14/05/13

La preghiera, la porta dell'anima - Teresa d'Avila


I, cap. 1
«Mentre oggi stavo supplicando il Signore di parlare in mia vece, perché non riuscivo a dir nulla né sapevo in che modo cominciare a compiere l'obbedienza impostami, mi venne in mente ciò che ora dirò, per iniziare la trattazione con un certo fondamento: cioè che possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un solo diamante o di un tersissimo cristallo, dove sono molte dimore, come molte ve ne sono in cielo. Infatti, se ci riflettiamo bene, sorelle, l'anima del giusto non è altro che un paradiso dove il Signore dice di avere le sue delizie. Allora, come pensate che sarà l'abitazione dove trova il suo diletto un Re così potente, così saggio, così puro, così ricco di tutti i beni? Io non vedo nulla a cui paragonare la grande bellezza di un'anima e la sua immensa capacità e in verità il nostro intelletto, per acuto che sia, difficilmente arriverà a comprenderla, al modo stesso in cui non può arrivare a comprendere Dio (...)

Non sarebbe forse segno di grande ignoranza, figlie mie, se qualcuno, richiesto della sua identità, non sapesse rispondere né potesse dire chi è suo padre, sua madre, e quale il suo paese? Se dunque ciò denuncia un'enorme ignoranza, la nostra, quando non cerchiamo di sapere chi siamo e ci fermiamo solo alla considerazione del nostro corpo, è, senza confronto, maggiore. Sì, a un dipresso sappiamo di avere un'anima, perché lo abbiamo udito dire e perché ce lo insegna la fede, ma i beni che può racchiudere quest'anima o chi abita in essa, o il suo inestimabile pregio, son cose che consideriamo raramente. Di conseguenza ci si preoccupa poco di adoperarsi con ogni cura a conservarne la bellezza: tutta la nostra attenzione si svolge sulla rozza incastonatura di questo diamante, o sul muro di cinta di questo castello, cioè il nostro corpo.

Consideriamo, dunque, che questo castello, come ho detto, contiene molte dimore, alcune in alto, altre in basso ed altre ai lati. Nel centro, in mezzo a tutte, si trova la principale, che è quella dove si svolgono le cose di maggior segretezza tra Dio e l'anima.
Bisogna che facciate attenzione a questo paragone. Chissà che Dio non si compiaccia, con esso, di farvi avere un'idea delle grazie che egli ha la bontà di accordare alle anime, e della differenza che passa fra loro, fin dove mi sarà dato d'intenderle (...)  Infatti come non ci è di danno la considerazione delle bellezze che sono in cielo e del godimento dei beati, anzi ci è causa di allegrezza e ci serve di spinta per ottenere ciò di cui essi godono, non ci sarà neppure di danno costatare la possibilità che in questo esilio un Dio tanto grande si comunichi a vermiciattoli così ripugnanti come siamo noi, e ci spronerà ad amare una così eccelsa bontà e una così infinita misericordia. (...)  
E così accade che non sempre, quando egli accorda tali grazie a certe anime, lo fa perché siano più sante di quelle a cui non le dà, ma perché si conosca più manifestamente la sua grandezza, come possiamo vedere in san Paolo e nella Maddalena, e per essere da noi lodato nelle sue creature. (...)

Tornando, dunque, al nostro meraviglioso e delizioso castello, dobbiamo vedere in che modo vi potremo entrare.
Sembra che dica uno sproposito , in quanto se questo castello è l'anima, evidentemente l'entrare non ha ragion d'essere, poiché si è già dentro, come sembrerebbe una stoltezza dire a qualcuno di entrare in una stanza, quando già vi si trova. Ma bisogna che intendiate che esiste una gran differenza tra un modo di esservi e un altro. Ci sono, infatti, molte anime che restano nella cerchia esterna del castello, dove stanno le guardie, e non si curano di entrare in esso né di sapere che cosa racchiuda una così splendida dimora, né chi sia colui che la abita, né quali appartamenti contenga. Avrete già visto in alcuni libri di orazione che si consiglia l'anima di entrare in se stessa; ebbene, è proprio questo.

Mi diceva poco tempo fa un gran teologo che le anime che non fanno orazione sono come un corpo paralizzato o rattrappito che, pur avendo piedi e mani, non li può muovere. Ed è proprio vero, perché ci sono anime così malate e così avvezze a vivere fra cose esteriori, che non c'è mezzo di tirarle fuori di lì, né a quanto sembra, possibilità che rientrino in se stesse. E' ormai talmente inveterata l'abitudine di vivere con i vermi e gli animali che stanno nel recinto del castello, che son quasi divenute simili ad essi, e tutto è inutile, nonostante l'eccellenza della loro natura e la possibilità di conversare nientemeno che con Dio. Se queste anime non cercano di comprendere la loro immensa miseria e di porvi rimedio, accadrà che, per non volger lo sguardo a se stesse, si muteranno in statue di sale, come avvenne alla moglie di Lot per essersi voltata indietro.

Infatti, per quanto ne posso capire, la porta di entrata a questo castello è l'orazione e la meditazione. (...)

Non parliamo, dunque, a queste anime paralitiche, le quali, se il Signore non viene lui stesso a comandar loro di alzarsi - come a quell'uomo che da trent'anni stava sul bordo della piscina - andranno incontro a grandi sventure e a gravi pericoli. Parliamo delle altre anime che, alla fine, entrano nel castello perché, anche se molto invischiate nel mondo, hanno buoni desideri e talora, benché di rado, si raccomandano a nostro Signore, e considerano quello che esse sono, sia pure un po' in fretta. Pregano qualche volta al mese, ma con il pensiero quasi sempre immerso nei mille affari da cui sono prese, essendovi molto attaccate, perché là dov'è il proprio tesoro, è anche il proprio cuore. Fanno però, di tanto in tanto, uno sforzo per liberarsene, ed è certo una gran cosa la conoscenza di sé e il rendersi conto che non si batte la via giusta per imboccare la porta. Finalmente, entrano nelle prime stanze, quelle poste in basso, ma, insieme, vi entrano una quantità di animaletti nocivi che non permettono loro di vedere la bellezza del castello né di trovarvi riposo: è già molto che vi siano entrate.
Ciò vi sembrerà forse fuor di luogo, figlie mie, perché voi, per la bontà del Signore, non siete di queste. Bisogna che abbiate pazienza, perché non saprei altrimenti farvi intendere, come le comprendo io, alcune cose interiori riguardanti l'orazione (...)

I, cap. 2
Prima di andare avanti voglio esortarvi a considerare che cosa deve essere lo spettacolo di questo castello così risplendente e così bello, questa perla orientale, quest'albero di vita piantato nelle stesse acque vive della
vita, che è Dio, quando l'anima cade in un peccato mortale. Non vi sono tenebre più buie, né nulla di così oscuro e fosco che possa reggerne il confronto. Non cercatene altro motivo che questo: lo stesso sole che gli dava tanto splendore e bellezza, pur stando nel centro di quest'anima, è come se non ci fosse più; come se l'anima non potesse più partecipare di lui, anche se conserva la capacità di godere di Sua Maestà come il cristallo di riflettere in sé il sole. (...)

Possa pertanto nascere in voi figlie mie, il proposito di pregar molto Dio per coloro che si trovano in questo stato, ridotti a una completa oscurità, come oscure sono anche le loro opere.
Infatti, come da una sorgente molto chiara non sgorgano che ruscelli limpidissimi, così è di un'anima in stato di grazia; le sue opere sono tanto gradite agli occhi di Dio e degli uomini, perché procedono da questa fonte di vita, dove ella si trova a guisa di un albero piantato lungo l'acqua, senza la quale non avrebbe freschezza né fecondità, mentre essa la sostenta, le impedisce di inaridirsi e le fa produrre ottimi frutti. Tutto ciò che, invece, procede dall'anima la quale, per sua colpa, si allontana da questa fonte e mette radici in un'altra fonte, dalle acque scurissime e maleodoranti, riflette la sua stessa assenza di grazia e la sua sudiceria.

Bisogna qui notare che la fonte o, meglio, quel sole risplendente posto al centro dell'anima, non perde il suo fulgore né la sua bellezza: continua a stare nell'anima e niente può portargli via tale bellezza. Ma se sopra un cristallo esposto al sole si mette un panno molto scuro, è evidente che, anche se il sole batte su di esso, la sua luce non avrà nessun effetto sul cristallo. (...)

II, cap. 1
Mi occupo qui di coloro che hanno già cominciato a far orazione e hanno capito quanto importi non fermarsi alle prime dimore, ma che non hanno ancora tale salda determinazione da non evitare, spesso, di restarvi, perché non fuggono le occasioni, cosa assai pericolosa. E' però grande misericordia divina che talvolta cerchino di sottrarsi a serpenti e a rettili velenosi, comprendendo che è bene allontanarsene. (...)
Le persone di cui parlo sentono gli appelli loro rivolti dal Signore, perché man mano che si avvicinano di più alla dimora di sua Maestà, capiscono quale buon vicino egli sia: è così grande la sua misericordia e bontà che, pur stando noi immersi nei nostri passatempi, negli affari, nei piaceri e negli inganni del mondo e pur cadendo e rialzandoci dai peccati (perché fra bestie tanto velenose, la cui presenza è così pericolosa e conturbante, sarebbe un miracolo evitare di inciamparvi e di cadere), ciò nonostante, dico, questo nostro Signore apprezza tanto che lo amiamo e cerchiamo la sua compagnia, che prima o poi non tralascia di chiamarci per farci avvicinare a lui, e la sua voce è così dolce che la povera anima si strugge di non far subito ciò a cui è chiamata. Ecco perché - come ho detto - l'udire è maggior pena che non udire.

Ciò non significa che tale voce e tali appelli siano come altri di cui parlerò dopo. Sono parole che si odono pronunciare da persone virtuose, o sermoni, o ciò che si legge in buoni libri, o altre cose di cui sapete che Dio si serve per chiamare a sé un'anima: malattie, tribolazioni e anche certe verità che egli ci insegna nei momenti in cui stiamo in orazione: sia pur fiacca quanto vogliate l'orazione, Dio le apprezza molto. (...)
La perseveranza è qui la cosa più necessaria, perché con la sua mediazione non accade mai di non guadagnar molto. Ma è terribile il cumulo di assalti dato ora in mille guise dal demonio, e con maggior sofferenza dell'anima, rispetto alla dimora precedente. Là era muta e sorda - per lo meno udiva ben poco - e resisteva meno, come chi in parte ha perduto la speranza di vincere; qui l'intelligenza è più viva e le potenze più abili: i colpi dell'artiglieria nemica sono tali che l'anima non può evitare di udirli. Allora infatti, i demoni presentano queste serpi delle attrattive mondane, di cui ho parlato, e danno apparenza di eternità a beni caduchi: la stima in cui si è tenuti nel mondo, gli amici e i parenti, la salute compromessa dalle penitenze (giacché l'anima che entra in queste dimore comincia sempre a desiderare di farne qualcuna) e frappongono mille altre specie di impedimenti. (...)
Oh Gesù che baraonda fanno qui i demoni e quali sono le emozioni della povera anima, che non sa se deve andare avanti o tornare alla prima dimora! Perché la ragione, per altro verso, le mostra che si sbaglia a pensare che tutto ciò non valga alcunché in confronto alle sue alte aspirazioni; la fede invece le insegna ciò che le deve importare. (...) La volontà propende ad amare chi ha visto darle tali innumerevoli grazie e prove d'amore, e vorrebbe ripagarle, ameno in parte. Sopratutto ha presente come questo vero amante non l'abbandona mai, affiancandola, dandole essere e vita. (...)
Certamente l'anima qui soffre grandi tribolazioni, specialmente se il demonio capisce che per la sua natura e per le sue pratiche abituale ha la capacità di andare molto innanzi. Tutto l'inferno sarà unito per costringerla ad uscire dal castello.

Oh, Signor mio! Qui è necessario il vostro aiuto, senza il quale non si può far nulla. In nome della vostra misericordia, non vogliate consentire che quest'anima sia tratta in inganno e lasci la strada iniziata. Illuminatela, affinché veda che dalla sua perseveranza dipende tutto il suo bene e si tenga lontana da cattive compagnie. Le sarà, invece, sommamente utile trattare con coloro che si occupano di queste cose, avvicinarsi non solo a quelli che vedrà abitare nelle sue stesse dimore ma anche a quelli che vedrà penetrati più innanzi, perché troverà in loro un grande aiuto e, a forza di trattarli, può darsi che la introducano dove essi si trovano. Stia sempre in guardia per non lasciarsi vincere, perché se il demonio vede in lei una ferma decisione di perdere piuttosto la vita, il riposo e tutto ciò che le offre, anziché tornare alla prima dimora, la lascerà assai presto. Sia di anima virile e non somigli a coloro che si gettavano a bere a bocca in giù, quando andavano a combattere non mi ricordo con chi (cfr. Gdc 7, 1-8), ma prenda la sua brava decisione, pensando che va a dar battaglia a tutti i demoni e che non c'è arma migliore della croce. (...)

Di fronte al male di lasciare l'orazione non c'è [infatti] altro rimedio che ricominciare a raccogliersi. Altrimenti l'anima andrà perdendo forze poco a poco ogni giorno di più, e piaccia a Dio che ce ne accorgiamo!»


S. Teresa d'Avila
tratto da "Il Castello interiore"  (I e II dimora)