25/03/13

Il fallimento di Dio...? - Paolo Curtaz

Tre anni.
Non sono molti, se ci pensate. (...)
Tre anni trascorsi a piedi per le strade polverose di Palestina, annunciando il regno, in un crescendo di fama e di popolarità. Prima uno sparuto gruppo di curiosi aveva seguito il falegname divenuto profeta, a Cafarnao.
Poi la voce si era diffusa, come un contagio: come un fiume in piena la gente si radunava ad ascoltare il Rabbì. Le sue parole, il suo sorriso, il suo bene erano magnetici, contagiosi: egli parlava come se vedesse Dio faccia a faccia.
Dal nord Gesù era sceso a Gerusalemme la grande (...) e aveva cominciato a vivere le prime difficoltà: il potere religioso guardava con diffidenza ogni novità che nasceva al di fuori della propria influenza (ma va?) e le cose iniziavano a prendere una brutta piega.
Il punto di forza di Gesù, la folla, cominciava ad ondeggiare incerta .
Forse Gesù era solo un mago, un illusionista: i romani non se n'erano andati, molti malati restavano tali, i sacerdoti non lo appoggiavano. No, non era lui il Messia. (...)
Gesù inesorabilmente, vede che la sua missione vacilla. Anche i Dodici cominciano a dare segni di cedimento (...), sono lontani anni luce dalla consapevolezza di quello che sta per accadere. Storditi dal successo non si rendono conto del dramma che sta per consumarsi. E che li consumerà.
Gesù arriva alla vigilia della Pasqua, in quel mese di aprile, con una sensazione di profondo sconforto: la sua missione sta fallendo.

Diaboliche ragioni.
Forse l'avversario, che vede sempre il peggio e lo sottolinea, aveva ragione: l'uomo non si converte con le parole, ma con i miracoli e la paura. Che ingenuo Gesù! Davvero pensava di cambiare il cuore di Adamo con l'amore?
Lo abbiamo già detto: Gesù ha scelto come fare il Messia.
E. ora, deve arrendersi all'evidenza dei fatti: la sua predicazione non è servita.
Non come avrebbe voluto.
Se il suo obiettivo era quello di manifestare il volto del Padre, di mostrare che egli è il Figlio di Dio, quel risultato è ormai compromesso. Nei palazzi si sta già pensando come ucciderlo (...).
Gesù, ora, non sa come fare.
Ha poche assolute certezze: non lascerà la sua missione, sarà coerente fino in fondo al suo mandato, costi quel che costi (cfr. Mt 17,22-23)

Medito spesso le pagine della Passione. Mi ci trovo, come tutti.
In particolare resto sempre coinvolto e commosso dal senso di fallimento di Gesù.
So che l'uso di questa parola scandalizza qualcuno fra voi lettori e vi capisco, credetemi. 
Mette i brividi pensare al fallimento di Dio. Eppure egli ha voluto veramente diventare uomo, assumendo i rischi di questa scelta così coraggiosa. 
Per amore Dio è diventato uomo.
Per amore accetta i rischi dell'essere uomo.
Insisto su questo tema perché conosco molte persone che si vengono a trovare nella stessa situazione del Signore: amici che hanno investito anni in un progetto che vedono crollare, persone anziane cariche di acciacchi e di delusioni che scivolano nello sconforto e nel cinismo, preti che lentamente spengono in sé l'entusiasmo che li aveva motivati a scegliere di consacrare la propria vita alla causa del regno, genitori che assistono impotenti alle scelte distruttive dei figli mettendo in crisi il proprio ruolo educativo...

Quando ci sentiamo falliti, Dio sa di cosa stiamo parlando.
Nulla, ormai, gli sfugge. Egli conosce, egli sa.
Come noi ha voluto dover scegliere.

Un anziano prete, qualche anno fa, mi raccontava di un momento di grave crisi del suo ministero.
Giovane e intraprendente parroco inviato in una parrocchia molto difficile, resa tale da una serie di eventi storici che avevano segnato le persone, pensava di contagiare tutti con l'annuncio del Vangelo. Mi raccontava: «Dicevo loro: "Gesù ti ama, ti vuol bene, egli è il senso della tua vita!" e loro mi rispondevano: "Ovvio che dici così, è il tuo mestiere, ti pagano per dire quelle cose!"». Dopo tre anni di tentativi, esausto, voleva gettare la spugna. Ogni mattina, prima dell'alba, entrava nella chiesa buia: accendeva solo il faro che illuminava il crocifisso. Un giorno, infine, durante la preghiera, decise di andarsene: al sorgere del sole avrebbe preso la corriera e sarebbe sceso dal Vescovo per rassegnare le proprie dimissioni. In quel momento, come sollevato da un peso, scoppiò a piangere, in ginocchio, nella penombra.
Mi disse che, in quel preciso istante, sentì nel suo cuore la voce del Signore appeso in croce che gli diceva teneramente: «Tu vai pure. Io resto». (...)

La scelta.
Gesù, dicevamo, vede che la sua missione volge al termine.
L'uomo non ha capito, Adamo ha dato il peggio di sé.
Che fare?
Alcuni suggeriscono di usare la forza, di manifestare il volto di un Dio giustiziere che ristabilisca i ruoli e le proporzioni. (...)

«Ascoltate un'altra parabola. C'era una volta un padrone di casa che piantò una vigna... 

Alla fine mandò il proprio figlio, pensando che avrebbero avuto riguardo di suo figlio. Ma i coloni, vedendolo, dissero fra sé: "E' l'erede. Orsù, uccidiamolo; così avremo la sua eredità". Lo presero dunque e, portatolo fuori dalla vigna, lo uccisero.
Quando verrà il padrone della vigna, che cosa farà a qui coloni?» Gli dicono «Farà morire senza pietà quei malvagi e darà la vigna ad altri coloni, i quali gli renderanno i frutti a suo tempo» (Mt 21, 33. 37-41)

Lo sposo, Dio, chiede ragione alla sposa, Israele, della sua infedeltà. Il padrone chiede ragione della sua proprietà ai vignaioli omicidi. Un velo di tristezza attraversa lo sguardo di Gesù: ai suoi futuri carnefici egli chiede che cosa fare... La risposta è asciutta, violenta: il padrone deve fare giustizia, punire, uccidere senza pietà. (...)
No, non ucciderà, né userà violenza colui che rifiuta ogni violenza, che chiede ai suoi discepoli di riporre la spada, sempre (cfr. Mt 26,52).
Che fare?
Forse potrebbe andarsene, chiudere la parentesi, tornare al Padre. L'uomo continuerà a cercare risposte, a percorrere strade inquiete alla ricerca dell'Assoluto. (...)
Oppure.
Rischiare, lasciarsi andare, consegnarsi.
Abbandonarsi nelle mani degli uomini (Lc 23,25), che non vogliono abbandonarsi nelle braccia di Dio. Lo sa, Gesù, che ogni sua mossa ulteriore lo porterà diritto alla morte. Per lapidazione, probabilmente. O sulla croce, Dio non voglia (...).

Capirà che il suo discorso è serio?
Che le sue parole sono parole che provengono direttamente dal cuore di Dio?
Capirà che altro è fare prediche (e scrivere libri), altro morire?
Capirà che Dio ama senza condizioni?

Gesù è davanti alla più terribile delle scelte.
Il diavolo, ovvio, torna: è il momento opportuno per l'ultima tentazione.
«Cosa stai facendo, Nazareno? Non ti è bastata? Vuoi ancora credere che Adamo cambierà?
Non scherzare: i tuoi più fidi discepoli stanno dormendo. Uno dei Dodici sta venendo a prenderti per ucciderti.
Nessuno vuole un Dio come il tuo, rassegnati.
Vuoi davvero salire sulla croce? Per cosa? Per chi? Tutti si dimenticheranno di te!».

Gesù ora è solo.  Solo davanti alla sua scelta, solo davanti al rischio di diventare il Dimenticato della storia.
Centinaia di migliaia di persone, nella storia, sono morte crocifisse. Di nessuna di loro ricordiamo il nome.
Di nessuna.
Gesù rischia di essere semplicemente cancellato.

Oppure.

L'Appeso.
Gesù accetta la sfida, corre il rischio: berrà il calice fino in fondo, non si fermerà.
Il cuore della Passione, l'ho già scritto e lo ripeto, è l'amore, non il dolore.
L'amore di chi dona tutto, di chi dona la sua vita liberamente e per amore (...).

«Il popolo stava a guardare. I capi del popolo invece lo schernivano dicendo: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso se è il Cristo di Dio, l'Eeletto» (Lc 23, 35)

Sono tutti concordi: i capi del popolo, i pagani, il ladro.
Ora Gesù può veramente dimostrare ciò che egli è, il Figlio di Dio. Ora ne ha l'occasione, la possibilità, è davvero l'ultima chance: deve solo scendere dalla croce e salvare se stesso.
Salvare se stesso è la condizione che viene posta a Gesù per dimostrare di essere il Figlio di Dio.
Dio non è forse il bastante a se stesso? (...)
Noi invidiamo Dio per la sua totale autosufficienza, per la sua assoluta perfezione: egli non ha bisogno di alcuno.
Allora, se davvero Gesù è Dio, deve salvare se stesso.

No: Gesù non salva sé. Salva me.
La sua vita è un dono, il suo unico desiderio è quello di riempire i nostri cuori.
Gesù muore donandosi. Consumato, l'Appeso innalzato attira tutti a sé (cfr. Gv 12,32).

Fine.
La missione di Gesù si conclude tragicamente.
Il suo corpo nudo, sfigurato e tumefatto, spezzato e straziato, viene ora deposto dalla croce.
Un discepolo ricco, Giuseppe, che non è riuscito a salvarlo, gli fa dono, ora, della sua preziosa tomba scavata nella roccia (cfr. Mt 27,57-60).

Fine della storia terrena di Gesù. Fine di un bel sogno cresciuto in una terra lontana.
Qualche biografo - tenero - decide di raccontare la storia di uno dei tanti uomini che, periodicamente, rendono nobile la stirpe dei figli di Adamo. Qualche romanticone - tenero - si appassiona alla sua storia e la narra come fecero i menestrelli per le gesta dei cavalieri. Qualcun altro - carogna - ha preso la storia del Nazareno e ci ha ricamato sopra per due millenni, compiendo ogni abominio nel nome di quell'uomo.

Eppure....

Paolo Curtaz,  "Gesù zero. Quello sotto la crosta"