In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
* * * * *
Il Signore Gesù Cristo si pone come pastore e non come mercenario.
L’uomo invece ha la tendenza a farsi condurre da mercenari.
L’uomo crede ai suoi idoli, che sono i suoi mercenari, che chiedono tanto in
cambio. L’uomo tende sempre a vivere con qualcuno e per qualcuno che lui paga,
remunera con la sua propria vita. Noi non crediamo
all’amore, non crediamo alla gratuità del Signore, noi non crediamo a questo
Buon Pastore: finiremo per
credere molto di più a chi, quando arriva il lupo, ci abbandonerà: questo è normale,
questo è prevedibile. Infatti aprirsi al Buon Pastore non è facile per niente,
perché bisogna anche un po’ denunciare le proprie relazioni; perché se io mi
relaziono a qualcuno che affronterà il lupo, affronterà il male per difendermi,
riterrà di dover sanguinare per proteggere me, questo vuol dire essere
scardinati nella nostra mentalità originaria ed essere condotti ad un altro
tipo di logica: la logica per cui, io, se non faccio questo sono un mediocre,
se non vivo così sono un mediocre.
Ecco, questo è il Vangelo del Buon Pastore: siamo posti di fronte a questa generosità.
Con questo Vangelo, normalmente, si pensa ai sacerdoti, che sono i pastori.
Cosa cerca la gente
nei sacerdoti? Cerca pastori e non mercenari. E piuttosto si rassegna, molto
spesso, a non trovare così frequentemente questa generosità.
Noi sappiamo che si
può predicare bene, si può gestire bene, si può celebrare in maniera perfetta e
trigonometrica, ma poi, al dunque, ciò che veramente tutti quanti stiamo aspettandoci,
gli uni dagli altri, è qualcuno che dia il sangue, qualcuno che sia pastore e
non mercenario.
Quando ci vediamo
avvicinare un coniuge, un figlio, un padre, un amico, ci chiediamo in fondo
all’anima: ma costui è un mercenario o è pastore? Viene per me o viene per sé?
Starà con me solamente finché gli conviene e al primo pericolo scapperà, o mi
sarà fedele?
Certamente il
sacerdozio è una chiamata alla perdita
della propria vita, come lo è il matrimonio. Certamente, ogni sposo, ogni
sposa, spera di trovare nell’altro, non un mercenario, non uno sfruttatore, non
una persona che si serva di noi, non un utilitarista, ma qualcuno che ci ami
veramente. Certo che l’amore è una chiamata all’indissolubilità: per questo la
Chiesa proclama che il matrimonio è indissolubile, ed è grottesco pensare che
il matrimonio sia una cosa a termine. Perché l’amore non può essere una cosa
che quando arriva il lupo te ne vai; quando non ti conviene più, butti
via. L’indissolubilità è una condizione
che viene proprio esplicitata da questo testo.
Questo testo parla
di uno che non si ferma di fronte al lupo, che al momento in cui la cosa
diventa svantaggiosa si fa quattro calcoli e si tira indietro: è qualcuno che
si gioca la propria vita per l’altro. Questo è l’amore: se non c’è questo non c’è amore!
Finché io dico,
quello che mi conviene lo faccio o quello che mi piace, che mi appaga lo
faccio, quello che non mi conviene, non mi appaga, non lo faccio… io non sono
un amatore, io sono un mercenario; io non sono pastore, io non sono un
fratello, io non sono uno sposo, io non sono un prete, io non sono un
padre. Questa società vive il dramma
delle relazioni che si spezzano; nel cuore delle persone che hanno patito
separazioni, frazioni delle proprie famiglie, defezioni nelle relazioni, c’è
questo scandalo, questa tristezza, che sta lì, nel profondo dell’anima: non c’è nessuno che affronta il lupo.
Quando arriva il lupo sei solo;
quando arriva il lupo devi fare i conti solamente con la tua capacità di fuga o
di lotta.
Il Signore Gesù
Cristo fa apparire una vita nuova. Per questo i cristiani hanno un amore
indissolubile; per questo non conta avere il matrimonio o il sacerdozio, la
fraternità o la paternità, o l’amicizia: conta avere lo spirito di Cristo.
Conta avere lo spirito del Pastore.
C’è una frase
agghiacciante, che richiama questo testo: quando avviene il primo omicidio della
storia. Nel testo di Genesi 4, quando Caino uccide il suo fratellino minore,
quando Caino devasta per invidia il suo fratello, dopo che l’ha ucciso c’è il grido
di Dio “Dov’è Abele, tuo fratello?” E’ un grido che riecheggia anche con Adamo:
“Adamo dove sei?”. Ha perso un figlio, con Adamo; ha perso un altro figlio,
ancor più gravemente, con Abele. Lo sta cercando, ed è agghiacciante la
risposta di Caino: “Non lo so, sono forse il custode di mio fratello?”. Questa
è la frase degli assassini, di tutti coloro che non amano: perché non c’è
bisogno di togliere la vita fisica a qualcuno per ucciderlo. Basta disinteressarsene. La frase è: “Sono forse il custode di mio fratello?”. Tradotto dall’ebraico è il termine “pastore”, colui che lo guarda, colui che se
ne occupa, colui che ti guarda, colui che si prende cura di te. Da che mondo è
mondo, i fratelli maggiori hanno tenerezza per i fratelli minori, li difendono;
da che mondo è mondo è naturale pensare che il fratellino piccolo dica: “Chiamo
mio fratello più grande a difendermi!”. Ecco: meglio non chiamarlo questo fratello più grande: è l’assassino.
Ecco, noi siamo una
generazione che ripete questo: “Sono forse il custode di mio fratello?”. Questo
è il fratello che abbiamo intorno e
che siamo anche noi. “Ma questi non sono fatti miei!”. Ecco, quando sentiamo la
frase “Questo è un tuo problema”, siamo di fronte all’assassino. Siamo di
fronte a quello che dice: “Ma mica sono il tuo custode!”. La domanda poniamocela: “Sono il custode di
mio fratello?” Esiste una sola risposta onesta: “Sì, lo sono”. Non possiamo vivere se non ci custodiamo gli
uni, gli altri. Non possiamo vivere
se non siamo pastori gli uni degli altri. Non possiamo vivere, se tutto ciò che
sappiamo fare è applicare un codice, una norma, un protocollo: ti faccio ciò
che ti devo fare! Non sono semplicemente il tuo burocratico vicino di esistenza: io sono il tuo pastore e tu sei il
mio.
Quando qualcuno
dice: “Non ho niente contro di te” crede di dire qualcosa di bello. “Non hai niente contro di me?”, tu hai qualcosa con
me, per me. Le nostre relazioni
sono relazioni di cura: non può
esistere qualcuno che non si prende cura di qualcuno che ha intorno! Ecco: io sono qui che sto morendo e tu, mi ignori?
Anche il Codice
Penale conosce l’omissione di soccorso.
Quante omissioni di soccorso nelle nostre relazioni! Quanti mercenari! Quante
ferite, quante tristezze!
Il Signore Gesù
Cristo è il Buon Pastore, colui che offre la vita per le pecore. Per la sua
strada si impara l’arte di sanguinare per
gli altri.
Auguro a tutti voi
l’inquietudine di avere un cuore sanguinante, di soffrire per chi avete
intorno. Vi auguro di essere imbarazzati per i problemi altrui, di essere
scomodati dai problemi altrui. Vi auguro di avere tanti lupi cattivi da
affrontare, ovverosia, tanto amore da praticare.
don Fabio Rosini