28/04/14

Preghiera di Abbandono - Charles de Foucauld

Padre mio,
 

io mi abbandono a te,
fa di me ciò che ti piace.

Qualunque cosa tu faccia di me
Ti ringrazio.

Sono pronto a tutto, accetto tutto.
La tua volontà si compia in me,
in tutte le tue creature.
Non desidero altro, mio Dio.

Affido l'anima mia alle tue mani
Te la dono mio Dio,
con tutto l'amore del mio cuore
perché ti amo,
ed è un bisogno del mio amore
di donarmi
di pormi nelle tue mani senza riserve
con infinita fiducia
perché Tu sei mio Padre.


Charles de Foucauld


26/04/14

Gesù appare ai dodici nel cenacolo - II Pasqua (A)

Gv 20, 19-31 

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.


È risorto.
Abbiamo lungamente atteso la notizia passata da bocca a orecchio, ci siamo preparati in questi quaranta giorni. Lo abbiamo cantato durante la notte pasquale e ripetuto durante gli otto giorni che seguono.
È risorto!
Lo credo, lo credo con ogni mia fibra.
Credo che Gesù sia vivo, accessibile, incontrabile. Credo che egli sia raggiungibile e che abiti nei mille segni che ci ha lascito.
Non come sbiadito ricordo ma come misteriosa (misterica) presenza.
Eppure: come vorrei poterlo vedere! E conoscere! E abbracciare!
Così le prime comunità cristiane, morti gli apostoli, desideravano in cuor loro.
È allora che Giovanni l’evangelista ha deciso di raccontare la storia di uno degli apostoli, Tommaso.
Beato non perché ha visto ciò che noi non vediamo.
Ma perché ha creduto senza vedere.
Esattamente come accade a noi.

Ferite
Gesù, la sera di Pasqua, appare ai suoi.
Manca Tommaso.
Quando torna, i suoi amici gli danno la notizia, confusi e stupiti, raggianti e pieni di entusiasmo.
È gelida la risposta di Tommaso.
No, non crede.
Non crede a loro. Loro che dicono che Gesù è risorto, dopo essere fuggiti come conigli, senza pudore. Non crede, Tommaso, alla Chiesa fatta da insopportabili uomini fragili che, spesso, nemmeno sanno riconoscere la propria fragilità. Non crede ma resta, e fa bene.
Non fugge la compagnia della Chiesa, non si sente migliore. Rassegnato, masticato dal dolore, segnato dal sogno infranto, ancora resta. Tenace.
Torna Gesù, apposta per lui.
So che hai molto sofferto, Tommaso. Anch’io, guarda qui.
Gli mostra le mani, il risorto, trafitte dai chiodi.
Ora cede, Tommaso, il grande credente. Si getta in ginocchio, piange, come un bambino che ritrova i propri genitori. Piange e ride e, primo, professa la fede che sarà di tutti: Gesù è Signore e Dio.
Può il dolore avvicinarci a Dio?
Sì, se scopriamo che Dio lo condivide senza riserva.
Il risorto, ormai, lo riconosciamo solo attraverso dei segni: le bende, la voce, il pane spezzato, il segno della pesca. Ma anche le ferite del risorto, la partecipazione al dolore di Dio diventano segno.

Fede
Gioca con noi l’evangelista.
È un crescendo di titoli rivolti a Gesù, il suo vangelo. Come una piccola traccia fatta di briciole che ci conducono alla pienezza della verità.
I primi due discepoli lo hanno chiamato rabbì (Gv 1,38), poco dopo Andrea dice a Simone di avere trovato il messia (Gv 1,41), Natanaele osa chiamarlo Figlio di Dio (Gv 1,49), i samaritani lo proclamano salvatore del mondo (Gv 4,43) e la gente lo acclama come un profeta (Gv 6,14). Per il cieco guarito egli è il Signore (Gv 9,38) e Pilato gli attribuisce il titolo di re dei giudei (Gv 19,19). Ma è Tommaso ad avere l’ultima parola proclamandolo mio Signore e mio Dio, un’espressione che la Bibbia attribuisce solo a Jahwé (Sal 35,23).
L’incredulo, in realtà, si dimostra il più credente di tutti perché crede anche senza avere visto.
Nessun vantaggio per chi c’era, dice Giovanni, anche noi, come gli apostoli, possiamo fare esperienza totale di Dio.
Giovanni conclude il suo scritto dicendo che l’esperienza di fede nel risorto è comune a molti.
Molti segni sono successi e molti ne succederanno, e vangeli possono essere scritti da ognuno di noi, ogni volta che facciamo esperienza del risorto nei segni della sua presenza, l’eucarestia anzitutto.
E la misericordia, la compassione di Cristo diventano il grande segno dell’amore di Dio verso di noi. E la misericordia che noi abbiamo verso gli altri diventano segno dell’amore di Dio per gli uomini.
E ogni vita diventa sacramento.

Santi
Come quella di Papa Giovanni e di Papa Giovanni Paolo. Due giganti nella fede, diversi, vissuti in epoche diverse, ma entrambi travolti dalla compassione e testimoni fedeli del vangelo.
Giovanni con la sua bontà, sacramento di vicinanza rimasto impresso nel cuore di molti.
Giovanni Paolo con la sua energia e con la sua impressionante tenacia durante la malattia.
Vite divenute segni.
No, non abbiamo bisogno di vedere e di toccare per credere.
Cristo risorto ci raggiunge e ci tocca attraverso la delicatezza dei fratelli che ci pone accanto.

Animo, fratelli scoraggiati, la misericordia ci salva.

Paolo Curtaz

www.tiraccontolaparola.it 

17/04/14

La redenzione operata da Gesù - Carlo Molari

 Per comprendere il senso della morte di Gesù bisogna eliminare due pregiudizi ancora molto presenti: che Gesù sapesse fin dall'inizio che sarebbe morto in modo violento e che tale morte era parte di un decreto divino, era cioè necessaria alla salvezza dell'umanità. Questi due pregiudizi sono ancora molto correnti, ma non sono fondati nella Scrittura.
Per questo motivo la teologia sta realizzando un profondo cambiamento di prospettiva passando da una impostazione giuridica e morale della redenzione ad una più vitale e storica. (...)
In questa luce due concetti, frequenti nella tradizione ecclesiale, hanno richiesto precisazioni e chiarimenti. Sono quelli di espiazione e di soddisfazione. Ad essi corrispondono due modelli interpretativi della morte di Gesù, che sono stati proposti e sono stati sviluppati in tempi diversi, suscitando movimenti spirituali di innegabile importanza.

Espiazione
Flagellazione di Cristo,  Caravaggio
Espiazione, secondo il senso comune del dizionario, significa «pagare il fio per il male fatto». Questo primo senso immediato è fuorviante. Infatti non è questo il senso biblico del termine. Nella tradizione ebraica esiste la festa dell'espiazione o giorno della purificazione (yom kippur), descritta nel cap. 16 del libro del Levitico. Essa risulta dalla fusione di due tradizioni distinte: la più antica consisteva nel caricare il capro espiatorio dei peccati del popolo e lasciarlo nel deserto per liberare i peccatori; l'altra tradizione, post-esilica, consisteva nel sacrificio di un montone, sacrificato per i peccati compiuti dal Sommo sacerdote, che presiedeva il rito, e da tutta la comunità di Israele durante l'anno. Con il sangue del montono immolato veniva segnato il kaporet o propiziatorio, la lamina d'oro che apriva il sancta sanctorum del tempio di Salomone, e poi anche l'altare.
Il significato simbolico del rito era molto chiaro: il sangue era considerato dagli ebrei sede della forza creatrice di Dio, ambito della sua azione salvifica. Per questo toccare il sangue rendeva impuri. Il sangue a contatto del kaporet era caricato di potenza divina, in grado di riversare sul popolo intero la benedizione e la misericordia di Dio. Il messaggio fondamentale quindi del sacrificio di espiazione è che la forza divina concentrata nel sangue dona vita e purifica dai peccati. L'espiazione non è quindi un'azione dell'uomo, ma un'azione di Dio.
L'idea è ripresa e sviluppata nel Nuovo Testamento in rapporto alla morte e al sangue di Gesù. Negli scritti di Giovanni l'analogia è sviluppata attraverso la figura dell'agnello.Nel Vangelo, con le parole del Battista, l'evangelista qualifica Gesù come «agnello di Dio che toglie (o porta) i peccati del mondo» (Gv 1,29). Nella sua prima lettera egli presenta Gesù come «vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 2,2; 4,10). La figura dell'agnello immolato, ripresa anche nell'Apocalisse (cfr. Ap 5, 6.12), riassume le valenze simboliche dell'agnello sacrificato nel giorno dell'espiazione.  In particolare, del Servo Isaia il testo dice che «maltrattato si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca: era come un agnello condotto al macello» (Is 53,7). Aggiunge che Egli «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori. E' stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità» (Is 53, 5). In questo senso Giovanni può dire che Gesù «è vittima di espiazione dei nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,2; cfr. 4,10). E poco dopo indica la natura dell'evento salvifico come processo dell'amore di Dio, che dona vita: «(...) In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato suo figlio come vittima per i nostri peccati» (1Gv 4, 10). (...)
In conclusione possiamo dire che, come il peccato è sottrazione di forza vitale perché allontana da io, fonte di vita per l'uomo, la salvezza è ristabilimento del rapporto con Lui, per sua iniziativa: «è stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (cfr. 2Cor 5,19). (...) Il Catechismo degli adulti della CEI precisa che l'espiazione è «da intendere come purificazione, non come castigo sostitutivo... L'amore di Dio ha fatto di Cristo lo strumento di espiazione, cioè di purificazione dei nostri peccati, di riconciliazione dei peccatori e di restaurazione dell'alleanza» (n. 256). L'espiazione in questa prospettiva è il ristabilimento del rapporto con Dio che purifica l'uomo rinnovandogli l'offerta della vita.
Il movimento descritto attraverso la simbologia dell'espiazione, quindi, richiama un'energia che da Dio è scesa e ancora scende gratuitamente verso gli uomini per comunicare loro quel dono che li costituisce figli suoi. La manifestazione concreta di questo amore salvifico si è realizzata in Gesù che ha amato sino all'estremo (...).

Soddisfazione
In generale essa è definita «compensazione sufficiente in vece o a favore di una persona per un debito materiale o morale, di cui essa per propria colpa è debitrice, secondo giustizia verso una terza persona» (Enciclopedia cattolica).
Nella tradizione cristiana questo concetto è stato applicato al rapporto fra Dio e l'uomo e vuole indicare l'amore con cui Gesù ha offerto la sua sofferenza a Dio come «compenso» e «riparazione» delle offese compiute dai peccatori.
E' stato sopratutto S. Anselmo d'Aosta a teorizzare in questo modo la salvezza (...) Ma poi questa teoria è diventata universale: l'uomo ha peccato, deve riparare i danni e compensare l'offeso per l'offesa subita. Solo un giusto sofferente e innocente, solo una persona divina poteva fare quest'opera. (...)
La teologia della soffisfazione ha avuto sviluppi molto ampi negli ultimi secoli ed è giunta a formulazioni che hanno dimostrato la distanza dalla rivelazione di Dio realizzata da Gesù. Il difetto principale di tale teologia è l'antoropomorfismo, l'applicazione cioè a Dio delle regole che valgono tra gli uomini. (...)
Per questo la teologia della soddisfazione è stata abbandonata, anche se il termine è ancora utilizzato in un senso più ampio e generico. (...)
Il  Catechismo degli adulti della CEI chiarisce che «soddisfazione vuol dire che la croce di Cristo ricostruisce l'ordine oggettivo del mondo e il suo giusto rapporto con Dio, riparando i danni causati dal peccato» (...).
Egli [Gesù] infatti ci ha salvati non perché ha offerto a Dio una riparazione del peccato al posto degli uomini, ma perché ha offerto da parte di Dio a tutti i peccatori la forza dello Spirito che purifica e rinnova. Continuare la missione di Gesù esige l'esercizio di quella stessa attitudine oblativa, di quell'amore, cioè, «sino all'estremo» con cui Gesù ha rivelato Dio.


Carlo Molari
 tratto da  "Per una spiritualità adulta"