01/05/13

Ci manca il coraggio dell'originalità - A. Pronzato

«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)

La vera tortura
Aprile 1867. Kunstmuseum di Basilea. Un uomo sui quarantacinque anni, scortato dalla moglie, che gli lancia occhiate apprensive, perlustra le varie sale. Asciutto, una folta barba biondiccia, le labbra pallide stirate su un volto di un rossore sospetto, lo sguardo quasi allucinato.
A un tratto si blocca di fronte al "Cristo nel sepolcro", dipinto da Hans Holbein il giovane tra il 1521 e il 1522, uno dei capolavori più agghiaccianti che si conoscano. Un'immagine di morte che mette i brividi addosso.
Commenterà più tardi: «E' il cadavere di un uomo lacerato dai colpi, dimagrito, gonfio, con dei lividi tremendi, sanguinolenti e tumefatti; le pupille storte; gli occhi, grandi, dilatati, brillano di un lucore vitreo».
La donna di avvicina, temendo che quella visione possa scatenare un accesso del male che periodicamente aggredisce il marito, già estremamente sensibile per natura. 
Lui si limita a mormorare: «Un quadro così può far perdere la fede». E si avvia, pensieroso, verso la sala successiva. Per poi ritornare di fronte a quel quadro, quasi fosse attirato da una calamita invisibile. Ritornato all'albergo, avrà uno degli attacchi epilettici più furiosi della sua vita. Si chiama Fëdor Dostoevskij e ha appena pubblicato "Delitto e castigo". Non riuscirà più a staccarsi dalla contemplazione del Cristo morto di Holbein.
Quando capito nei paraggi, anch'io mi infilo nel Kunstmuseum di Basilea e punto dritto verso quella sala. Devo riconoscere, però, che l'immagine che tanto ha sconvolto il romanziere russo provoca in me pensieri totalmente diversi.
Lui si era posto due domande drammatiche: «Se i suoi futuri apostoli e le donne che lo seguivano e che stettero ai piedi della croce videro il suo cadavere in questo modo, come poterono credere che quelle spoglie sarebbero risuscitate? Se lo stesso Maestro avesse potuto vedere la propria immagine da morto, la vigilia del suo supplizio, avrebbe avuto il coraggio di salire sulla croce?».
Il fatto è che le donne e alcuni degli amici hanno visto quel corpo straziato e hanno creduto e testimoniato la risurrezione.
Pure Lui "l'ha visto" prima di consegnarsi ai carnefici. "Si è visto" orrendamente sfigurato.
Per me, la cosa incomprensibile è che si possa contemplare quella morte atroce e poi continuare a vivere come se nulla fosse, interpretare un cristianesimo al ribasso, annacquare i paradossi evangelici, ammorbidire il Sermone sul Monte, tessere ricami intorno alle beatitudini, pagare a comode rate il prezzo della fede, conciliare la croce con la poltrona.
Ha ragione J. Descalzo quando afferma che l'amore folle di Gesù tutt'oggi deve sopportare qualcosa di più atroce della morte stessa: la tortura quotidiana di vedersi ridotto alla mediocrità, addolcito, edulcorato, mitigato, alleggerito, fatto noioso, compassionevole, rimpicciolito, insulso, reso digeribile ogni Settimana Santa perché non disturbi troppo, perché si adatti alle nostre misure e ai nostri calcoli. Uno stile cristiano insulso, rinunciatario, timido, tremebondo, rappresenta la più scandalosa sconfessione dell'amore folle di Cristo.

Chiamati allo straordinario
La Madonna ha detto, quella volta, a Cana, e continua a ripetere oggi: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5).
Il fatto è che abbiamo paura. A noi manca il coraggio di rispondere alla nostra vocazione specifica, che è una chiamata:
 - allo straordinario
 - alla marginalità
 - all'originalità

Ci sono le chiamate dell'ordinario. Ma ci sono, altresì, le chiamate allo straordinario.
«E se date il vostro saluto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?» (Mt 5,47).
La vocazione del cristiano è una vocazione allo straordinario.
Mettiamocelo bene in testa questo termine, ficchiamocela nel cuore questa spina: ciò che caratterizza il cristiano è lo "straordinario" (in greco perissòn).
Il fattore cristiano è il fattore "s": straordinario, ossia ciò che è insolito, niente affatto normale, non va da sé, non è naturale, non segue l'andazzo comune.
E' ciò che supera abbondantemente le misure del buonsenso, del calcolo giudizioso. E' ciò che va oltre il possibile. 
«Dove non c'è questo fattore singolare, straordinario, non c'è nulla di cristiano» (Dietrich Bonhoeffer).
Il cristiano si rende "visibile" solo con lo straordinario.
Non si tratta, beninteso, di abbandonare il campo di azione comune, ordinario. Ma di inserirvi l'elemento eccezionale. Un'eccezione che poi è la regola, stando al codice cristiano. (...)
Quando uno, nel suo amore, non si lascia determinare dai comportamenti altrui, reagisce a una provocazione con la dolcezza, di fronte a un sopruso risponde con mitezza, persegue la via della conciliazione senza ragionare in termini di diritti da far valere o di torti da rinfacciare, si è guadagnato semplicemente la possibilità di dichiarare, senza mentire, il proprio nome: cristiano.
Se, invece, mi professo cristiano, ma non parlo il linguaggio dell'amore, del perdono, della comprensione, della non violenza (compresa naturalmente quella verbale), io dico il falso.

Chiamati alla marginalità
I margini sono gli spazi bianchi che contornano un testo. Lì si è liberi di scrivere ciò che si vuole. Le proprie osservazioni, il proprio accordo, ma anche il proprio dissenso.
Esiste un testo scritto, accettato dai più, che sembra immodificabile. Una specie di copione fisso. Lì sono stabilite le regole del successo, del potere, della felicità, della carriera, dell'interpretazione della vita in chiave di utilità individualistica, di comodità, di piacere, di possesso. 
I cristiano notano, ai margini, che non sono d'accordo con quelle regole. Scrivono, ai margini, un altro testo, un altro modo di interpretare la vita.
Approfittando dei larghi spazi disponibili ai margini della pagina, vi apportano le loro correzioni decisive (anche se non clamorose). 
Loro, tuttavia, non si accontentano di scrivere ai margini.
Camminano ai margini.
La carovana dei seguaci di Cristo, santi in testa, batte strade insolite, anzi si inoltra in percorsi fuori-strada, si mostra attenta a una segnaletica invisibile. 
La turba immensa dei santi non segue gli itinerari "raccomandati" della prudenza, della furbizia, della potenza, della popolarità, delle diplomazie, delle mascherate.
Passa senza lasciare orme visibili nella storia. Eppure vi conserva, sotterraneo, il fermento del Vangelo. Vi nasconde, sotto la crosta, il seme dell'amore di Dio.
I cristiani, pur vivendo in questo mondo, ne ripudiano la logica, ne respingono le astuzie, preferiscono mantenersi al largo dal palazzo e dagli apparati, stanno fuori dalla città, fuori dal recinto, proprio come Gesù che è nato ed è stato mandato a morire "fuori dalle mura" della città.
I cristiani sono testimoni del Trascendente, nel senso che si ostinano a salire al di là del muro dove vive sicuro il gregge, dove sonnecchia la massa.  "Trascendere", infatti, deriva da trans (al di là, oltre, attraverso), e scandere (salire): arrampicarsi oltre, buttarsi dall'altra parte.
Il cristiano, pur rimanendo nel mondo, è "altrove" rispetto agli appetiti, alle abitudini, ai modi di pensare e di agire dei più. Sta "al di là", pur dimorando "nell'al di qua". 

Chiamati all'originalità
Il cristiano, in fondo, lo si può definire come un "originale".
Originale nel senso che fa delle cose un po' strane, ha dei comportamenti bizzarri, compie azioni non programmate secondo i criteri abituali. 
Uno che rifiuta, secondo i dettami del Sermone sulla Montagna, di odiare chi gli è nemico, ribatte a una ingiuria con una parola di comprensione, benedice chi va in giro a sparlare di lui, saluta con un sorriso un individuo che non se lo merita, non si preoccupa di farsi valere, oppone la mitezza alla prepotenza, dimentica una umiliazione, che gli è stata inflitta, una azione infame che ha dovuto subire, è indubbiamente un "originale", frequenta un altro mondo, non rispetta i criteri usuali di comportamento.
I perbenisti, ancora una volta, come hanno fatto i parenti di Gesù, sentenziano gravemente: «Non è a posto...», «E' fuori di sé...». 
In realtà, non sta nel posto assegnato da loro. E' "fuori" di loro. Estraneo alle loro consuetudini. "Fuori" dalla mentalità dominante. (...)
La possibilità di imitare Dio nella sua generosità senza restrizioni, nel suo amore senza confini, fonda l'originalità, la specificità del cristiano.
Il cristiano, o è un originale (a fatti, non a parole), o non è cristiano.
Se fa come tutti, si adegua alle regole del mondo vecchio, incapace di azioni insolite, diventa insignificante, trascurabile. Se vive attenendosi ai registri della compostezza, della ragionevolezza, della prudenza umane, dimostra di non aver imparato il «ma io vi dico» del Cristo.
Il cristiano, o è l'uomo del paradosso, o è l'uomo della banalità. Se è prevedibile, ripetitivo, non riesce a sorprendere, annulla la novità evangelica, non merita attenzione.
Se la presenza cristiana non risulta scomoda, imbarazzante, non getta lo scompiglio nei cerimoniali accettati da tutti, indossa gli abiti confezionati secondo le misure del buonsenso, e i gusti del mondo, determina l'assenza di Gesù, tradisce il Maestro. (...)
Resta l'amore "impossibile", folle, impensabile, suggerito dal «ma io vi dico» di Cristo, e interpretato da Lui nella sua esistenza terrena e nella sua Passione e morte, il vero criterio dell'originalità cristiana.

L'artista e lo scolaro
Maria, dimmi , che cos'era per te il messaggio di tuo Figlio?
Io non riesco ad immaginare che tu lo considerassi come un arido codice contenente una serie di disposizioni legali, norme, divieti, imposizioni. Qualcosa da osservare rigidamente. Un testo da interpretare alla lettera, senza un guizzo di fantasia, senza slancio e creatività.
Penso, piuttosto, che tu l'abbia percepito come una musica.
Vedi, noi rassomigliamo al bambino che si ostina a picchiare con un dito solo sul pianoforte.
E' venuto Gesù, che ha fatto risuonare delle armonie incredibili, lasciandoci intuire il mondo meraviglioso che potremmo frequentare e costruire noi stessi, con un po' di inventività.
E noi siamo ancora lì, col nostro bravo dito, a battere sempre lo stesso tasto, eseguire l'identico spartito ormai consunto, battere quell'unica nota, ripetere quella stucchevole esercitazione scolastica.
Ci riveliamo incapaci di uscir fuori dal campo delle nostre possibilità.
Rimaniamo chiusi nel nostro mondo.
E, oltre ad addormentarci, facciamo addormentare e annoiare tutti.
Maria, toglici il complesso dello scolaro diligente, che si accontenta di compiere il proprio dovere, fare lo stretto necessario.
Fa' che ci lasciamo avvolgere e travolgere dalla stessa melodia che è risuonata nel tuo cuore. Che ne cogliamo tutte le sfumature e le varianti.
Maria, fa' che ci abbandoniamo, come te, all'ispirazione , perché la nostra vita sia una composizione nuova, inedita, con qualche tocco almeno di originalità. Una vita che non mortifica lo Spirito, ma gli offre ampi spazi per le sue stupefacenti improvvisazioni.


don Alessandro Pronzato

tratto da "C'era la madre di Gesù... A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca"