05/02/14

Lo stato di abbandono e i suoi effetti - J.P. de Caussade

Bisogna essere distaccati da tutto quello che si prova e da ciò che si fa, per camminare nella via in cui non si vive più che in Dio e nel dovere presente. (...) Bisogna limitarsi al momento presente senza pensare alle cose che l'hanno preceduto né a quelle che dovranno seguirlo. Supponendo sempre la fedele osservanza della legge di Dio, qualcosa vi farò dire: «Attualmente sento inclinazione per questa persona, per questo libro; desidero ricevere o dare questo consiglio, formare tale piano, aprirmi a quest'anima o accogliere i suoi sentimenti; vorrei dare o fare la tale cosa». Bisogna seguire tutto quanti si presenta per impulso della grazia, senza sostenersi nemmeno per un istante con le proprie riflessioni, i propri ragionamenti, i propri sforzi; bisogna applicarsi alle cose nel momento in cui Dio ci chiama ad esse, senza decidere mai da se stessi. La volontà di Dio si realizza in noi poiché è lui che vive in noi nello stato di cui stiamo parlando; essa deve assolutamente prendere il posto di tutte le nostre ordinarie decisioni. (...) Tali anime sono portate ora a una lettura ora a un'altra, ovvero a fare una certa osservazione o una riflessione sul più piccolo avvenimento. In un certo momento Dio suscita in loro il desiderio di istruirsi su quelle cose che in un altro momento le ossterranno nella pratica delle virtù. 
In tutto quello che fanno, queste anime non sentono che l'attrattiva di farlo, senza sapere perché. (...) Ecco che cosa obbliga queste anime ad essere semplici, docili, arrendevoli e mobili ai minimi soffi di questi impulsi quasi impercettibili. Dio che le possiede ha il diritto di farle applicare a ogni cosa per la sua gloria. Se esse volessero resistere a queste attrattive, seguendo le regole di quelle anime che vivono con sforzo e iniziative personali, si priverebbero di mille cose necessarie a compiere i doveri del tempo futuro. Ma poiché si ignora ciò, le si giudica, le si biasima per la loro semplicità (...). Così i maestri di spirito comuni non possono sopportare le anime che dipendono  in tal modo e in ogni istante dalla Provvidenza, e non ci sono che poche anime del loro stesso stato che le approvano. Dio che istruisce gli uomini attraverso gli uomini non manca mai di farne incontrare di tale natura a coloro che sono semplici e fedeli al loro abbandono. 

C'è un tempo in cui Dio vuole essere la vita dell'anima e operare lui solo la sua perfezione in un modo segreto e sconosciuto; allora tutte le idee proprie, le luci, le iniziative, le ricerche, i ragionamenti sono fonte di illusioni. E quando l'anima, dopo parecchie esperienze tristi a cui l'ha condotta la sua volontà, ne riconosce finalmente l'inutilità, scopre che Dio ha nascosto e confuso tutte le sorgenti per farle trovare la vita in lui. Allora, convinta del suo nulla, e che tutto quello che può trarre dalla sua proprietà le è dannoso, si abbandona a Dio per non avere altro che lui e ogni altra cosa da lui. Dio diventa dunque per lei una sorgente di vita, non mediante idee, luci e riflessioni, poiché tutto questo non è più in lei che una fonte di illusioni; ma per effetto e per realtà di grazie nascoste sotto varie forme. Restando tuttavia l'operazione divina sconosciuta all'anima, essa ne riceve la virtù, la sostanza , la realtà attraverso circostanze di ogni genere che crede siano la sua rovina. Non c'è rimedio a questa oscurità, bisogna lasciarsi sommergere. In essa Dio dona se stesso e tutte le cose nella fede. L'anima non è più che un soggetto cieco o, se si preferisce, è simile a un malato che ignora l'efficacia delle medicine non sentendone che l'amarezza; può anche pensare che gli daranno la morte, e le crisi e le debolezze sembrano giustificare i suoi timori.  Tuttavia è sotto questa parvenza di morte che riceve la salute, e le prende sulla parola del medico che gliele presenta. 
Un tempo l'anima, attraverso idee e illuminazioni, vedeva quanto costituiva il piano della sua perfezione; non è più così nel suo stato presente: la perfezione le si presenta contro ogni idea, ogni luce e ogni sentimento; le si offre attraverso tutte le croci provvidenziali, nelle azioni del dovere presente, in certe attrattive che non hanno niente di buono, se non che portano al peccato, ma che sembrano ben lontane da ciò che è sublime e dalla virtù straordinaria.In queste croci che si succedono a intervalli si nasconde Dio il quale si dà con la sua grazia in un modo misterioso, perché l'anima sente solo la debolezza nel sopportare le croci, il disgsto verso i propri doveri, mentre le sue attrattive la portano a compiere esercizi molto comuni. L'ideale dellla santità non costituisce per lei che un rimprovero interiore verso le sue disposizioni basse e spregevoli; le vite dei santi la condannano e non trova di che difendersi di fronte a una santità che la riempie di desolazione, perché non ha la forza per raggiungerla, e non sente la sua debolezza come un dono divino, ma solo come viltà. (...) Tuttavia sente come un'inclinazione fondamentale che la tiene ancorata a Dio e le suggerisce impercettibilmente che tutto andrà bene purché ella lasci fare e non viva che di fede. (...) 
Tu cerchi Dio, anima cara, ed egli è dovunque, tutto te lo annuncia, tutto te lo comunica, egli ti passa a fianco, attorno, dentro, attraverso di te, si ferma e tu lo cerchi! (...) Le tue sofferenze, le tue azioni, le tue attrattive sono enigmi sotto i quali Dio si dà a te, mentre tu corri vanamente alla ricerca di idee sublimi di cui egli non vuole affatto rivestirsi per abitare in te. (...) Dio dunque si nasconde all'anima per elevarla a quella fede pura che sa scorgerlo sotto ogni sorta di veli (...).
O divino amore, nasconditi, corri, balza tra le sofferenze, costringi con l'attrattiva del dovere, componi, mescola, confondi, rompi come fili tutte le idee e tutti i progetti dell'anima: che essa perda l'orientamento, non conosca e non scorga più né strade, né vie, né sentieri, né luci; che dopo averti trovato nelle tue dimore e nelle tue vesti abituali, nel riposo della solitudine, nella preghiera, nell'assoggettarsi a questa e a quella pratica, nelle sofferenze, nel conforto dato al prossimo, nella fuga dalle conversazioni, dagli affari; che dopo aver tentato tutti i modi e i mezzi conosciuti per piacerti, essa finalmente si areni, non vedendoti più in nessuna di queste cose come ti vedeva un tempo! Che l'inutilità di tutti questi sforzi la conduca infine a lasciar tutto, ormai, per trovarti in te stesso, e dovunque, in tutto senza distinzione né riflessione. 

Jean-Pierre de Caussade,  "L'abbandono alla divina Provvidenza"