16/11/13

I nostri idoli e Dio (2) - André Louf


Maledire Dio

Dio ci sorprende con la sua pazienza disarmante: a volte lascia che questo stato di illusione duri anni, per poi intervenire all’improvviso nella nostra vita, per farvi irruzione e detronizzare in un istante tutti questi idoli mandandoli in frantumi.
E’ quanto di meglio ci può capitare, ma è anche un’esperienza terribile, che inizia in modo brutale, con una tentazione dolorosa e sconcertante. Meno eravamo coscienti di sacrificare al nostro idolo e più velocemente affiora in questo momento la peggior bestemmia mai sgorgata nel nostro cuore: Dio non esiste, Dio è morto! Dio era l’illusione
Effettivamente il Dio davanti al quale per anni ho bruciato incenso, quel Dio non esiste, non è mai esistito al di fuori della mia immaginazione: quel Dio è morto. (…) Anche una vita di fede impegnata in diversi modi per il regno di Gesù può inconsciamente accompagnarsi all’idolatria ed essere, a nostra insaputa, nient’altro che opera delle nostre mani. Misuriamo questa vita sul metro dell’ideale che ci siamo fissati o che ci imponiamo a noi stessi e agli altri e al quale siamo pronti a dedicarci, progettando incessantemente di realizzarlo meglio. (…) A volte abbiamo l’impressione che questo ideale sia troppo elevato per noi, che alla fine ci sfugga. Grazie a Dio! Ci sfuggirà e deve sfuggirci. (…) La conseguente delusione e l’impressione costante di scacco che ci affligge costituiscono la piccola fessura, appena visibile, attraverso la quale la grazia cerca di infilarsi in noi. (…)
Il passaggio dall’idolo al vero Dio crea sempre un momento di sconforto, in cui siamo esposti alla dolorosissima tentazione di credere che Dio forse è veramente morto, oppure che, se esiste, non è Dio ma un terribile tiranno. Eccoci spinti al sacrilegio e alla bestemmia! E, meraviglia delle meraviglie, al cuore stesso della Bibbia: in certi libri della Bibbia la bestemmia è presente. (..) Il libro di Giobbe ne è l’esempio più lampante: vibra e scoppia di bestemmie. (…) Forse la bestemmia è un primo modo, molto imperfetto o, piuttosto, a rovescio, di dire qualcosa che si avvicini un poco alla verità su Dio.
Giobbe non è capace di riconoscere Dio c’è un muro, il muro della buona teologia del suo tempo. Giobbe pensava che, essendo giusto, tutte le prove dovessero essergli risparmiate. Tale era l’immagine che ci si faceva di Dio a quell’epoca: Dio punisce solo i peccatori, mentre i giusti vengono ricompensati con la prosperità. (…)
“Dio ti punisce - dicono a Giobbe - (…) e se gli piace trattarti così, significa che ne avevi bisogno. Dio vuole convertirti e correggerti: basta che tu riconosca di aver peccato e i tuoi beni ti saranno restituiti”. Il Dio di cui parlano (…) è il Dio di un sistema, a misura umana, facile da consolare e da calmare, ma altrettanto facile da lusingare e da ingannare. E’ il Dio che possiamo attirare dalla nostra parte, rendere favorevole (…) E’ il Dio di cui abbiamo bisogno per essere degni di ammirazione, il Dio sui cui applausi possiamo sempre contare. Naturalmente a condizione di fare sempre al meglio ciò che è in nostro potere fare… (…)
Giobbe ha bisogno di un Dio che lo approvi e si congratuli con lui, che lo applauda per il bene che ha fatto. E se Dio non lo fa, Giobbe lo accusa e minaccia di intentargli un processo pubblico (…).Giobbe vorrebbe tutto sommato essere il salvatore di se stesso. Giobbe ha ancora bisogno di Dio se la propria destra può salvarlo? (…)
Ma quando il Dio vivo e vero si rivela, deve fare i conti con questo atteggiamento inconscio di Giobbe e con l’idolo che solo lui può infrangere. Giobbe stesso afferma che Dio interviene in modo sconcertante, che lo assale. Urla il proprio lamento:
«Me ne stavo tranquillo ed egli mi ha rovinato, mi ha afferrato per il collo e mi ha stritolato; ha fatto di me il suo bersaglio. I suoi arcieri mi circondano; mi trafigge i fianchi senza pietà, versa a terra il mio fiele, mi apre ferita su ferita, mi si avventa contro come un guerriero… Sappiate che Dio mi ha piegato e mi ha avviluppato nella sua rete… Mi ha sbarrato la strada perché non passi e sul mio sentiero ha disteso le tenebre… Mi ha disfatto da ogni parte e io sparisco, ha sradicato, come un albero, la mia speranza.. Insieme sono accorse le sue schiere… e hanno posto l’assedio interno alla mia tenda» (Gb 16, 12-14).

Le opportunità di Dio

Come reagisce Giobbe e come reagiamo noi a questa sfida di Dio? Facciamo così fatica ad abbandonare il nostro idolo per convertirci al vero Dio che ci sono solo due sbocchi possibili: negare Dio oppure negare noi stessi, cioè la bestemmia o il suicidio. O “Dio è morto”, oppure “Magari non fossi nato!”. Quando il nostro idolo va in frantumi, è tale il nostro smarrimento ed è talmente grande la nostra vulnerabilità di fronte al vero Dio che ci sembra più facile negare lui, oppure noi stessi - se Dio esiste, allora è meglio che noi scompariamo! - piuttosto che arrischiarci a un autentico incontro con lui. «Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno; prese a dire: "Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: E' stato concepito un maschio! Quel giorno sia tenebra, non lo ricerchi Dio dall'alto, né brilli mai su di esso la luce"» (Gb 3, 1-4). Giobbe anela alla morte e lo ammette, la cerca come altri cercano una sorgente d'acqua viva.  Che Dio lo riduca a nulla, lo stermini: «Volesse Dio schiacciarmi, stendere la mano e sopprimermi! Ciò sarebbe per me un qualche conforto e gioirei, pur nell'angoscia. Che non mi risparmi!»  (Gb 6, 9-10) (...)  Lo sguardo stesso di Dio diventa insopportabile (...) : «Che è l'uomo che tu ne fai conto e a lui rivolgi la tua attenzione e lo scruti ogni mattina e a ogni istante lo metti alla prova? Fino a quando da me non toglierai lo sguardo e non mi lascerai  inghiottire la saliva? Se ho peccato, che cosa ti ho fatto, o custode dell'uomo? Perché m'hai preso a bersaglio e ti son diventato di peso? ... Ben presto giacerò nella polvere, mi cercherai, ma più non sarò!» (Gb 7, 17-21). (...) Giobbe accusa Dio di fare di lui il bersaglio della sua azione sconcertante: ai suoi occhi Dio è un mostro, un custode disumano. Quest'ultimo termine è forse la bestemmia più orribile che Giobbe abbia potuto inventare. Stravolge le parole stesse di Dio, per poi scagliargliele contro. Nella Bibbia, infatti, Dio è chiamato sovente lo Shomer Jisra'el, il custode d'Israele, colui che con sguardo attento e paterno osserva il suo popolo (cf. Sal 121). Per il momento Giobbe non può sopportare questo sguardo d'amore: è uno sguardo che, senza motivo spiegabile, lo ferisce a morte.

Il Dio conosciuto per sentito dire

Ma questo sguardo è lo stesso che può anche curare Giobbe e infine guarirlo: dopo interminabili bestemmie, il libro di Giobbe termina con un epilogo liberatore. Attraverso lo smarrimento e la disperazione, Giobbe ha pur imparato qualcosa, ha potuto intuire il volto del vero Dio: «Allora Giobbe rispose al Signore e disse: "Ho esposto senza discernimento cose troppo superiori a me, che io non comprendo. Ascoltami e io parlerò, io ti interrogherò e tu istruiscimi. Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno visto"» (Gb 42, 1.3b-5).  Il libro di Giobbe non si dilunga oltre sul modo in cui Giobbe è arrivato a questa comprensione, ma queste poche parole sono sufficienti per intuirlo. Giobbe non conosceva il vero Dio: si aspettava infatti un semplice idolo domestico, modellato da lui stesso, a sua misura e secondo i suoi gusti, l'opera delle proprie mani. (...) All'improvviso, al cuore della prova cui il suo idolo non può fornire soluzione, si imbatte nel vero Dio, che è fuoco divorante. (...) Lo sguardo di Dio è infatti è così diverso da come se lo aspettava... E' uno sguardo che non approva né condanna, ma che lascia a Giobbe tutta la sua libertà: è uno sguardo unicamente d'amore, di un amore infinito. Dio rimane sempre accanto a Giobbe, nella buona come nella cattiva sorte, nella malattia come nella morte. Dio non è a misura umana, non risponde puntualmente ai desideri di Giobbe, né ai suoi timori: Dio ascolta Giobbe e lo prende così com'è. Non ascolta solo le sue buone intenzioni e i suoi progetti, ascolta anche le sue bestemmie, le sue invettive sacrileghe, la sua disperazione: ascolta con attenzione e amore. (...) Ora gli occhi di Giobbe si possono aprire. Solo la disperazione poteva insegnare a Giobbe qualcosa su Dio. 

Anche noi conosciamo Dio solo per sentito dire, a volte addirittura per molti anni. Anche noi, nella prova, reagiamo subito come Giobbe: il vero Dio viene a infrangere qualcosa in noi e noi cerchiamo di difenderci. Dio viene a spezzare i nostri idoli. C'è in noi una tale sicurezza, alla quale siamo pronti ad aggrapparci fino alla disperazione e contro la quale Dio non trova antidoto. Il suo scopo è quello di toglierci questa sicurezza, ma questo ci fa talmente soffrire e noi siamo talmente delusi da Dio che preferiamo maledirlo e bestemmiarlo, e a volte arriviamo fino a dubitare della sua esistenza, vorremmo vendicarci di Dio. Tutto questo non è grave perché anche nelle nostre bestemmie più amare continuiamo a gridare la nostra fede. Dietro ogni bestemmia si nasconde il vero volto di Dio, anche se viene presentato a rovescio. Dio stesso ci prende per mano per spossessarci di ciò che meglio conosciamo e a cui siamo attaccati corpo e anima: il piccolo idolo domestico che ci trasciniamo dietro da anni e al quale offriamo un culto come al vero Dio.
Eccoci spalle al muro: (...) come Giobbe, eccoci diventati il bersaglio vivente che  Dio vuole mandare in frantumi per costruire qualcos'altro. Egli è infatti colui che «ferisce e medica la piaga» (Gb 5,18): dovremo accettarlo con una calma fiduciosa e un umile abbandono. Dovremo aspettare, con una gioia segreta ma profonda: a poco a poco Dio ci apre gli occhi, il suo sguardo libera il nostro. Finora l'avevamo conosciuto solo per sentito dire; presto, molto presto, lo vedremo con i nostri occhi.


André Louf

tratto da "Sotto la guida dello Spirito" ed. Qiqajon