11/06/13

Mancano segni per farci riconoscere - A. Pronzato

«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)


Cristo ha sopravvalutato la nostra sete
C'è qualcuno che si pone, con la massima serietà - è incredibile la serietà che si mette nel discutere di questioni futili - una domanda: i convitati alle nozze, in quel di Cana, dopo che avevano prosciugato le scorte predisposte per la festa, e recavano già segni inequivocabili di una bevuta non certo al risparmio, sono poi riusciti ad assorbire anche il nuovo, prodigioso rifornimento di qualità eccezionale?
(...)
Gesù, forse, ha sopravvalutato la nostra sete.
Sono numerosi, oggi gli uomini che fanno del piacere il fine del loro vivere, e ritengono che la religione costituisca una minaccia per i loro divertimenti.
Ma, come ho già rilevato precedentemente, non sono poche nemmeno le persone "religiose" che considerano la gioia incompatibile con la serietà dell'impegno cristiano.
Gli uni pretendono di stare allegri e spensierati senza indebite intrusioni di Dio nelle loro feste.
Gli altri si illudono di servire Dio escludendo la festa "non comandata".

Il corteo dei bacchettoni
Vogliamo tirare in ballo anche noi il termine "bacchettoni"? Pare derivi da bacchetta (quella che il confessore allungava sulla testa dei penitenti o che veniva usata per flagellarsi).  (...)
Si diventa bacchettoni, allorché si porta in giro una faccia triste quale segno della propria religiosità. E si diventa bigotti (dal tedesco antico bi Gott, per Dio! formula di imprecazione) allorché "per Dio" si fanno tante cose ardue, costose, ma senza gioia.
Strana mentalità quella di certa gente devota. Che pensa sia valido e religioso e meritorio solo ciò che risulta pesante, tedioso, sgradevole. Per cui il sacrificio sarebbe comunque accetto a Dio, mentre provare il godimento per qualcosa apparirebbe, se non peccaminoso, almeno poco rispettoso e comunque inconciliabile con la perfezione.
Degna di Dio la penitenza, non altrettanto la gioia di vivere. (...)
Quale differenza rispetto alla "sana" religiosità ebraica...
Significativa questa sentenza rabbinica: «Nel giorno del giudizio l'uomo dovrà rendere conto di tutto ciò che i suoi occhi hanno visto e di cui egli non ha goduto». Superfluo precisare che la cosa riguarda il campo del lecito.
Invece, sempre secondo quella mentalità distorta cui facevo riferimento, esclusivamente la rinuncia, non la pienezza umana, dovrebbe scandire il cammino del credente.
L'adorazione esigerebbe una faccia ombrosa, perfino patibolare, mentre la voglia di "rallegrarsi col Signore" viene considerata leggerezza intollerabile.
Troppe le sei giare traboccanti di vino per chi vi si accosta col contagocce e con il terrore di lasciarsene inebriare. (...)

Più "uomo" per incontrare Dio
Il segno di Cana deve farci capire che Dio dice sì alla nostra gioia, alla vita, alla spontaneità, alla naturalezza.
Che un'esistenza pienamente religiosa può e deve essere anche pienamente umana.
Che per incontrare Cristo non devo diventare "più celestiale", "più angelico", ma "più uomo".
Che i beni della terra sono da disprezzare solo quando determinano atteggiamenti di ingratitudine, avidità, egoismo, ingiustizia, sopraffazione. Ma, in questo caso, non sono i beni ad essere "detestabili" ma l'uomo che diventa sacrilego con la sua ottusa cupidigia.
Che le gioie semplici di quaggiù possono costituire un ottimo apprendistato per la felicità eterna.
Quando al termine della Messa veniva proclamato il Prologo di Giovanni, tutti si inginocchiavano nel momento in cui il prete scandiva quella frase stupenda: «Et Verbum caro factum est». Si piegavano le ginocchia di fronte alla "carne" del Figlio di Dio, venuto ad assumere la condizione umana nella sua totalità, a consacrare i valori, i gesti tipici della nostra umanità.
Il Cristo compie a Cana il primo "segno", rivela la propria gloria, di cui non possiamo sostenere lo splendore, ma solo cogliere qualche sprazzo, non con un prodigio "celeste" - terrificante, o estasiante in senso mistico -, ma simpatizzando con la gioia degli uomini.
E «i suoi discepoli credettero in lui» dopo aver visto un segno "miracoloso" di delicatezza, di tenerezza, un prodigio di sensibilità.
So benissimo che il "mistero di Cana" ha pure una valenza simbolica, e che le vere nozze sono "altre", e che quel vino è soltanto un anticipo, un assaggio, una figura, di quello che Cristo, sposo messianico, nella sua ora, ossia sulla croce, offrirà in abbondanza alla Chiesa sua sposa.
Sono però anche convinto che la realtà definitiva non cancella la consistenza del "segno", sia pure provvisorio.
E noi, come i primi discepoli, diamo la nostra adesione a questo Dio che si preoccupa delle nostre minuscole vicende quotidiane, e vi si lascia coinvolgere, ed entra nella nostra vita per condividere, oltre che le pene, anche le minuscole gioie.
E tutte le volte che gustiamo qualcosa di bello e di buono, ammiriamo la delicatezza di un fiore, ci commuoviamo per la trasparenza di un volto, ci incantiamo di fronte ad un tramonto, attendiamo con impazienza una persona amica, facciamo festa con l'ospite, Lui è vicino. E consenziente.
Sì. Noi diventiamo cristiani nella misura in cui scopriamo che Lui è d'accordo, non soltanto con i nostri sacrifici, ma anche con le nostre gioie.
Quando Dio decide di manifestare la sua gloria, non dà spettacolo, non si affida alle cose importanti.
Quando Dio lascia cadere il velo del suo mistero, della sua inaccessibilità, non siamo costretti a guardare in alto, ma sulla tavola domestica. La sua potenza si iscrive nel registro delle cose semplici. E la trascendenza non teme di contaminarsi con la convivialità.

Voglio assistere all'apparizione di un uomo
(...) Mi permetto di citare una mia preghiera composta dopo aver meditato sulla frase del Prologo: 
«... Apparve un uomo mandato da Dio. Aveva nome Giovanni» (Gv 1,6).

Lasciami contemplare, in tutta la sua bellezza, questa frase del Vangelo.
Quando Tu, o Dio, entri nella storia degli uomini, a Betlemme appare un uomo, anzi un bambino.
Ma, prima ancora, per segnalare la presenza del tuo Verbo fatto carne, "appare" un uomo, il precursore. 
Noi pensiamo esclusivamente alle apparizioni degli angeli e di altri personaggi celesti.
Il nostro tempo, poi, è avido in maniera quasi spropositata di "apparizioni" dall'alto. Invece il Prologo ci presenta, prima di tutto, l'apparizione di un uomo che viene dalla terra  Dono del cielo, ma ricavato e coltivato in terra.  (...)
Riconosce e fa riconoscere il Cristo facendosi riconoscere come uomo.
Pare che noi abbiamo bisogno, per nutrire la nostra fede un po' smorta, di apparizioni celesti in continuazione. Tu, invece, hai bisogno dell'apparizione di un uomo per segnalare la tua presenza in mezzo agli uomini. Soltanto quando appare un uomo di nome Giovanni il tuo Verbo può piantare la tenda in mezzo a noi.
La tua luce, per risplendere, non ha bisogno di un cielo terso, ma di un uomo, del volto di un uomo.
E' un uomo e, successivamente, saranno uomini a recare la notizia della luce.
Signore, io ho bisogno di assistere all'apparizione, a numerose apparizioni, di uomini.
Tutti abbiamo bisogno di preti che siano veramente uomini.
Ho l'impressione che la testimonianza della verità sia legata, troppo spesso, all'apparizione di libri e documenti assortiti, più che all'apparizione di uomini, la cui verità di uomini sia trasparenza della verità divina
Certo, uomini di Dio. Ma prima di tutto, uomini. (...)
Qualche volta, invece, bisogna registrare l'apparizione di individui che pensano di rendere servizio a Te rinnegando la propria umanità, testimoniare le cose dall'alto falsificando e occultando le loro origini (esibiscono una specie di passaporto che vorrebbero far credere rilasciato in cielo, e da cui sono stati cancellati tutti i lineamenti umani che porterebbero all'identificazione di un uomo!), tagliando le proprie radici terrestri, presentando la verità nell'abolizione dei sentimenti, del cuore, della tenerezza, in una parola, della vita.
Individui che credono di rendere testimonianza alla luce eliminando dalla loro pelle e dal loro linguaggio ogni traccia di terra. Non uomini, ma esseri neutri, paracadutati da chissà quale mondo (comunque, non il tuo).
Signore, rendili consapevoli che quando si perde il contatto con la propria umanità, si perde il contatto con la propria anima e con quella dei propri simili. Allorché si smarrisce l'umano, si perde, inevitabilmente anche il divino.
Sì, la fede ha bisogno dell'apparizione di uomini. Perché l'apparizione di un uomo costituisce l'indizio più sicuro della tua presenza in mezzo a noi. 
La carne che si abbandona allo Spirito, senza per questo abbandonare la sfera dell'umanità, diventa il miglior "conduttore" della luce.
Quando ho bisogno di luce per la mente, infilo la porta della biblioteca. 
Ma allorché avverto il bisogno di vita, vorrei incontrare per strada un prete che, attraverso la comune umanità, mi aiutasse a scoprire le tracce del tuo passaggio in mezzo a noi. 

Signore, sollecita i tuoi testimoni ad avere il coraggio di imprestarti la loro umanità in modo da manifestarti in maniera convincente.
Rendili consapevoli che l (...) la  loro l'umanità è il sintomo più sicuro della tua presenza sulla terra.
Che non c'è niente di meglio dell'apparizione di un uomo che possa dare il sospetto e la voglia di Dio.

Recare liete notizie di vita
In questa prospettiva, anche la Madonna, a Cana, "ci fa segno". Ripenso ancora a quell'icona intitolata alla "Vergine della gioia inattesa".
Aspettavamo il Dio dell'austerità e della severità. E lei ci aiuta a capire, con la complicità del vino, che il suo Figlio si trova a proprio agio dove c'è vita, gioia, amicizia. (...)
La Vergine ci fa scoprire un Dio "gratuito". Costringe delicatamente a uscire allo scoperto un Dio che si preoccupa del superfluo, dell'inutile. (...)
Gesù non si è recato a Cana per rimediare, con la sua presenza e le sue parole "ascetiche", alla mancanza di vino. Per predicare la rassegnazione e la temperanza. E' andato per far festa. E ha impedito, con un miracolo, chela festa finisse male o troppo presto.
Una comunità dove manchi la gioia di vivere si rifiuta, praticamente, di invitare l'Ospite.
Lui non è venuto solo a portare le nostre croci, ma a portare le nostre gioie.
Il cristiano non è uno che va a fare le condoglianze. Reca, invece, liete notizie di vita.

Cattedra di umanità
Vergine, piena di grazia e ricca di tenerezza, prega per noi.
Maria, cattedra di umanità, non permettere che, in quanto seguaci di tuo Figlio, lasciamo mancare ai nostri fratelli questo segno fondamentale. Fa' che assicuriamo al mondo un supplemento di umanità.
Aiutaci a comprendere che, come diceva quel teologo «se lo Spirito santo non ci rende più umani, c'è da dubitare della sua santità».
Maria, complice dei cristiani che si fanno battezzare uomini, rendici capaci di partecipare profondamente alle sofferenze dei fratelli e, cosa ancora più difficile, di condividere la loro felicità.
Protettrice dei costruttori di umanità, prega per noi.
Tu che, in sintonia col cuore del Figlio, hai registrato tutte le sofferenze e le gioie degli uomini, facci star male per il dolore degli altri e godere per la loro gioia.
Maestra di chi non vuol imparare la tecnica dell'indifferenza, donai la promozione del cuore.
Esperta in umanità, abbi pietà del nostro mondo disumano, e aiutaci a far fiorire, col nostro amore e la nostra gioia, il deserto.
Rendici capaci di celebrare, ogni giorno, una stupenda "liturgia della vita".
E non stancarti di ricordarci che esistono pure i "misteri gaudiosi" ... 


don Alessandro Pronzato
tratto da "C'era la Madre di Gesù... A Cana con Maria per scoprire quello che ci manca"