Scoperte scientifiche e incredibili progressi tecnologici: ogni epoca storica produce i suoi picchi di “genialità”, la sua impronta peculiare nel definire, scolpire e modellare la società e gli uomini che la abitano.
La nostra, così fortemente connotata da un punto di vista cognitivo, ha finito, per confinare l’arte in un territorio “sacro” e abitato da pochi individui particolarmente dotati.
Se ci limitiamo a definire l’arte in termini di manufatti e prodotti, è fuori dubbio che essa sia soggetta a dei criteri di valutazione ed interpretazione definiti e precisi, che vedono nei secoli passati sicuramente una fioritura più ricca e originale dell’espressione artistica umana, al di là di quello che può essere il profano giudizio estetico personale.
Ma è pur vero che anche attraverso diverse le epoche storiche l’essenza dell’uomo resta sempre la stessa: portatore di bisogni profondi, emozioni, conflitti, alla ricerca di continui equilibri; affamato di relazioni e di nutrimento affettivo, funambolo sempre in bilico nella difficile “arte di vivere”. E la scintilla creativa fa parte di questo bagaglio di potenzialità, insita, da sempre, nella stessa natura dell’uomo, come capacità di “esprimere se stesso” in maniera originale, attraverso segni e simboli. Così, l’uso del disegno, della danza, del teatro, della musica, della poesia… sono sempre stati il canale attraverso cui l’uomo ha liberato le proprie energie creative.
E’ da questo incontro tra arte e psicologia, che nasce nel secolo scorso, l’arteterapia, strumento attraverso cui l’espressione artistica diventa una spinta capace di avviare un processo di ricerca ed espressione di sé, di vissuti, emozioni, affetti, nella ricerca del benessere psichico, fisico e relazionale.
Utilizzata inizialmente, quasi per caso, nel trattamento dei disturbi psicopatologici gravi – di solito con i pazienti psicotici – e in casi piuttosto isolati, pian piano ha conosciuto una rapida diffusione che oggi la vede sempre più valorizzata come strumento terapeutico ed educativo, in ambito clinico, nella riabilitazione, in ambito formativo.
Qui l’arte non è più considerata come “produzione di oggetti” ma come potenzialità che ognuno di noi possiede, di elaborare creativamente il proprio vissuto e così esprimerlo, attraverso i mezzi artistici più diversi e a ciascuno congeniali: la scultura e le arti grafiche, la musica, la scrittura creativa, la drammatizzazione, la danza…
Ogni impronta creativa, così intesa, è prima di tutto manifestazione di una necessità esistenziale dell’uomo di lasciare un segno, che riaffermi il suo “esserci”, il suo esistere nel mondo come individuo unico, prezioso, che ha qualcosa di importante da esprimere.
Non si tratta quindi di imparare delle tecniche artistiche e di procedere attraverso di esse: l’attenzione non è sul “risultato”, bensì sul processo creativo che può definirsi in sé “terapeutico” - indipendentemente dai procedimenti utilizzati - e fonte di ben-essere, nella liberazione di energie vitali, spesso bloccate.
Non è, infatti, esperienza infrequente che ciascuno di noi possa trovarsi ad attraversare momenti esistenziali difficili, caratterizzati da un disagio più o meno profondo: essi possono essere legati a circostanze sfavorevoli, eventi traumatici, avvenimenti dolorosi, malattie, cambiamenti repentini e destabilizzanti, come anche ad una difficoltà nel trovare un equilibrio nella particolare situazione esistenziale che si sta vivendo.
In questo senso l’arteterapia può essere un mezzo di intervento capace di ridurre il disagio, facilitando la liberazione delle energie creative, e quindi attraverso esse, facilitare l’espressione catartica di vissuti emotivi “difficili” rimasti bloccati, lo svelamento e la consapevolizzazione di aspetti conflittuali, così come di potenzialità e risorse per affrontarli. Il momento creativo diventa un’esperienza preziosa, in cui prende vita qualcosa di unico e irripetibile, fino ad allora rimasto occultato, seppellito nell’inconscio o bloccato dal muro delle nostre difese. Nel momento in cui l’individuo riesce ad esprimere, attraverso il mezzo creativo, se stesso, comunicandolo e condividendolo con l’altro (il terapeuta, il gruppo…) crea un ponte tra “spazio interno” e “spazio esterno”, tra il segno e il senso che esso assume nel suo spazio psicologico interno, tra il vissuto psicologico e l’esteriorizzazione dello stesso, nel segno visibile creativamente prodotto: un disegno, una forma, un colore, una espressione corporea… Il “mettersi davanti”, esternare visivamente ciò che abita la nostra interiorità, lo rende meno “spaventoso”, più controllabile e quindi suscettibile di essere più facilmente affrontato.
Il “prodotto artistico” non ha quindi valore in sé per sé, su un piano di realizzazione tecnica o su un piano puramente estetico, ma in quanto personale “lettura” che il soggetto dà alla sua esperienza psicologica. Compito del “terapeuta” sarà quello di accogliere, legittimare, rispecchiare i messaggi creativi dell’individuo, ponendosi nella relazione come “contenitore emotivo”, capace di restituire senso all’espressione affettiva della persona che ha davanti. E’ in questo incontro che il prodotto artistico diventa non solo mezzo espressivo, ma anche mezzo di comunicazione tra gli attori coinvolti nel processo; struttura una relazione che, in virtù della stessa possibilità di sperimentare accoglienza e accettazione, permette all’individuo di affrontare ciò che magari prima lo spaventava.
Già il noto psicoanalista Donald Winnicott, nel lavoro con i bambini, intuì questa potenzialità dell’espressione creativa attraverso l’uso dello squiggle (scarabocchio), dove il disegno libero diventava un ponte tra lui e i suoi piccoli pazienti, laddove l’espressione verbale del malessere poteva risultare più difficile, come nel caso di un bambino. Lo scarabocchio apriva così un canale comunicativo, uno spazio intermedio di contatto, tra il mondo esterno e quello interno, tra l’IO e un TU, diventando strumento attraverso cui costruire progressivamente un rapporto di fiducia che permettesse al bambino di abbandonarsi liberamente all’espressione delle sue energie bloccate, in un contesto contenitivo e protetto.
La potenza del mezzo creativo, nell’arteterapia, risiede soprattutto nella sua connotazione ludica, in un clima rilassato e facilitante, dove la persona può abbandonarsi ad esplorare, sperimentare… sentendosi finalmente autorizzata ad essere semplicemente “ciò che è”, con le sue ferite, le sue difficoltà, i suoi limiti. Come lo stesso Winnicott affermava «il gioco… è sempre un’esperienza creativa», libera da tutti quei vincoli cognitivi che spesso pone il tradizionale approccio verbale al disagio, in cui le emozioni trovano un sbocco preferenziale e diretto bypassando difese e razionalizzazioni. Nel processo creativo l’individuo infatti, oltre a “mettere parola” al vissuto, guarda, tocca, sperimenta, realizza oggetti e attraverso di essi dà forma alla sua storia: una storia fatta di immagini attraverso cui si può confrontare ed entrare in relazione con quelle parti di sé scisse, guardarle senza timore e riappropriarsene
Obiettivo ultimo, è quello di accompagnare la persona attraverso una progressiva reintegrazione delle parti scisse del proprio Sé, riattivare una comunicazione sana tra la sua psiche e la dimensione corporea, tra gli aspetti emotivi e quelli cognitivi.
Solitamente la matrice teorica di riferimento, alla quale l’arteterapia si appoggia, è quella umanistico-esistenziale (in particolare l’approccio della Gestalt), che indirizza il processo verso la focalizzazione degli aspetti “sani” più che sulla patologia, sulle risorse piuttosto che sui sintomi, sul potenziale di crescita, piuttosto che sui blocchi… in un processo orientato a diventare semplicemente “ciò che si è”.
come un'anomalia