18/05/13

Pentecoste

Gv 14, 15-16.23-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».


In questa festa di Pentecoste la nuova traduzione del testo ci permette di tornare al termine originale “Paraclito”, per parlare dello Spirito Santo. In questo testo compare due volte questo modo di definire il "dono dall’alto”, il dono che viene dal Padre e che procede dal Padre e dal Figlio e che ha questa definizione. “Paraclito”, “parakaleo”, in greco è “il chiamato dappresso”, quello che in latino si traduce “ad vocatus”, cioè “chiamato presso di me”. 
Che funzione ha il Paraclito? La funzione dell’”avvocato difensore”, il quale non poteva parlare al posto dell’imputato come invece avviene oggi, ma suggeriva all’imputato come parlare; stava dappresso all’imputato, parlava al suo orecchio e gli dava i consigli su come rispondere alle accuse. 
 Ecco, lo Spirito Santo arriva, ed è un Paraclito, non si sostituisce a noi, ma ci dice come fare, perché per Dio è tanto importante la nostra identità, non la abusa, non la bypassa, non la schiaccia, non la cancella. “Essere in Cristo”, vuol dire non essere più noi, ma essere “proprio noi”, fino in fondo. Lo Spirito Santo cerca proprio noi, vuole parlare con noi; è tutta una questione di accogliere, amare, la Parola di Cristo. 
«Se uno mi ama osserverà la mia Parola», dice questo testo. Questa consolazione, questa sapienza straordinaria, che viene insufflata nel nostro essere, passa però attraverso una nostra libera adesione a quello che è del Padre, a quello che è la Parola di Cristo, ed è una questione di amore. La relazione con Dio non è una relazione di “dovere”, non è una relazione di “obbligo”, non è una relazione di “imposizione”, non è come il male che ci schiavizza, ci costringe, non sappiamo come uscirne, un vizio ci prende e diventa nostro padrone. Con Dio noi restiamo sempre, comunque, con l’iniziativa e la libertà di dire “si” o “no”: «Se uno mi ama osserverà la mia Parola». Le parole di un amato uno se le tiene nel cuore: può capitare che diciamo a qualcuno «Non ci tieni a me, ti ho detto questa cosa e non ne hai manco tenuto conto, quando parlo non ascolti ciò che ti dico, non lo metti nel cuore, non lo difendi», perché, infatti, c’è questo “osservare la parola”, questo “tenere dentro”. Ci sono delle cose che noi ci teniamo molto strette perché sono legate alle persone a cui abbiamo voluto bene: certi ricordi di persone care; se abbiamo perso un genitore, un fratello, un amico… abbiamo delle cose che ce li ricordano, magari sono piccole cose e le teniamo da conto, c’è qualcosa di loro in noi. Questa è la relazione che Dio vuole stabilire con noi: che noi teniamo dentro di noi qualcosa di meraviglioso. Noi abbiamo urgenza, sempre, di fare molta molta attenzione a quei momenti di intimità che sono un dono e che Dio, nella sua Provvidenza, dona a tutti! Magari da bambini, magari all’inizio della nostra esistenza, con la nostra prima sensibilità o più grandi. Quando una parola entra nel nostro cuore, dobbiamo essere furbi, tenercela stretta, perché quella parola è la pista di atterraggio dello Spirito Santo dentro di noi; quella parola è la strada attraverso cui si crea proprio una “dimora”. Qui si parla del “prendere dimora”. Nell’Antico Testamento si parlava di una in abitazione di Dio nel Tempio: la dimora di Dio era il Tempio. Il nuovo Tempio è il nostro cuore, la nostra realtà più profonda; il nostro spirito, che è qualcosa di diverso dalla nostra sensibilità, dalla nostra psicologia… è un luogo più profondo della nostra psiche, un luogo più profondo dei nostri stati d’animo: lì c’è il luogo in cui Dio vuole abitare, vuole “prendere dimora”. Qui di parla di una “dimora stabile”; Dio non vuole con noi una relazione occasionale, Dio non vuole con noi uno “stare”, ma essere distratti mille volte, o riproporre più e più volte il suo passaggio “dalle nostre parti”: Lui vuole proprio prendere dimora, stare con noi. Fare casa con Lui. 
Quando si abita insieme a qualcuno iniziano delle convenzioni, delle intimità, dei piccoli rituali, momenti in cui ci si scambia qualcosa… Quand’è che si sta male? Quando questi rituali vengono usati male, lasciati andare e non c’è più quell’intimità. Noi abbiamo bisogno di fare casa con lo Spirito Santo, col Padre e con il Figlio, avere con loro le “nostre intimità”. Come si fa? Attraverso la sua Parola. La sua Parola sa fare questo in tutti noi, sa donarci questa dimensione. 

«Egli vi insegnerà ogni cosa, e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». 
Questa dimensione diventa una relazione col passato, illuminata dalla Parola di Cristo. E’ molto consolante iniziare a cercare nel nostro passato l’opera di Dio e non stare lì a guardare quelle cose disordinate, una affastellata sopra l’altra senza un vero senso, o certe volte essere solamente colpiti da quello che ci ha ferito, C’è Cristo in quello che ci è successo. E piano piano la Parola di Cristo inizia ad essere presente, in tutta la nostra storia, anche nel passato e nel tempo in cui non conoscevamo Cristo, se la nostra infanzia non è stata benedetta dalla fede. Ad un dato momento la Parola inizia ad inondare tutta la nostra memoria. Giovanni Paolo II parlava della purificazione della memoria, ed è molto molti importante ricordare quando nelle cose abbiamo iniziato a vedere che ci parlava Cristo. E’ un’esperienza di purificazione, è un’esperienza di cambiamento; quando una persona cambia il suo rapporto con il passato, veramente poi cambia radicalmente, perché la nostra memoria ci condiziona profondissimamente. Lo Spirito Santo, per la Parola di Cristo, ha il potere di toccare quella dimensione, la dimensione di ciò che ricordiamo; avere al centro della nostra memoria l’opera di Dio vuol dire iniziare ad illuminare tutto quello che è stato il nostro passato. Questa è un’opera che dobbiamo fare. Tante volte le persone sono molto ferite, arrivano con delle ulcere esistenziali che dobbiamo - sicuramente – lenire e accompagnare, ma non con una consolazione da quattro soldi: iniziando ad illuminare l’opera di Dio. Iniziando ad illuminare quello che solamente lo Spirito Santo sa insegnare - «Egli vi insegnerà ogni cosa» -: insegnarci il vero fine della nostra vita. Perché se il passato lo dobbiamo interpretare solamente in funzione del “benessere”, dello stare bene e conseguire i nostri obiettivi terreni, il nostro passato normalmente ci soddisfa poco: ci stanno delle cose da cancellare, o su cui restiamo un po’ rabbiosi, o tristi o autodistruttivi… Se invece la vita è un viaggio verso l’amore, verso il “saper amare”, ecco che il nostro passato comincia a diventare utile. Anche tutto il male subito diventa una strada per quella scuola lì, che è l’unica scuola che lo Spirito Santo viene a farci. 
Noi no riceviamo lo Spirito Santo per essere più bravi a far carriera, noi non riceviamo lo Spirito Santo per essere più contenti in questo mondo in maniera vana e stupida; noi riceviamo lo Spirito Santo per imparare ad amare, noi riceviamo lo Spirito Santo per diventare stabile dimora di Dio, noi riceviamo lo Spirito Santo perché Dio parli al nostro cuore, perché Dio sia visibile attraverso le cose che ci succedono ogni giorno, perché sappiamo ascoltare, percepire, perché sappiamo toccarlo nelle cose che viviamo… Lo Spirito Santo serve a questo, non serve ad altro, non serve come un fine occasionale come una certa "religione di consumo” oggi ci consiglia di cercare: serve a fare di noi una dimora stabile di Dio. 


don Fabio Rosini