31/03/13

Dobbiamo risuscitarlo - A. Pronzato

E bisogna che anche noi Lo risuscitiamo. 
Lo facciamo uscire dal sepolcro in cui l'abbiamo relegato. Lo liberiamo dalle bende dei nostri pregiudizi, dei nostri rancori, delle nostre delusioni, delle nostre frustrazioni. Lo ripuliamo dalle immagini caricaturali con cui abbiamo deformato il suo volto. Gli permettiamo di frantumare gli schemi e le visioni meschine in cui l'abbiamo imprigionato. 
Dio segregato in chiesa. Ostaggio dei nostri riti formali. Addormentato dalle nostre nenie lamentose. Sorvegliato speciale perché non disturbi la quiete pubblica e si attenga strettamente al programma delle "onoranze" che abbiamo stabilito noi.
Vogliamo permettere a questo Dio di ridiventare Dio in noi? 
Vogliamo consentirgli di manifestarsi, non come pretendiamo che sia, ma come è? 
Vogliamo accordargli la libertà di compiere, non le cose che decidiamo noi - e che noi stessi, spesso, saremmo in grado di fare -, ma quelle "impossibili" che soltanto lui è capace di realizzare?
Accettiamo che si riveli molto migliore di quanto noi siamo soliti descriverlo, più tenero di quanto riusciamo a immaginare? 
Accettiamo che ci regali una gioia, una pace, una qualità e un'ampiezza e un'intensità del vivere quali non osiamo neppure sospettare? 

Forse la Pasqua è anche questo. 
Scoprire che Dio non sopporta il sepolcro in cui l'abbiamo confinato, la prigione (le infinite prigioni) in cui l'abbiamo rinchiuso. 
Perlustrare quel sepolcro, non per ritrovarlo, ma per scoprire che lui, fortunatamente, non c'è più.
E, inseguendolo nella luce pasquale, trovare il coraggio di mormorare: 
- Dio mio, come ti avevamo ridotto... 
E prendere sul serio ciò che dice a Maria di Magdala: 
- Non mi trattenere... (Gv 20,17). 
Forse riusciremo a resistere alla tentazione di toccarlo, riportarlo indietro, riappropriarcene, tenerlo sotto stretta sorveglianza. 
Ce la faremo, una buona volta, a non mettergli le mani addosso? 
"Fare Pasqua" vuol dire pure accettare il rischio di un Dio che non si rassegna a essere morto, che non sta alla parte che gli abbiamo assegnato noi. 


don Alessandro Pronzato