Non si dà vita cristiana senza vita
spirituale! Lo stesso mandato fondamentale che la chiesa deve adempiere nei
confronti dei suoi fedeli è quello di introdurli a un'esperienza di Dio, a una
vita in relazione con Dio. E' essenziale ribadire oggi queste verità elementari
perché viviamo in un tempo in cui la vita ecclesiale, dominata dall'ansia
pastorale, ha assunto l'idea che l'esperienza di fede corrisponda all'impegno
nel mondo piuttosto che all'accesso a una relazione personale con Dio vissuta
in un contesto comunitario, radicata sull'ascolto della Parola di Dio contenuta
nelle Scritture, plasmata dall'eucaristia e articolata in una vita di fede, di
speranza e di carità. Questa riduzione dell'esperienza cristiana a morale è la
via più diretta per la vanificazione della fede.
La
fede, invece, ci porta a fare un'esperienza reale di Dio, ci immette cioè nella vita spirituale, che è
la vita guidata dallo Spirito santo. Chi crede in Dio deve anche fare
un'esperienza di Dio: non gli può bastare avere idee giuste su Dio. E
l'esperienza, che sempre avviene nella fede e non nella visione (cf. 2Corinti
5,7: "noi camminiamo per mezzo della fede e non ancora per mezzo della
visione''), è qualcosa che ci sorprende e si impone portandoci a ripetere con
Giacobbe: "Il Signore è qui e io non lo sapevo!'' (Genesi 28,16), oppure
con il Salmista: "Alle spalle e di fronte mi circondi... Dove fuggire
dalla tua presenza? Se salgo in cielo tu sei là, se scendo agli inferi,
eccoti'' (Salmo 139,5ss.). Altre volte la nostra esperienza spirituale è
segnata dal vuoto, dal silenzio di Dio, da un'aridità che ci porta a ridire le
parole di Giobbe: "Se vado in avanti, egli non c'è, se vado indietro, non
lo sento, a sinistra lo cerco e non lo scorgo, mi volgo a destra e non lo
vedo'' (Giobbe 23,8-9). Eppure anche attraverso il silenzio del quotidiano Dio
ci può parlare. Dio infatti agisce su di noi attraverso la vita, attraverso
l'esperienza che la vita ci fa fare, dunque anche attraverso le "crisi'',
i momenti di buio e di oscurità in cui la vita può portarci.
L'esperienza
spirituale è anzitutto esperienza di essere preceduti: è Dio che ci precede, ci cerca, ci
chiama, ci previene. Noi non inventiamo il Dio con cui vogliamo entrare in
relazione: Egli è già là! E l'esperienza di Dio è necessariamente mediata dal
Cristo: "nessuno viene al Padre se non per mezzo di me'' dice Gesù
(Giovanni 14,6). Cioè l'esperienza spirituale è anche esperienza filiale.
Lo Spirito santo è la luce con cui Dio ci previene e orienta il nostro cammino
verso la santificazione, cammino che è sequela del Figlio: l'esperienza
spirituale diviene così null'altro che la risposta di fede, speranza e carità
al Dio-Padre che nel battesimo rivolge all'uomo la parola costitutiva: "Tu
sei mio figlio!''. Sì, figli nel Figlio Gesù Cristo: questa la promessa e
questo il cammino dischiusi dal battesimo! Come diceva Ireneo di Lione, lo
Spirito e il Figlio sono come le due mani di Dio con cui Egli plasma le nostre
esistenze in vite di libertà nell'obbedienza, in eventi di relazione e di
comunione con Lui stesso e con gli altri.
Alcuni elementi sono essenziali per l'autenticità del cammino
spirituale. Anzitutto la crisi dell'immagine che abbiamo di noi stessi:
questo è il doloroso, ma necessario inizio della conversione, il momento in cui
si frantuma l'"io'' non reale ma ideale che ci siamo forgiati e che
volevamo perseguire come doverosa realizzazione di noi stessi. Senza questa
"crisi'' non si accede alla vera vita secondo lo Spirito. Se non c'è
questa morte a se stessi non ci sarà neppure la rinascita a vita nuova
implicata nel battesimo (cf. Romani 6,4). Occorrono poi l'onestà verso la
realtà e la fedeltà alla realtà, cioè l'adesione alla realtà,
perché è nella
storia e nel
quotidiano, con
gli altri e non senza di essi, che avviene la nostra conoscenza di Dio e cresce
la nostra relazione con Dio. E' a quel punto che la nostra vita spirituale può
armonizzare obbedienza a Dio e fedeltà alla terra in una vita di fede, di
speranza e di carità. E' a quel punto che noi possiamo dire il nostro
"sì'' al Dio che ci chiama con quei doni e con quei limiti che
caratterizzano la nostra creaturalità. Si tratterà di immettersi in un cammino
di fede che è sequela del Cristo per giungere all'esperienza dell'inabitazione
del Cristo in noi. Scrive Paolo ai cristiani di Corinto: "Esaminate voi
stessi se siete nella fede: riconoscete che Gesù Cristo abita in voi?''
(2Corinti 13,5).
La
vita spirituale si svolge nel "cuore'', nell'intimo dell'uomo, nella sede
del volere e del decidere, nell'interiorità. E' lì che va riconosciuta
l'autenticità del nostro essere cristiani. La vita cristiana infatti non è un
"andare oltre'', sempre alla ricerca di novità, ma un "andare in
profondità'', uno scendere nel cuore per scoprire che è il Santo dei Santi di
quel Tempio di Dio che è il nostro corpo! Si tratta infatti di "adorare il
Signore nel cuore'' (1Pietro 3,15). Quello è il luogo dove avviene la nostra
santificazione, cioè l'accoglienza in noi della vita divina trinitaria:
"Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi
verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui'' (Giovanni 14,23). Fine della
vita spirituale è la nostra partecipazione alla vita divina, è quella che i
padri della Chiesa chiamavano "divinizzazione''. "Dio, infatti, si è
fatto uomo affinché l'uomo diventi Dio'', scrive Gregorio di Nazianzo, e
Massimo il Confessore sintetizza in modo sublime: "La divinizzazione si
realizza per innesto in noi della carità divina, fino al perdono dei nemici
come Cristo in croce. Quand'è che tu diventi Dio? Quando sarai capace, come
Cristo in croce, di dire: "Padre, perdona loro", anzi: "Padre,
per loro io dò la vita"''. A questo ci trascina la vita spirituale, cioè
la vita radicata nella fede del Dio-Padre creatore, mossa e orientata dallo
Spirito santificatore, innestata nel Figlio redentore che ci insegna ad amare
come lui stesso ha amato noi. Ed è lì che noi misuriamo la nostra crescita alla
statura di Cristo.
tratto
da:
Enzo Bianchi "Le parole della spiritualità" - Rizzoli, 1999