«Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: "Eloì, Eloì, lemà sabactàni?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"» (Mc 15,33-34)
«Era pensiero corrente nei cristiani che il dolore più grande di Gesù fosse quello vissuto nell'orto del Getsemani. Ma un sacerdote ci aveva detto che il dolore più grande di Gesù era stato quando sulla croce ha gridato "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato". E noi, avendo una grande fede nelle parole del sacerdote, abbiamo creduto che il dolore dell'abbandono fosse il più grande. E infatti, anche il noto esegeta Lagrange lo conferma esplicitamente: "Desolazione più completa di quella del Getsemani, poiché Gesù non dice più 'mio Padre' ma 'mio Dio': Eloì, Eloì" ».
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La sua unione col Padre, la dolcissima ed ineffabile unione con Lui (...), questo sentimento della presenza di Dio doveva scendere nel fondo della sua anima e non farsi più sentire. Disunirlo in qualche modo da Colui che Egli aveva detto essere "uno con Lui": "Io e il Padre siamo uno". In Lui l'amore era annientato, la luce spenta: la Sapienza taceva. "Quel Logos - dice von Balthasar - in cui tutto nel Cielo e sulla terra era accolto e possiede la sua verità, cade disteso nel buio nell'assenza di ogni rapporto col Padre, che solo sostiene ogni verità" (...)
Per farci Figli di Dio si privava del sentimento d'esser Lui il Figlio di Dio. Ora il Padre permetteva questa tenebra e aridità infinita dell'anima, questo nulla infinito. Si faceva dunque nulla, per far noi partecipi al "tutto". Verme della terra, per far noi Figli di Dio; eravamo staccati dal Padre ed era necessario che il Figlio nel quale noi tutti ci ritrovavamo provasse il distacco dal Padre. Doveva sperimentare l'abbandono di Dio perché noi non fossimo mai più abbandonati».
«Ed era bello, bello, bello, quest divino Amore delle anime nostre! Perché ci affascinava, forse ci innamorava, perché cominciavamo a vederlo dappertutto. Si presentava coi volti più diversi in tutti gli aspetti più dolorosi della vita: non erano che Lui, erano soltanto Lui e, anche se sempre nuovi, erano unicamente Lui.
(...) Ogni dolore fisico, morale o spirituale ci sono apparsi un'ombra del suo grande dolore. Sì, perché Gesù abbandonato è la figura del muto: non sa più parlare, non sa che altro dire. E' la figura del cieco: non vede; del sordo: non sente. E' lo stanco che si lamenta, rasenta la disperazione. E' l'affamato dell'unione con Dio. E' figura dell'illuso, del tradito: appare fallito. E' pauroso, timido, disorientato.
Gesù abbandonato è la tenebra, la malinconia, il contrasto; la figura di tutto ciò che è strano, indefinibile, che sa di mostruoso, perché è un Dio che chiede aiuto. E' il solo, il derelitto, appare inutile, scartato. (...)
Gesù abbandonato l'abbiamo amato specialmente nei peccatori: Egli è il piano inclinato per tutti gli uomini, anche i più miserevoli.
Essendo stato abbandonato da tutti, ognuno poteva dire "è mio, è nostro" E' mio perché nessuno lo vuole, rifiuto del Cielo e del mondo. (...) Egli fattosi maledizione e peccato - se pur, non peccatore - per tutti noi era il punto di contatto con chiunque si chiama "uomo".
Egli aveva gridato il "perché" al quale nessuno aveva risposto, perché noi avessimo la risposta ad ogni "perché"».
Ho un solo sposo sulla terra...
In lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l'Umanità.
Perciò il suo è mio e null'altro. E suo è il Dolore universale e quindi mio.
Andrò per il mondo cercandolo in ogni attimo della mia vita.
Ciò che mi fa male è mio.
Mio il dolore che mi sfiora nel presente.
Mio il dolore delle anime accanto (è quello il mio Gesù).
Mio tutto ciò che non è pace, gaudio, bello, amabile, sereno..., in una parola: ciò che non è Paradiso.
Poiché anch'io ho il mio Paradiso ma è quello nel cuore dello Sposo mio.
Non ne conosco altri.
Così per gli anni che mi rimangono: assetata di dolori, di angosce,
di disperazioni, di malinconie, di distacchi, di esilio, di abbandoni, di strazi,
di tutto ciò che è Lui.
Così prosciugherò l'acqua della tribolazione in molti cuori vicini
e - per la comunione con lo Sposo mio onnipotente - lontani.
Passerò come Fuoco che consuma ciò che ha da cadere
e lascia in piedi solo la Verità.
Ma occorre esser come Lui:
essere Lui nel momento presente della vita.
Chiara Lubich
Rocca di Papa, 7-8 dicembre 1971: "Gesù abbandonato".