08/03/13

Sotto la grande pietra - Carlo Carretto

«Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: - Qual'è il primo di tutti i comandamenti?

Gesù rispose: - Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso.» 
Mc 12, 28-31

* * *

La pista, bianca di sole, si snodava dinanzi a me con tracciato incerto. I solchi nella sabbia, fatti dalle ruote delle grandi cisterne dei "petrolieri", m'obbligavano ad una ginnastica continua per mantenere la direzione alla jeep. Il sole era alto e mi sentivo stanco. (...) Sapevo che nella zona c'erano grossi blocchi di granito emergenti dalla sabbia: ricercatissimi luoghi d'ombra per fare il campo e attendere la sera per proseguire il viaggio.
Difatti, verso mezzogiorno, trovai ciò che cercavo. Grosse rocce apparvero sulla sinistra della pista; ed io mi avvicinai, sicuro che avrei trovato un po' d'ombra.
Non ne fui deluso. Sulla parete nord d'un immenso macigno alto una decina di metri una lama d'ombra si proiettava sulla sabbia rossa. (...) Stesi la stuoia, che nel deserto è tutto: cappella, sala da pranzo, camera da letto, salotto di ricevimento;  (...) mi stesi sulla sabbia per dormire, perché nel deserto la siesta precede il pranzo. Per star più comodo, cercai una coperta per mettermela sotto il capo. Ne avevo due, e ben lo sapevo. Una coperta rimase accanto a me, inutilizzata e, guardandola, non mi sentivo tranquillo.
Ma se volete capire, dovete ascoltare la storia.

La sera prima ero passato da Irafok, un piccolo villaggio di negri, ex schiavi dei Tuareg. Come al solito, quando si giunge in un villaggio, la popolazione corre a far ressa attorno alla jeep, sia per curiosità, sia per quei piccoli servizi che si fanno da chi frequenta la pista del deserto: portare un po' di tè, distribuire medicine, consegnare qualche lettera.
Quella sera avevo notato il vecchio Kadà che tremava dal freddo. (...) Mi venne l'impulso di dargli una delle due coperte che avevo con me e che formava il mio "ghess"; ma mi distrassi volentieri da quel pensiero, Pensavo alla notte, e sapevo che anch'io avrei tremato. Quel po' di carità ch'era in me tornò all'assalto, facendomi notare che la mia pelle non valeva più della sua e che avrei fatto bene a dargliene una; e che, se anche avessi tremato un po', era ben giusto per un piccolo fratello.
Quando partii, le due coperte erano ancora sulla jeep; ed ora erano là davanti a me e mi davano fastidio.

Cercai d'addormentarmi coi piedi appoggiati alla grande roccia, ma non ci riuscii. Mi venne in mente che un Tuareg un mese prima era stato schiacciato da un masso proprio mentre faceva la siesta. Mi alzai per assicurarmi della stabilità del masso: vidi che era piuttosto in bilico, ma non proprio da essere pericoloso.
Mi ricoricai sulla sabbia. Se vi dicessi che sognai, vi sembrerebbe strano. Ma il più strano è che sognai che dormivo sotto la grande pietra e che ad un certo punto... Non mi pareva affatto un sogno: vidi la pietra muoversi; e mi sentii venire addosso il masso. Che brutto momento!
Ero liquidato. Sentii scricchiolare le ossa e mi trovai morto. No: vivo, ma col corpo schiacciato sotto il masso. Mi stupivo che nessun osso mi dolesse: ero solo immobilizzato. Aprii gli occhi e vidi Kadà che tremava davanti a me a Irafok. Allora non esitai più a dargli la coperta, tanto più che era inutilizzata vicino a me, a un metro di distanza. Cercai di allungare la mano per offrirgliela; ma il masso che mi aveva immobilizzato mi impediva il più piccolo movimento. Capii che quello era il purgatorio e che la sofferenza dell'anima era di "non poter più fare ciò che prima si poteva e si sarebbe dovuto fare!". Chissà per quanti anni avrei visto quella coperta vicino a me, in quella scomoda posizione, a testimoniare il mio egoismo e quindi la mia immaturità ad entrare nel Regno dell'Amore.
Provai a pensare quanto tempo sarei rimasto sotto il masso. La risposta me la suggerì il Catechismo «Fin tanto che sarai capace di un atto di amore perfetto!». In quel momento non mi sentivo capace.
L'atto d'amore perfetto è l'atto di Gesù che sale al Calvario per morire per tutti noi. A me, membro del Suo Corpo Mistico, si chiedeva se ero giunto a tanta maturità d'amore da desiderare di seguire il mio Maestro sul Calvario per la salvezza dei miei fratelli. La presenza della coperta negata a Kadà la sera prima mi diceva che avevo ancora molta strada da percorrere! Capace di vedere un fratello che trema e passar oltre, come sarei stato capace di morire per lui ad imitazione di quel Gesù che morì per tutti?
Qui compresi che ero perduto; e che, se non fosse intervenuto Qualcuno ad aiutarmi, io avrei trascorso epoche ed epoche geologiche senza più potermi muovere.
Guardai altrove e mi accorsi che tutti quei grossi massi del deserto non erano altro che sepolcri di altri uomini. Anch'essi, giudicati nell'amore e trovati freddi, erano là ad attendere Colui che un giorno aveva detto: «Io vi risusciterò nell'ultimo giorno».  (...)

«Sarete giudicati sull'amore» mi ripete sulla mia immobilità questo luogo; e i miei occhi bruciati dal sole guardano lontano il cielo senza nubi.
Non mi voglio più ingannare; non mi posso più ingannare: la realtà è che non sono stato capace di dare la mia coperta a Kadà per paura della notte fredda; il che significa che io amo più la mia pelle di quella del mio fratello, mentre il comandamento di Dio mi dice: «Ama la vita degli altri come la tua».
E ciò appartiene ancora al Vecchio testamento, alla prima rivelazione di Dio all'uomo: «Ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo tuo come te stesso» (Dt 6,5). Che se veniamo al Nuovo e alla Rivelazione di Gesù le cose si complicano. «Amatevi tra di voi come Io vi ho amato!» (Gv 13,34).  Come Io! cioè non solo la coperta, ma la vita stessa. In realtà l'atto d'amore perfetto consiste nell'essere disposto a fare ciò che fece Gesù: cioè morire per Kadà, per me, per tutti.
Sotto questa visuale, il Cielo è quel luogo dove ciascuno dei presenti dev'essere talmente "maturo all'amore", da offrire la sua vita per tutti gli altri. E' l'amore perfetto universale, radicale, senza ombra d'avversione, d'antipatia, di limite, colati in esso come nel fuoco.
Chi è pronto a ciò alzi la mano!
Per questo, dopo la visione della grande pietra, vedo il mio purgatorio lungo, terribilmente lungo, forse lungo come le epoche geologiche. (...)

Dio non ha fretta nel fare le cose; e il tempo è suo e non mio. Ed io, piccola creatura, uomo, sono stato chiamato ad esser trasformato in Dio per partecipazione. E ciò che mi trasforma è la carità, che Dio ha infuso nel mio essere.  L'amore mi trasforma lentamente in Dio. E il peccato è proprio qui: resistere a questa trasformazione, saper e poter dire di no all'amore. (...) E fin tanto che non sarò trasformato "per partecipazione" in Dio, attraverso la carità, sarò di "questa terra" e non di "quel cielo". (...)
Che vale dire bene l'Ufficio divino, ascoltare la S. Messa e non accettare l'amore? Che vale aver rinunziato a tutto, l'essere venuto qua tra la sabbia e il caldo e resistere all'amore? Che vale difendere la verità, battersi per i dogmi coi teologi, scandalizzarsi di coloro che non hanno la stessa fede e poi restare per epoche geologiche sulla porta del purgatorio?
«Sarete giudicati sull'amore»: ecco ciò che mi grida quel pezzo di deserto tra Tit e Silet.
«Sarete giudicati sull'amore» mi dice la grande pietra sotto la quale trascorrerò il mio purgatorio in attesa di maturare in me la carità perfetta, quella che Gesù mi ha recato sulla terra e mi ha donato col prezzo della grande speranza: «Io vi risusciterò nell'ultimo giorno!» (Gv 6,40)
Che quel giorno non sia troppo lontano!

Carlo Carretto

tratto da "Lettere dal deserto"