29/05/15

Il deserto nella città - Carlo Carretto

Fu al diciasettesimo piano di un immenso building popolare, dove mi avevano dato appuntamento dei giovani cinesi per un incontro.
Da ore si parlava del Vangelo, di impegno, di preghiera.
«Fratel Carlo», mi chiese uno studente cinese di architettura che viveva ad Hong Kong ma aveva i genitori nella Repubblica Popolare nelle vicinanze di Shanghai, «ho letto le tue Lettere dal deserto e ho desiderato conoscerti. Tu sei talmente entusiasta del tempo che hai trascorso laggiù nel Sahara che puoi dare l'impressione della insostituibilità di quella solitudine. Io non posso andare laggiù. Che cosa devo fare? Devo trovare il mio Dio qui nella babele della mia città. Quale strada devo percorrere? E' possibile? E se è possibile ti chiedo una cosa: perché non scrivi per noi un libro che ci aiuti a trovare il nostro deserto qui nella città?...». (...)
Fuori dalla finestra vedevo l'ammasso di grattacieli di Hong Kong che incominciavano ad accendere le luci perché era sera.
Mi ricordai che la stessa scena di grattacieli illuminati l'avevo vista la prima volta a New York. I grattacieli illuminati sembrano diamanti.
Pare impossibile che le cose più brutte diventino così vive e belle investite dalla luce.
No, non c'è niente di veramente negativo. Anche la città, sentina di corruzione e giungla d'asfalto, può avere la sua luce e la sua "trasparenza".
«Il deserto nella città...» continuavo a ripetere tra me guardando fuori dalla finestra e spingendomi lontano, lontano fino all'origine di quella parola "deserto" che era stata depositata nel mio cuore nel più bel momento della mia vita. Ripensai in quel momento alle notti sahariane, alle dune, alle interminabili piste che avevo percorso alla ricerca dell'intimità con Dio, alle stelle indimenticabili che trapuntavano la dolcezza delle notti africane, simbolo profondo delle notti in cui la mia fede era immersa e in cui mi sentivo così bene e così al sicuro.
Il deserto vero, quello di sabbia e di stelle, era stato il mio primo amore e non mi sarei più staccato da esso se non fosse stata l'obbedienza a richiamarmi lontano.
«Fratel Carlo, hai conosciuto l'assoluto di Dio, ora devi conoscere l'assoluto dell'uomo».
Ed ero ripartito alle ricerca degli uomini.
Ero frastornato e dovetti impiegare un po' di tempo per ritrovare il mio equilibrio e la mia gioia profonda. Ma poi Dio mi fece sperimentare che non c'era "luogo" privilegiato dove Lui abitava, ma che il Tutto era "luogo" della Sua abitazione e che ovunque tu lo potevi trovare.
«Fare il deserto nella propria vita» mi dicevo, allontanandomi a piccoli passi dalla stabilità di quella solitudine e camminando verso un mondo totalmente diverso. Non bastava.
Mi ci voleva Hong Kong per farmi dire che anche la città aveva la possibilità del deserto e che anche i grattacieli potevano diventare luminosi come diamanti.
Bastava avvolgerli nel buio della fede in modo che le luci apparisero come stelle nella notte.


* * * * *

(...) Ed eccomi qui a rispondere a chi mi ha chiesto di aiutarlo a cercare in città l'unione con Dio, l'intimità con l'Assoluto, la pace e la gioia del cuore, l'Invisibile presente, la realtà divina, l'Eterno.
Intendiamoci subito: non è cosa facile!
Noi viviamo in un secolo tragico in cui gli uomini, anch i più forti, sono tentati nella fede.
E' un'epoca di idolatria, di angosce, di paura; un'epoca in cui la potenza e la ricchezza hanno oscurato nello spirito dell'uomo la richiesta fondamentale del primo comandamento della Legge: «Amerai Dio con tutto il tuo cuore...».
Come fare a vincere queste tenebre che opprimono l'uomo moderno? Come affrontare questo demone del mezzogiorno che attacca il credente nella maturità della sua esistenza?
Non dubito nel dare una risposta che ho provato sulla mia pelle in un momento difficile della mia vita:
Deserto... deserto... deserto!
Quando pronuncio questa parola sento dentro di me che tutto il mio essere si scuote e si mette in cammino, anche restando materialmente immobile là dove si trova.
E' la presa di coscienza che è Dio che salva, che senza di Lui sono «nell'ombra di morte» e che per uscire dalle tenebre devo mettermi sul cammino che Lui stesso mi indicherà.
E' il cammino dell'Esodo, è la marcia del popolo di Dio dalla schiavitù degli idoli alla libertà della Terra promessa, alla luminosità e alla gioia del Regno. E questo attraverso il deserto.
Questa parola, "deserto", è ben di più che una espressione geografica che ci richiama alla mente un pezzo di terra disabitato, assetato, arido e vuoto di presenze.
Per chi si lascia cogliere dallo Spirito che anima la Parola di Dio, "deserto" è la ricerca di Dio nel silenzio, è un ponte sospeso gettato dall'anima innamorata di Dio sull'abisso tenebroso del proprio spirito, sui profondi crepacci della tentazione, sui precipizi insondabili delle proprie paure che fanno ostacolo al cammino verso Dio.  (...)
Vi dicevo che la parola deserto significa ben di più di un semplice luogo geografico.
I russi che se ne intendono e che su questo ci sono maestri lo chiamano "pustinia".
"Pustinia" può significare deserto geografico, ma nello stesso tempo può significare luogo dove si sono ritirati i padri del deserto, può significare eremo, luogo tranquillo dove ci si ritira per torvare Dio nel silenzio e nella preghiera, dove - come dice una mistica russa che vive in America, Caterina de Hueck Doherty - «si può elevare verso Dio le braccia della preghiera e della penitenza in espiazione, in intercessione, in riparazione dei propri peccati e per quelli dei fratelli. Il deserto è il luogo dove possiamo riprendere coraggio, dove pronunciare le parole della verità ricordandoci che Dio è verità. Il deserto è il luogo dove ci purifichiamo e ci prepariamo ad agire come toccati dal carbone ardente che l'angelo pose sulle labbra del Profeta».
In ogni caso, e qui è la caratteristica che voglio sottolineare, "pustinia" per i russi, e per noi che siamo sulla stessa linea spirituale dell'esperienza mistica, segue l'uomo là dove si trova e non lo abbandona quando di deserto ha più bisogno.
Se l'uomo non può raggiungere il deserto, il deserto può raggiungere l'uomo.
Ecco perché si dice: «fare deserto nella città».
Fatti una piccola "pustinia" nella tua casa, nel tuo giardino, nella tua soffitta. Non staccare il concetto di deserto dai luoghi frequentati dagli uomini, prova a pensare, e sopratutto a vivere, questa espressione veramente esaltante: «il deserto nel cuore della città».
Il padre de Foucauld, che fu uno dei più vivaci ricercatori della spiritualità moderna, pose il suo eremitaggio a Beni-Abbès in un contesto tale da rendersi con facilità presente a Dio e presente agli uomini nello stesso momento. E quando volle costruirvi attorno un alto muro, giunto a mezzo metro lo interruppe, per permettere agli abitanti dell'oasi di oltrepassarlo e venirlo a trovare.
Il muro rimase come "segno" del suo monastico isolamento. Il deserto occupò più profondamente la sua vita.
Sì, dobbiamo fare il deserto nel cuore dei luoghi abitati.
E' un modo concreto per aiutare l'uomo di oggi.
E' un problema attuale. Se ne parla con insistenza. E' nell'aria.
Un mio amico, Pierre Delfieux, che fu con me per due anni nel Sahara, ha iniziato a Parigi una forma di vita religiosa basata proprio sull'impegno di vivere nella grande città l'ideale monasticodi lavoro, preghiera, silenzio, liturgia, carità.
Non dubito quanto affermo che in pochi decenni ogni città  vedrà il miracolo di queste fondazioni "di urto" e lo splendore di uomini e di donne che sanno trasformare Babele in Gerusalemme e la "deportazione" in luogo di preghiera.


Carlo Carretto
 tratto da: "Il deserto nella città"