L'identità dell'uomo non è già costituita all'inizio del suo cammino, ma assume le sue sembianze definitive alla fine. (...) L'uomo è in processo verso il suo compimento. Noi nasciamo incompiuti, nasciamo materia per diventare progressivamente spirito, anima, per assumere la nostra identità definitiva, quel "nome che è scritto nei cieli" (Lc10,20). La domanda che ci porremo al momento della morte sarà: chi sei? Chi sei diventato? Non risponderemo con ciò che abbiamo fatto, perché questo è provvisorio, destinato a perire. Risponderemo se siamo diventati quella forma definitiva di vita che Dio ha fissato per noi, se siamo diventati figli di Dio.
Alla nascita l'uomo è un complesso di possibilità vitali aperte ad innumerevoli sbocchi. L'identificazione della persona avviene progressivamente attraverso le scelte di ogni giorno, che annullano alcune reali possibilità per renderne attuali solo altre. Per questo tutte le decisioni vitali comportano perdite e spesso anticipano l'angoscia della morte. In realtà ogni scelta, sopratutto se irreversibile, qualifica la persona in un determinato modo annullando molte altre possibilità ugualmente reali.
L'identificazione personale avviene attraverso queste piccole morti quotidiane, che però consentono la nascita definitiva dell'uomo interiore (cfr. 2Cor 4,16-18; Ef 3,16). Finché l'identità personale non è consolidata, l'uomo si identifica attraverso realtà esterne a lui: il luogo di nascita, i propri genitori, il titolo di studio, la professione, ecc. Noi viviamo di identità provvisorie e false, al massimo funzionali e quindi temporanee. In realtà nulla appartiene all'uomo al di fuori di se stesso, del "nome scritto nei cieli" (cfr. Lc 10,20), che fissa la sua identità definitiva. Egli la riceverà solo alla fine: "Noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" (1Gv 3,2). (...)
Crescere come persone richiede l'abbandono progressivo di questi riferimenti d'identità e l'acquisizione della propria forma personale fissata dalla interiorità. Per questo invecchiare esige la capacità di fare progressivamente a meno di tutti i riferimenti di identificazione, per essere semplicemente se stessi. (...) La morte ci chiederà di avere acquisito in modo così completo il nostro proprio nome, da saperlo abitare interamente, senza altri riferimenti esteriori; la capacità cioè di essere semplicemente noi stessi, in continuo rinnovamento interiore, in virtù dei molteplici doni accolti durante l'esistenza. Il criterio della morte ci insegna a vivere in vista della nostra identità definitiva, senza permetterci di identificarci eccessivamente con le identità provvisorie. (...)
L'uomo nasce materiale e diventa spirituale, nasce carne e diventa spirito. Questo processo coincide con il divenire persona: l'uomo nasce natura e diventa persona. Tutto ciò vale anche per l'umanità nel suo complesso. (...) Gli uomini possono progressivamente accogliere in modo più ricco l'azione creatrice di Dio e vivere di perfezioni superiori alla loro attuale condizione. (...)
Il divenire della persona e della umanità si realizza nei rapporti. L'azione creatrice di Dio non emerge nella creazione e non diventa efficace nella storia se non attraverso creature. Solo nei rapporti, quindi, la creatura umana cresce come persona. Il Concilio Vaticano II (...) scrive che l'uomo può "divenire più uomo" attraverso i rapporti e raggiungere la sua identità piena. (...) La persona cresce per le offerte di vita che le vengono dalle relazioni. Questo deve renderci attenti agli altri per offrire a tutti, sopratutto ai più poveri, delle offerte di vita che li facciano crescere. (...) La nostra identità ci è offerta dagli altri e non esistono altri canali attraverso i quali possano pervenirci doni di vita se non i nostri rapporti, luogo esclusivo dell'azione creatrice. Ma le offerte vitali possono essere accolte solo attraverso processi attivi di assimilazione, che richiedono ampi spazi interiori.
Crescere perciò è imparare ad interiorizzare i doni "degli altri", di un Altro; è intrattenere rapporti intensi per accogliere tutte le offerte vitali che ci fanno diventare persona.
tratto da
Carlo Molari "Per una spiritualità adulta"