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27/01/16

La potenza della fede (2) Consenso e abbandono - A. Louf


In ebraico il termine "fede" (emunà) deriva dal radicale emet, fedeltà, che è uno degli attributi maggiori di Dio. Dio è misericordia e fedeltà (cf. Gen 24,27); potremmo anche tradurre: tenerzza e saldezza.  Emet infatti suggerisce l'idea della roccia sulla quale ci si può appoggiare e si può edificare. Dio non viene meno: potremo sempre contare su di lui. Credere significa appoggiarsi su questa saldezza di Dio. Anche Amen deriva dalla stessa radice: dire Amen significa credere al massimo grado, acconsentire alla saldeza di Dio come questa si impone a noi nella Sua Parola o nella persona di Gesù. (...)

La fede del centurione sgorgava dalla necessità in cui si dibatteva ma, prima di ogni altra cosa era fiducia in Gesù e abbandono nella sua Parola, fino all'obbedienza totale. La fede quindi non è solamente, o per lo meno innanzitutto, consenso ad alcune verità di fede riguardanti Gesù, bensì accettazione di Gesù stesso, con tutta la potenza che ha ricevuto dal Padre, il che include una rinuncia totale alla nostra persona a suo favore. (...) La nostra fede è un movimento verso Dio, una fede che ci scuote e ci trascina, una fede che è esodo da se stessi e immisione in Dio: tale era la fede del centurione. Così ogni giorno posso aggrapparmi alle parole di Gesù che salva e chiedergli: "Dì soltanto una parola e io sarò guarito".

Una fede simile costituisce una sconvolgimento radicale: l'uomo è invitato a uscire da se stesso, impara a dimenticarsi e ad abbandonarsi per lasciarsi raggiungere dalla Parola viva e onnipotente di Dio, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Una di queste è che, in virtù della fede, riceviamo la potenza stessa di Dio.

La fede che opera meraviglie.

[Nel Vangelo]ci viene ricordato che Gesù non potè operare miracoli nella sua patria a causa della mancanza di fede degli abitanti di Nazaret (cf. Mc 6,1-6).
esù in quel luogo non era spogliato della sua potenza, ma questa era infiacchita, attraversata dalla mancanza di fede.  Gesù non può intervenire nella nostra vita finché non ci consegnamo totalemente a Lui, a partire dalla nostra debolezza, e purtuttavia con piena e totale fiducia. Gesù si pone davanti ad ogni uomo con tutta la pienezza del suo amore e della sua potenza, ma la maggior parte di noi non è innestata in lui: ecco perché egli non può intervenire. Gesù va in cerca della nostra estrema povertà, accompagnata dal nostro cieco abbandono. E' questo il terreno dove oggi, con la sua potenza e attraverso la nostra fede, si accinge a compiere meraviglie. (...) Come la mancanza di fede lo paralizza, così la fede libera la potenza di Gesù.

Questo è il meraviglioso dialogo della fede tra Dio e l'uomo: Dio è il primo a parlare e si aspetta da noi che ci abbandoniamo alla sua Parola, quando questa ci avrà afferrati. Non appena questo accade, Dio diventa, per così dire, l'umile servitore di chi ha tutto abbandonato per lui. Da quel momento, Dio non è più il solo a essere Onnipotente: chi crede e si affida a questa onnipotenza lo è altrettanto.  (...)
In questo modo la nostra fede è simile a un gremovo reso fecondo dalla potenza della Parola di Dio, che a sua volta partecipa della potenza di Dio non appena questa Parola è accolta in un abbandono totale. Allora più nulla è impossibile, al contrario: 
"Tutto è possibile per chi crede"
dice Gesù (Mc 9,23). (...)

Appare qui evidente che l'oggetto della nostra fede non è innanzitutto un insieme di verità da esprimere e da confessare (...) L'oggetto della fede è innanzitutto la meravigliosa potenza di Dio presente, per noi e per tutti, nella Parola di Dio, nei segni della salvezza che avvengono nella Chiesa, ma sopratutto nel Signore risorto, Gesù Cristo. (...) Attraverso la nostra fede, la potenza della resurrezione di Gesù è messa a disposizione di tutti.
 
La fede ci apre alla potenza di Dio: siamo liberati nel nostro intimo e il nostro cuore è salvato. E' come se Dio aprisse un chiavistello nel nostro io profondo e spalancasse una porta attraverso la quale può farsi breccia per inondarci come un torrente e trascinarci nell'amore e nell'onnipotenza che ci fa rivivere, similmente a quanto è accaduto il mattino di Pasqua, quando Gesù è risuscitato dai morti in virtù dell'onnipotenza della gloria del Padre. (...) Ne usciamo rimpiccioliti, e per così dire, come sperduti: piccoli nei confronti di noi stessi, degli altri e di Dio, eppure mai schiacciati, anzi liberati ad opera di questa illimitata fiducia in lui "che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare" (Ef 3,20), e sempre disponibili per i miracoli che il Signore Gesù continuerà a compiere attraverso la nostra fede.

Non c'è dubbio che Dio è incessantemente all'opera nella chiesa e nel mondo, ancora oggi. Ma solo la nostra fede può scoprire questi miracoli continui e arrivare a vivere come circondata di miracoli: all'infuori della fede, non esistono altri mezzi per percepire l'opera di Dio. I cristiani sono chiamati a rendere visibili i miracoli di Dio nella chiesa di oggi. Ogni cristiano deve eprmettere alla potenza e alla fedeltà di Dio di realizzarsi nella propria vita.
Ogni volta che Dio ci fa comprendere, nel nostro intimo, che dei miracoli stanno epr avvenire in noi e attorno a noi, è il segno che cominciamo lentamente a credere. Dio infatti non compie miracoli soltanto afifnché si creda, ma perché alcuni uomini credono e si sono aperti con fiducia alla sua onnipotenza. I miracoli scaturiscono dalla loro fede, sfuggono dalle mani a loro insaputa, prima ancora che essi possano sospettarlo.
La fede non è altro che questa esperienza, sempre a tentoni, dell'amore onnipotente di Dio: un'esperienza cosciente di essere lei stessa un miracolodi questa potenza e, nei limiti voluti da Dio, un segno luminoso per tutti gli uomini.

André Louf
 
tratto da "Sotto la guida dello spirito",  ed. Qiqajon