano e di più divino
si possa pensare;
Gesù e Maria:
il Verbo di Dio, figlio di un falegname,
la Sede della Sapienza, madre di casa.

Chiara Lubich



23/01/13

Stella splendens - Llibre Vermell XVI sec.

"Stella splendens"


Stella splendens in monte 
ut solis radium 
miraculis serrato 
exaudi populum.


Maria vuole che anche Lui entri in casa - Pronzato


«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"». (Gv 2,3)

Quella presenza.
Che brutta sorpresa, per la Madre. Si accorge che in casa nostra c'è tanta gente, forse troppa.
Manca, però, Lui. Non è che ci siamo dimenticati  di invitarlo. Proprio non intendiamo invitarlo.
Dio sta bene in cielo. E, sulla terra, tiene domicilio rigorosamente fissato in chiesa. E noi andiamo con una certa regolarità a trovarlo in chiesa, che è la sua casa. Una dimora degna di Lui. Lì gli porgiamo i nostri omaggi, perfino i nostri doni, paghiamo il tributo dei nostri doveri religiosi. (...)
Abbiamo stabilito una dicotomia assurda, una separazione netta tra sacro e profano. Le cose che riguardano Dio si trattano in chiesa e basta. La competenza territoriale di Dio non va oltre il perimetro del tempio. Aggiungiamoci pure il cimitero. (...)
E pensare che Teresa d'Avila ha scritto un verso bellissimo: «Entre las pucheras anda el Señor». Tradotto liberamente: «Dio si muove tra pentole e fornelli».

Trent'anni in famiglia.
Abbiamo dimenticato non solo Cana, ma pure Nazaret. Fingiamo di ignorare che un'espressione concreta dell'incarnazione, e quindi dell'umanità di Dio, è data dal fatto indiscutibile che il Figlio di Maria ha vissuto, con i genitori, una vera vita di famiglia. (...)
Il Figlio di Dio si manifesta, prima di tutto, nel contesto di una vita familiare. I gesti, le parole, le abitudini più quotidiane diventano irradiazione dell'eterno, sacramento del divino, segno luminoso del Dio-con-noi.
Gesù è stato educato (anche alla preghiera), è cresciuto, ha ricevuto e dato amore, ha imparato, lavorato, recepito certi valori, nell'ambiente  "ordinario" di una famiglia "comune".
Gesù è stato rivelatore del volto del Padre, non soltanto quando ha abbandonato il proprio paese per avvicinare peccatori, poveri, malati, folle affamate di pane e di Parola, gente alla ricerca dell'acqua e di qualcos'altro, ma, prima, anche nella cornice modesta della sua casa. Gesù ha avuto una casa, ecco una realtà che non dobbiamo dimenticare. (...)
La casa di Nazaret non è, banalmente, la sala d'attesa prima della partenza decisiva, prima della grande rivelazione. (...) La famiglia di Nazaret è già "luogo" della rivelazione, incontro con gli uomini, messaggio universale, realizzazione dell'opera della salvezza, parola (parola silenziosa). (...)
E allora, perché quando si parla di preghiera, tanto per fare un esempio, perché non viene in mente che è la casa il primo, insostituibile, "luogo di preghiera"?

Gesù vero disturbatore della quiete.
Vorremmo far credere che "non siamo degni". (...)
Il fatto è che il Dio "domestico" ci disturba, ci infastidisce, perché non è mai rassicurante, confortevole. Se facciamo tanto di accoglierlo in casa, Lui non si rassegna a un ruolo decorativo. Non possiamo illuderci di farlo accomodare in salotto. Il patriarca Atenagora ha definito Dio come «Grande Disturbatore».
L'incontro con Dio è sempre pericoloso. (...)
Noi ci teniamo all'ordine (il nostro!), agli equilibri faticosamente raggiunti attraverso un'infinità di compromessi e cedimenti. Lui, invece, ha la pretesa di mettere tutto sottosopra, va a frugare negli angoli più oscuri, non è d'accordo su tantissime cose della nostra vita quotidiana. (...)
Ci obbliga a rifare certi conti, operare spostamenti decisivi, modificare equilibri, risistemare la scala dei valori.
Con Lui in casa c'è immancabilmente qualcosa di troppo di cui bisogna disfarsi, e vuoti da colmare. Insomma, ammettiamolo con franchezza: a noi non piace rimettere in discussione mentalità acquisite, schemi ormai collaudati, programmi prefissati. Gradiremmo sentirci dire che "tutto va bene". Lui, invece, non esita a buttarci in faccia che "qualcosa non va".

Perché non viene da solo?
C' un altro motivo per cui ci mostriamo riluttanti a spalancagli la porta di casa. «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò da lui per sedermi con lui a mensa. Ed egli potrà cenare con me» (Ap 3,20)
Spalanchiamo pure la porta all'Ospite discreto. Ma ci accorgiamo immediatamente, che il Signore non è solo.
Aprire a Lui significa accogliere un fracco di gente sconosciuta. Bisogna allargare la tavola. Nessuna cenetta intima, urge allestire un'infinità di posti. (...)
Allorché Cristo entra nell'esistenza quotidiana di una persona, insieme a Lui devono necessariamente "passare" tantissimi "altri". (...) Non c'è scampo: sono indivisibili. L'Ospite non intende separarsi dai suoi amici. E se ci illudiamo di accoglierlo da solo, pur con tutti i riguardi, Lui se ne va di soppiatto, quasi avesse subìto un affronto. (...)
Dove va a finire allora la nostra tranquillità?

Dio all'appuntamento del quotidiano.
Dio non si accontenta che andiamo a "trovarlo" a scadenze fisse. Gradisce "trovarci" lungo il filo dei giorni feriali.
Nell'abitazione di Cana, Cristo, ha compiuto il primo dei «segni».
Dobbiamo ancora imparare che dio "ci fa segno" attraverso il quotidiano. Le cose di cui si serve per farci segno sono quelle che abbiamo davanti agli occhi.
Gli avvenimenti di cui si serve per manifestarsi sono i piccoli fatti della nostra vita ordinaria. (...)
Non è il caso che andiamo a cercare Dio chissà dove. Lui è presente all'appuntamento del quotidiano.
Non dobbiamo programmare l'incontro per le grandi occasioni, in un contesto di solennità.
Lui si fa trovare, se lo vogliamo, nelle occasioni più comuni, in uno stile dimesso, secondo il cerimoniale dei nostri gesti più comuni.
Lui non si rassegna ad essere confinato in un salotto appartato. Sta volentieri in cucina, nello stanzino della portineria, in un corridoio, un'aula, un ufficio, un cortile, una corsia. Lui ci aspetta, ci segue, sta volentieri con noi. 
Dobbiamo abituarci a far "passare" Dio nei nostri gesti abituali, nel solito lavoro, nell'interminabile corridoio delle piccole occupazioni scarsamente appariscenti. Farlo passare nella nostra stanchezza, negli smarrimenti. Farlo passare nelle nostre difficoltà, nelle speranze, nelle attese interminabili.
Lui deve diventare l'immancabile Passante. Ossia Colui che attraversa insieme a noi il deserto del quotidiano. Colui che passa, con noi, le giornate tutte uguali. «Credere significa imparare a leggere gli avvenimenti della propria vita come espressione del passaggio di Dio.(...) Si passa la propria esistenza a cercare la strada. E poi, un bel giorno, ci si trova faccia a faccia con un Passante che non è come gli altri. Credere significa accettare di aprire gli occhi, in quel giorno, e bisbigliare - perché no? - "Buon giorno... mio Dio!"».


don Alessandro Pronzato

tratto da  "C'era la Madre di Gesù.
A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca.



22/01/13

Dodici


Mai nulla di splendido è stato realizzato se non da chi ha osato credere che dentro di sè ci fosse qualcosa di più grande delle circostanze.

B. Berton


21/01/13

Colei che si accorge ciò che manca - A. Pronzato


«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)

Quando Maria di Nazaret entra in scena, in punta di piedi, per nulla ingombrante, né tantomeno invadente (...) si rende conto immediatamente di ciò che manca.
Non rivendica niente, non pretende per sé. Non denunci auna sbadataggine, scarsa considerazione, poco riguardo nei propri confronti. E' preoccupata degli altri, per gli altri. Gli interessati stessi non si sono accorti di nulla, non si rendono conto della precarietà della situazione. Tutto regolare per loro.
Lei però, coglie una crepa inquietante nell'organizzazione della festa. E' in anticipo non solo sulla richiesta, ma addirittura sulla consapevolezza altrui. E interviene prima ancora che venga lanciato l'allarme. (...)

Capacità di vedere.
Questione di sguardo, innanzi tutto. La Madonna vede oltre. Il suo è uno sguardo circolare, completo, attraverso il quale Maria abbraccia l'insieme, senza trascurare nessun particolare. Vede il tutto, e non ignora il frammento.
Vede oltre l'immediato, il contingente, oltre il momento presente.
Lei è puntuale perché in anticipo. (...)
Voce del verbo "accorgersi". Che si traduce in una capacità di guardare più in là, precedere, anticipare.
Non è sufficiente vedere. Occorre anche pre-vedere. Non basta rispondere. E' necessario pre-venire la richiesta. (...)
Scopre la mancanza, non nel bicchiere vuoto, ma quando la coppa è ancora piena.
Avverte il disagio, non quando il meccanismo s'inceppa, o si è prodotto un inequivocabile scricchiolio, ma allorché tutto all'apparenza, funziona normalmente.
La Vergine dell'attenzione, a Cana, ci dimostra che vede bene solo chi riesce ad intuire.
Noi, troppo spesso, nonostante lo sfoggio di sapere, ci accontentiamo di perlustrare solo la crosta, divagare alla superficie, osservare l'esterno, guardare le apparenze. Non riusciamo a spingerci dentro (intus-ire), a penetrare nell'interno. Lo sguardo intuitivo è quello che esplora le profondità.

Vulnerabilità.
Dopo lo sguardo, il cuore.
Lo sguardo non basta. Ci può essere uno sguardo attento, ma freddo, indifferente, distaccato.
Si vede bene unicamente col cuore. (...)
Anche il sacerdote della parabola «vede» il malcapitato.
«Quando lo vide, passò oltre, dall'altra parte» (Lc 10,31).
Pure il levita riesce a vedere: «...lo vide e passò oltre».
I due non si sono lasciati «toccare» dal caso di quel poveraccio buttato ai margini della strada. Hanno mantenuto le distanze. Non hanno arrischiato il coinvolgimento.
«... Invece un Samaritano che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione».
Lo sguardo della Madonna, a Cana, è uno sguardo partecipe. Maria non se ne sta tranquillamente in disparte. Non bada ai fatti propri. Abbandona la comoda posizione che le è stata assegnata. Sa che la parte giusta è la parte dell'altro, degli altri. (...) La via che conduce a Dio passa obbligatoriamente attraverso il prossimo. Si incontra Dio solo se si accetta di inciampare nel prossimo. (...)
La Madre dell'attenzione è diventata così la donna della partecipazione profonda, del coinvolgimento completo, della compassione.
Compatire, non significa, genericamente, provare pietà, bensì essere in accordo intimo con la sofferenza dell'altro. (...) Sto male per il male che colpisce l'altro.

Il coraggio dei passi.
Maria si accorge.
Maria si immedesima, ossia rifiuta di stare al proprio posto.
Non basta.
La Madre interviene presso il Figlio. E' questo il punto centrale, decisivo. (...)
Esce allo scoperto, rischia in proprio (a cominciare da una replica del Figlio che resta aspra, nonostante i patetici tentativi di addolcimento che si continuano ad operare).
La fede non è mai, semplicisticamente, elemento di rassegnazione, adattamento, sopportazione passiva, ma principio di lotta, opposizione, sollevamento.
Maria non accetta la situazione esistente («Non hanno più vino»). La contesta, ne pretende il ribaltamento. (...) Il credente è uno che si muove. E quando c'è di mezzo una creatura in movimento, le cose non rimangono mai come sono.

Abbiamo bisogno che Maria ci avverta...
Assumiamo l'episodio di Cana quale punto di partenza e di riferimento per le nostre riflessioni.
Vogliamo pregare Maria di Nazaret perché non esiti ad avvertirci, oggi, dirci ciò che ci manca, cosa scarseggia sulla gigantesca scena del mondo e sulla nostra più modesta tavola familiare. (...)
Più che disturbare il Figlio, vogliamo che la Madre disturbi noi, ci scuota, ci stimoli a fare delle scelte precise, ad assumere certe decisioni anche se costose, a recuperare certi valori essenziali che abbiamo lasciato svanire.
Ancora una volta Maria non ci dice «aspettate», ma «fate».
«... Fate tutto quello che vi dirà».


don Alessandro Pronzato

tratto da   "C'era la Madre di Gesù. 
A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca"




Sete - R. Tagore


Sono irrequieto.
Sono assetato di cose lontane.
La mia anima esce anelando
di toccare l'orlo
dell'oscura lontananza.
O Grande Aldilà,
oh, l'acuto richiamo del tuo flauto!
Dimentico, sempre dimentico,
che non ho ali per volare.

Sono impaziente e insonne,
sono straniero in una terra straniera.
Il tuo alito mi giunge sussurrando
una impossibile speranza.
Il mio cuore comprende il tuo linguaggio
come fosse lo stesso ch'egli parla.
O Lontano-da-cercare,
oh, l'acuto richiamo del tuo flauto!
Dimentico, sempre dimentico,
che non conosco la strada,
che non ho il cavallo alato.

Non c'è nulla che desti il mio interesse,
sono un vagabondo nel mio cuore.
Nella nebbia assolata delle languide ore,
quale visione grandiosa
prende forma nell'azzurro dei cielo!
O Meta Lontanissima,
oh, l'acuto richiamo del tuo flauto!
Dimentico, sempre dimentico,
che tutti i cancelli sono chiusi
nella casa dove vivo solitario!

Rabindranath Tagore