08/02/13

Aprire le orecchie per vedere il miracolo - Pronzato

«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)

L'uso smodato della bocca provoca la sordità.
Occhi, mani. E naturalmente, orecchi.
La Madonna a Cana, ci propone anche un'accurata revisione dell'udito.
Ci rende consapevoli che sta venendo a mancare il senso dell'ascolto. Teniamo troppo spesso le orecchie sigillate e, in compenso, abbiamo perennemente la bocca spalancata, la lingua in funzione.
Sempre pronti a parlare, sentenziare, lagnarci, protestare, denunciare, dire la nostra su tutto e su tutti. E piuttosto restii a captare il messaggio che ci viene dall'Altro e dagli altri. (...)
Abili nei "pronunciamenti" e impacciati quando si tratta di lasciarci provocare dalle difficoltà delle persone.
Esperti nel dire, e scarsamente esercitati nell'udire.
Siamo sordi perché abbiamo imparato solo a parlare. L'uso sfrenato delle labbra ha finito per mettere in disuso le orecchie, inceppare irrimediabilmente l'udito. (...)
Un esempio significativo ci viene fornito dai cosiddetti dialoghi che in realtà non sono altro che una serie di monologhi, senza vera comunicazione.
Non c'è ascolto. Al limite, si sta a "sentire", senza preoccuparsi di capire le ragioni dell'altro. Si aspetta, magari tradendo un malcelato senso di insofferenza, che l'altro termini di parlare. Perché è importante ciò che ho da dire io. L'apporto, le idee, i punti di vista, le esperienze altrui non contano.
Invece, se si vuole dialogare, non basta la bocca. Ci vogliono sopratutto le orecchie.
E' stato giustamente osservato come «taluni abbiano questo concetto della conversazione: parlare a se stessi in presenza di altri».
Chi si compiace di ascoltarsi, rivela di essere costituzionalmente inadatto al dialogo. E il rischio è l'impoverimento.

«Ascolta, figlio...»
Ma l'incapacità di ascolto si rivela purtroppo in tutta la sua gravità nei rapporti con Dio. Senza ascolto non c'è fede. La fede, infatti, dipende precisamente dalla possibilità e volontà di "udire" (cfr. Rm 10,17).
E senza l'ascolto non ci può essere ubbidienza. Il termine ubbidire deriva da udire, e quindi presuppone un atteggiamento di ascolto. (...)
Il credente disposto ad ascoltare è necessariamente disposto a fare.
Il libro del Deuteronomio, in particolare, è scandito dall'imperativo, posto in bocca a Jahwè: «Ascolta, Israele». Sembrerebbe che l'unico, struggente desiderio del Signore sia che il suo popolo si decida ad ascoltare. 
Il Signore è costretto, però, a fare questa amara constatazione: «Io vi ho parlato con continua premura, ma voi non avete ascoltato! Non avete prestato orecchi e non mi avete dato retta» (Ger 35,14-15)
(...) Forse non sospettiamo nemmeno che Dio non ci chiederà tanto conto delle parole che non abbiamo detto, ma di quelle che ci siamo rifiutati di ascoltare.
A Lui sta bene anche una bocca "impacciata", una lingua farfugliante come quella di Mosè (cfr. Es 4,10). Ma Dio non riesce a tollerare le orecchie chiuse. Lui non rimprovera nessuno perché non possiede facilità di parola, come nel caso classico di Geremia (cfr. 1,6). Ciò che Gli risulta intollerabile è la difficoltà di udito.
Balbuzie o silenzio risultano compatibile con la fede e l'adempimento di una missione. La squalifica per il credente è data piuttosto dalla sordità.

E' Dio che non parla
o siamo noi che gli togliamo la parola?
«Fate quello che vi dirà...», continua ad ammonirci Maria di Nazaret. Ossia: ascoltatelo, prestategli attenzione, prendete sul serio la sua parola.
Per avere la possibilità di "vedere" il miracolo occorre, prima, decidersi ad aprire le orecchie.
Il fatto è che noi, anche quando piagnucoliamo per i silenzi di Dio, in realtà abbiamo paura di quello che potrebbe "dirci".
Perché intuiamo che, allorché Dio fa sentire la sua voce, allora per noi c'è sempre qualcosa da fare e da rivedere, delle scelte da compiere. La sua parola, infatti, risulta estremamente impegnativa, abitualmente scomoda. 
Noi preferiremmo assistere passivamente al miracolo, senza essere costretti a metterci in piedi, a collaborare. Sospiriamo: «Ah! se sapessi qual è la volontà di Dio in questa particolare circostanza...». Ci guardiamo bene, tuttavia, dal creare le condizioni indispensabili a percepirla: silenzio, tempo, raccoglimento, ascolto. (...)
Preferiamo ascoltare "altro", perché pretendiamo fare "altro". (...)

Ascolto e preghiera
La nostra incapacità di ascolto si manifesta perfino nella preghiera.
Parliamo sempre noi, occupiamo tutti gli spazi, intasiamo tutte le frequenze, nel timore di dover ascoltare qualcosa di spiacevole da parte di Dio, o anche soltanto di essere scossi dalla nostra inerzia: «Riempite d'acqua le giare...» (Gv 2,7).
Una preghiera che ci responsabilizzi non è di nostro gradimento. Non rientra nei nostri schemi una preghiera come rivelazione delle nostre responsabilità, e perfino delle nostre possibilità. (...)
Con il torrente inarrestabile delle nostre parole, possiamo illuderci di tirare Dio dalla nostra parte. Con l'ascolto c'è il rischio di lasciarci trascinare in direzione delle Sue pretese.
Muovendo la bocca in continuazione, impediamo praticamente a Dio di metterci al corrente dei suoi progetti.
Con l'ascolto, invece, non possiamo fare a meno di percepire le sue richieste.

Il miracolo avviene "in disparte"
Vergine dell'ascolto, abbiamo bisogno dell'intervento di tuo Figlio. Il vino - della gioia, dell'amore - scarseggerà sempre sulla nostra tavola, finché non avremo imparato ad aprirci alla sua parola, secondo il tuo materno invito: «Fate quello che vi dirà».
Il guaio per noi è che abbiamo poca voglia di "fare" e, perciò, una ancor più scarsa propensione ad "ascoltare".
Abbiamo bisogno di guarire dalla sordità. Quella sordità che ci "tutela" dal rischio di ubbidire, di prendere atto delle esigenze di Cristo.
Quella sordità che ci fa vivere rinchiusi nella prigione confortevole del nostro egoismo, senza pericolo di venir raggiunti e feriti dal grido del povero, dal lamento del sofferente. (...)
Io devo trovare il coraggio di lasciarmi trascinare da Gesù «in disparte, lontano dalla folla» (cfr. Mc 7,32-35). Cogliere la possibilità di ritrovarmi a faccia a faccia con Lui. Permettergli che mi metta le dita negli orecchi (...) e che pronunci quella formula «Effatà».
Allora acquisirò veramente la capacità di ascoltare e la possibilità - grazie alla saliva deposta sulla punta della lingua - di parlare nel modo giusto e nei tempi giusti.

Preghiera per ritrovarsi in piedi
Vergine dell'ascolto, abbiamo bisogno, oltre che del miracolo, anche del tuo esempio luminoso. Il Signore ha posato lo sguardo su di te, non perché sapevi parlare, ma perché eri capace di ascoltare.
A Lui bastava trovare una creatura che, dopo aver percepito la richiesta, dicesse semplicemente: «Eccomi».
Anche molti di noi riescono a dire: «Eccomi». Ma intendono dire che sono pronti a discutere, a chiacchierare, dibattere problemi, ragionare. Tu, invece, hai detto «Eccomi» per significare che eri pronta ad ubbidire, disposta a «fare».
Vergine dell'ascolto, facci trovare in piedi, come te, tutte le volte che tuo Figlio ha qualche ordine da dare in vista del miracolo.
Vergine dell'accoglienza, fa' che la parola di tuo Figlio, prima di raggiungere l'acqua nelle giare di pietra, provochi qualche sussulto nelle profondità del nostro cuore di carne.

don Alessandro Pronzato

tratto da "C'era la madre di Gesù...
A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca"