16/02/13

Uscire e abbandonarsi - A. Pronzato

«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)


Difficile lasciare la tana.
Con la bocca perennemente in movimento si perde, come abbiamo notato nella riflessione precedente, la capacità di ascoltare.
Ma ci sono altri due ostacoli che noi frapponiamo alla percezione della voce del Signore.
La Vergine di Cana intende renderci consapevoli che il «Fate quello che vi dirà...» rischia di risuonare invano alle nostre orecchie se non ci decidiamo a togliere di mezzo quei due impedimenti. (...)

Il primo è costituito dall'istinto di conservazione o, se preferiamo, dallo spirito di comodità.
Vorremmo limitarci a conservare le posizioni acquisite, perpetuare le abitudini ormai consolidate, difendere il benessere - anche spirituale - raggiunto, non rimettere mai in discussione né mentalità, né schemi, né programmi che riteniamo definitivi.
Pretenderemmo una Parola di Dio rassicurante, confortevole, che ci confermi in ciò che sappiamo già, giustifichi il nostro sedentarismo, legittimi il nostro possesso, ci dispensi dalla fatica della ricerca, ci immunizzi contro i disagi della precarietà.

La fede crea dei nomadi.
Invece la voce di Dio ha l'abitudine di "disinstallarci" dalle nostre tane gradevoli, farci uscire allo scoperto, costringerci a vivere nella provvisorietà. Allorché Dio entra in azione, noi ci ritroviamo "sfrattati", "spaesati". L'avventura di fede di Abramo inizia precisamente con un perentorio: «Vattene dal tuo paese...» (Gen 12,1).
E sono proprio quei verbi "uscire", "andarsene", "abbandonare" che noi preferiremmo non udire mai. Ci illudiamo che il nostro Dio ci dica "rimani", "continua pure così", "riposa tranquillo, tendendoti stretta tutta la tua mercanzia".
Il Signore, invece, introduce sempre nella vita del credente  un elemento di rottura rispetto al passato (...). Lui si ostina a lanciarci nell'avventura "insolita", familiarizzarci col rischio, renderci nomadi, farci frequentare il territorio dell'anormalità.
Ed eccoLo oscurare i nostri soliti punti di riferimento, toglierci gli appoggi abituali, spezzare gli equilibri raggiunti. EccoLo sottrarci le nostre misure ragionevoli, per proiettarci nella sua vertiginosa dis-misura, scompigliare i nostri calcoli giudiziosi per permetterci di esplorare le possibilità inaudite della follia evangelica.
La prova decisiva della fede è quella dell'insicurezza.

Staccarsi dal ramo.
Antony de Mello racconta, in un suo libro ("La preghiera della rana") questa gustosa storiella.

Un ateo precipitò da una rupe. Mentre rotolava giù, riusciì ad afferrare il ramo di un alberello, e rimase sospeso fra il cielo e le rocce trecento metri più sotto. 
Consapevole di non poter resistere a lungo, venne folgorato da un'idea:  « Dio!», urlò con quanto fiato aveva in gola.
Silenzio. Nessuna risposta.
Gridò di nuovo:  «Dio! Se esisti, salvami, e io ti prometto che crederò in te e insegnerò agli altri a credere...».
Ancora silenzio.
Subito dopo, fu lì lì per mollare la pesa dallo spavento, nell'udire una voce possente che rimbombava nel burrone:  «Dicono tutti così quando si trovano nei pasticci...».
 «No, Dio, no!» - egli replicò rincuorato -  «Io non sono come gli altri. Non vedi che ho già cominciato a credere, solo perché sono riuscito a sentire la tua voce? Ora non devi fare altro che salvarmi e io proclamerò il tuo nome fino ai confini della terra».
Riprese la voce:  «E va bene... ti salverò. Staccati dal ramo».
 «Staccarmi dal ramo?», strillò l'uomo sconvolto.  «Non sono mica matto!».

Anche se non siamo atei, dobbiamo riconoscere che sono innumerevoli i rami cui restiamo tenacemente aggrappati, col rischio di impiccare ad essi quella che chiamiamo fede, e che si rivela semplicemente un gioco di tremebondi equilibrismi.
Se proprio non abbiamo il coraggio di staccarci dal ramo, permettiamo almeno a Lui di... segarcelo impietosamente, in modo da precipitare verso l'abbraccio - sovente scomodo - della sua volontà. (...)
 «Fate quello che vi dirà...»,  significa, in fondo, essere spintonati nel territorio dell'imprevedibile.

Col cervello non si capisce.
Il secondo ostacolo è quello rappresentato dal cervello.
Di fronte alla manifestazione di un progetto da parte del Signore, noi vorremmo ragionarci sopra, elaborarci tutta una serie di idee, discutere, esaminare attentamente ogni lato della questione, illustrare i nostri punti di vista, anche quando Lui non ce li richiede. Ed, eventualmente, solo dopo aver chiarito ogni dubbio, risolto ogni difficoltà, dissipata qualsiasi incertezza, disporci all'ubbidienza. (...)
L'amore ha sempre delle manifestazioni misteriose. Nel comportamento di Cristo nei nostri riguardi, non tutto è chiaro, logico, comprensibile, coerente rispetto ai nostri disegni. Il senso di certi avvenimenti lo comprendiamo non quando si svolgono, ma parecchio tempo dopo. Comunque, nessuna spiegazione esplicita, soddisfacente. Occorre accogliere l'incomprensibile. 
L'uomo deve semplicemente accettare, piegarsi, lasciarsi fare, mettersi a disposizione del Signore. La creatura deve smettere di voler essere essa stessa il soggetto, e lasciare che sia il Signore il soggetto. E' il Signore che decide circa il momento e il modo della comprensione.
Dobbiamo riconoscere che c'è sempre qualcosa che supera. (...)
Camminiamo portandoci dietro e "dentro" il mistero e l'oscurità. L'unico fatto chiaro, l'unico dato evidente è che abbiamo incontrato il Signore, che questo ci ha segnati in profondità, che c'è questa presenza nella nostra vita. Ma cosa provocherà questo incontro, che cosa determinerà questa presenza, non possiamo prevederlo, e non dobbiamo neppure tentare di indovinarlo.

Pervenire alla ragionevolezza attraverso la strada della follia.
Quasi mai si comprendono le azioni del Signore nel momento in cui si producono. Lui talvolta ci chiede delle cose apparentemente assurde. Bisogna riempire delle giare d'acqua, preparare del fango con la saliva, togliere una pietra davanti ad un sepolcro, deporre una bara, mettersi a sedere sull'erba verde anche se non c'è nulla da mangiare, gettare ancora le reti dopo tutta una serie di tentativi inutili, seminare in mezzo ai sassi...
Il valore di queste azioni va oltre la nostra comprensione immediata, e oltre la nostra immaginazione più audace.
Le azioni più semplici, banali, ordinarie, "insignificanti", possiedono un significato profondo. Sono "esplosive", cariche di possibilità inaudite, contengono qualcosa di inesprimibile. 
Hanno un senso divino là dove noi scorgiamo solo un senso umano, o addirittura un non-senso. (...)
Dobbiamo lasciar agire il Signore rinunciando alla pretesa di voler tutto comprendere. Come ha fatto Maria (...)
La fede è anche oscurità, è "non sapere" subito (o semplicemente accontentarsi di "sapere che Lui sa"). La fede, più che "chiudere" le nostre questioni con soluzioni rassicuranti, le mantiene aperte - come una ferita che sanguina e strappa dentro la carne viva - nel mistero di Dio.

Che cosa manca alla mia fede.
Vergine dell'abbandono, sto scoprendo che alla mia fede manca una cosa sola: la fede. La mia fede è debole, fragile, malaticcia, quasi evanescente, perché non ha ancora imparato a fidarsi totalmente ed esclusivamente del Signore.
Più che "abbandonarmi", lasciarmi portare da Lui, mi irrigidisco in un atteggiamento di difesa, di resistenza. Pretendo di avere io il controllo continuo della situazione, essere informato dettagliatamente sullo svolgimento della vicenda, venire rassicurato circa il senso di tutti gli avvenimenti che non rientrano nei miei schemi e nei miei programmi.
Mi piacerebbe vivere una stupenda avventura di fede come la tua, ma escludendo ogni rischio, aprirmi alla Parola del Signore ma senza dover affrontare l'imprevedibile.
Se si spalanca un vuoto nelle profondità del mio essere, vorrei colmarlo immediatamente con certezze rassicuranti. Se c'è da superare un passaggio oscuro, esigo una luce immediata, un appoggio collaudato, prima di muovere un passo. (...)
Maria, tu a Cana non hai detto:  «Andate a ragionare con Lui». E nemmeno:  « Aspettate che vi siano fornite tutte le spiegazioni». Ma  «Fate quello che vi dirà...». Ossia:  «Mettetevi a disposizione dell'imprevedibile». (...) Nella fede, la spiegazione arriva - se pur arriva - dopo, a cose fatte, a ordine eseguito, a passo - o salto - compiuto nel buio più fitto. (...) Nella fede, "prima" c'è la follia. Poi tutto diventa logico, ragionevole. (...)
Questo è il gioco "rischioso" che tu, Maria, hai praticato fin dall'inizio. Ed è l'unico gioco "serio", per un credente, quando Dio entra in azione. 

don Alessandro Pronzato

tratto da "C'era la madre di Gesù...
A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca"