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28/12/13

Ci manca il coraggio di sperare - A. Pronzato

«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)



Meglio non accorgersi...
Normalmente si dice che a Cana, i diretti interessati non si erano ancora accorti che stava scarseggiando il vino.
Io non ne sono così sicuro.
Probabilmente preferivano non accorgersi, fare finta di niente, dare a vedere che tutto era a posto, continuare come se...
In fondo, avevano paura di dover prendere atto della dura realtà (...).
Maria di Nazaret, no.
Lei si è accorta, non ha ignorato la realtà sgradevole. E, nello stesso tempo, ha avuto il coraggio di sperare. (...)
Ciò che appare preoccupante per noi, oggi, non è tanto che manchi il vino - e parecchie altre cose - per cui la nostra vita risulta impoverita, ma che non osiamo sperare.
Ci accontentiamo di piccole ed esitanti speranze umane, preferiamo nutrirci di illusioni, confondendole con la grande speranza cristiana.
La Madonna ci avverte, precisamente, che ci manca la capacità di sperare l'impossibile. (...)
Dobbiamo ammetterlo. Nelle nostre povere teste trovano posto soltanto minuscole speranze. E in numero limitato. Ma la grande speranza cristiana, quella commisurata alle promesse di Dio, padrone dell'impossibile, le nostre teste non riescono a sopportarla, a sostenerla. (...)
Prima di accorrere al sepolcro di Cristo, pretenderemmo esaminare le fotografie che documentino in maniera inoppugnabile che è vuoto...
Per noi  troppo spesso speranza vuol dire: chissà, forse, può darsi, ma, volesse il cielo, nel caso che... Mentre invece la speranza pasquale è un sì, un punto fermo.

Una speranza dal fiato corto
«Noi speravamo...» (Lc 24,21).
Non c'è che dire, tipi bizzarri quei due che camminano sconfortati lungo la strada di Emmaus. Coniugano il verbo sperare unicamente al passato. «Noi speravamo...». Il presente, invece, sta sotto il segno del disinganno più bruciante.
Incapaci di attendere. A loro tre giorni sembrano eccessivi, insopportabili: «Con tutto ciò sono passati tre giorni...».
Davvero una speranza fragile, asfittica, quella che non sa reggere al tempo, ma si arrende subito dinanzi alla brutalità dei fatti. «Con tutto ciò sono passati tre giorni...».
Tre giorni, e spesso anche meno. Ecco la lunghezza della nostra speranza. Ecco la consistenza della nostra fede.
Tre giorni ci sembrano un'eternità. Non sappiamo aspettare.
Non riusciamo, come dicono gli arabi, a "morire di pazienza". Noi piuttosto moriamo di impazienza.
Ci mostriamo restii a pagare il prezzo della pazienza per gli ideali che ci stanno a cuore.
Una momentanea smentita della realtà fa crollare tutto, è come uno spillo che sgonfia il pallone dei nostri entusiasmi superficiali. (...)
La nostra prospettiva non si spinge di una spanna al di là della punta del nostro naso. Ci riveliamo incapaci di vedere "oltre". Oltre l'ostacolo, oltre l'insuccesso immediato, oltre l'incomprensione, oltre il rifiuto, oltre la confusione.
Nel mezzo del tunnel oscuro non ce la facciamo a indovinare la luce che ci investirà dopo quella inevitabile e tormentosa purificazione degli occhi.

Quando ci si trova in un luogo oscuro
«E così abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione, come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori» (2Pt 1,19).
Pure noi, come ci ricorda Pietro, ci troviamo a camminare spesso "in un luogo oscuro". Abbiamo bisogno, oltre che di pane (e di vino), anche di luce. Per veder chiaro circa il nostro destino ultimo, e per sconfiggere le tenebre che ci avvolgono. 
La Parola di Dio, più che un lampo - che si dissolve sempre troppo presto - è una lampada che ci accompagna:
«Una lampada per i miei passi è la tua parola,
una luce sul mio cammino» (Sal 119, 105).
Lampada, non soltanto per scoprire i pericoli, ma per trovare la direzione del viaggio, il senso della nostra fedeltà.
La Parola è luce, perché non viene da noi, ma da Dio. (...)
Non ci viene risparmiato il passaggio attraverso la valle delle tenebre, l'ombra della morte. Abbiamo bisogno, però, della lampada, più che delle folgorazioni improvvise, per resistere nella notte. (...)
La lampada non è un riflettore abbagliante. La Parola ci dà luce solo per questo passo. E poi per il prossimo..
Bisogna fidarsi della Parola-lampada anche quando tutto ci minaccia, tutto appare impenetrabile, e verrebbe voglia di ricorrere ad altre luci più confortevoli, più interessanti, più ammiccanti.
Questa luce è delicata. Entra in noi e ci rischiara dal di dentro. Non è tanto il cammino che viene illuminato, quanto il nostro cuore.
Dunque, sei disposto ad alimentare la tua speranza, spesso flebile, alla luce di questa lampada?

Quando non c'è speranza, è l'ora della speranza
«Dal momento che il fico non germoglia,
non c'è raccolto nelle vigne,
fallisce il lavoro dell'olivo
e il campo non dà da mangiare,
spariscono i greggi dall'ovile
e non ci sono buoi nelle stalle...
Eppure io gioirò in Jahwè
esulterò in Dio mio salvatore» (Ab 3,17-18).

«Dal momento che... Eppure». Tutta la chiave, il paradosso della speranza è proprio qui.
E' la speranza che non ci sta. Non si arrende. Anzi, si ribella. La speranza è messa alle corde. Non ha scampo, Ma si rifiuta caparbiamente di firmare la resa.
Attraverso quell'"eppure", la speranza, messa al tappeto come un pugile, punta alla vittoria.
C'è la logica inesorabile dei fatti, l'implacabilità delle situazioni senza vie d'uscita. C'è l'evidenza delle giare vuote. Sembra che i desideri del cuore, le più legittime aspirazioni, vadano a cozzare contro questa logica spietata, venendone fuori a pezzi, risultandone frantumati.
«Eppure...».
I fatti hanno pronunciato la loro sentenza che pare inappellabile, definitiva: «Non c'è niente da fare... tutto va a rotoli... che disastro».
«Eppure...». (...)
Quando c'è di mezzo Dio saltano gli abituali confini tra possibile e impossibile. Si spezza la concatenazione tra premesse e conseguenze. E la logica ferrea dei fatti esce sconfitta dai delicati, disarmati, desideri del cuore. Le situazioni negative vengono ribaltate in condizioni favorevoli.
Proprio perché - e non nonostante - tutto va male, e non c'è niente da fare, c'è la certezza che spunterà qualcosa di nuovo, di incredibile.
Quando "non c'è speranza", è proprio l'ora della speranza.
Quando non c'è più vino, è "venuta l'ora" di gustare il vino migliore. (...)

Dio dell'avvenire
Ma la speranza (...) postula, da parte dell'uomo, la capacità di aprirsi, in sintonia con Dio, verso il futuro. (...)
Dio ci invita perentoriamente a guardare avanti, a scoprire "ciò che non c'è ancora".
Dio è sempre nuovo, e ci vieta di guardare indietro.
«Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche» (Is 43,18).
Appare strana questa pretesa del Signore di azzerare la memoria del suo popolo.
Il fatto è che la memoria può risultare ingombrante. Toglie terremo alla speranza. Non lascia spazio a ciò che sta per arrivare.
Quando è sovraccarica, appesantisce il passo, spegne la voglia di camminare in avanti.
La memoria può diventare un rifugio confortevole in cui uno, deluso e sfiduciato, ripiega in senso nostalgico per evitare di affrontare la realtà presente.(...)
La speranza è sempre rischiosa, perché sollecita ad andare incontro all'imprevedibile.

Il vino nuovo che gorgoglia
«Ecco, faccio una cosa nuova,
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19).
La memoria, invitando a rovistare continuamente tra le cose passate, distrae l'attenzione dal nuovo che si affaccia all'orizzonte.
Invece il popolo, che sta languendo nell'esilio babilonese, viene sollecitato a puntare lo sguardo unicamente verso la novità sensazionale che Dio sta per realizzare. (...)
«Ora ti faccio udire cose nuove
e segrete che nemmeno sospetti:
Ora sono create e non da tempo:
prima di oggi non le avevi udite,
perché tu non dicessi: "Già lo sapevo"» (Is 48,6-7).
(...) Quando Dio parla, veramente, oggi, nessuno può affermare «già lo sapevo».
Allorché Dio interviene, oggi, nessuno può dire «ho già visto».
Dobbiamo ritornare, accompagnati dalla Madonna, a Cana, per imparare tutto quello che non sappiamo ancora.
Per vedere tutto ciò che non abbiamo ancora visto.
Per sperimentare l'inedito. (...)
Per certi individui, il passato non si decide mai a... passare.
D'altra parte, loro hanno bisogno che non passi del tutto, perché, qualora avessi finito di passare, loro dovrebbero scuotersi e camminare. Cosa che non desiderano assolutamente.
Più che adattarsi a ricordare e rimestare errori, si tratta di raccogliere le proposte dell'oggi, non perdere l'appuntamento col presente. Inutile rimpiangere ciò che è stato, dal momento che viene offerta una possibilità nuova, inaudita.

La rete strappata
Nell'antichità cristiana circolava questa leggenda.
Una rete stesa a pochi metri dal suolo. Sotto, intrappolati e come impazziti, ci sono centinaia di uccelli.
Da principio, provano ad alzarsi verso l'immensità dal cielo negata, ma vanno a sbattere inesorabilmente  contro la rete. E crollano a terra, ammaccati.
Dopo innumerevoli tentativi falliti, ormai si sono rassegnati tutti. Rimarranno in quella prigione, non c'è scampo.
A un tratto però, uno di lor, pesto, sanguinante, si stacca dal mucchio e si lancia contro la rete, caparbiamente. Una, due, tre volte. Finalmente riesce a strapparla in un punto. Quindi si dirige, ferito, verso l'azzurro del cielo.
Come per incanto c'è un gran sbattere d'ali. Tutti gli altri passano attraverso la breccia insperata.
La parabola veniva applicata a Cristo, che ha rotto la rete che teneva gli uomini imprigionati nel male.
Tuttavia penso che possa indicare un compito che ciascuno di noi può svolgere. Un servizio concreto della speranza.
Ribellarsi alla comune rassegnazione del "non c'è nulla da fare" e aprire un passaggio verso un "al di là", verso "qualcos'altro".
Lo strappo non è soltanto quello della rete. Lo si avverte dentro. Dolorosissimo ma liberante.
In certi climi di pesantezza e torpore, il più grande servizio che possiamo offrire agli altri è quello di... essere altrove.

Sognare per non cedere al sonno
Molti cristiani "dormono" per non dover affrontare la realtà. Il sonno consente loro di accettare la realtà così com'è. Soltanto il sogno permette di immaginare una realtà "diversa" (...).
Allorché nel mondo è accaduto qualcosa di nuovo, di decisivo, ciò è avvenuto grazie a dei "sognatori" inguaribili, che si ostinavano ad immaginare una realtà, un modo di essere diversi dal quadro che avevano sotto gli occhi.
Per sognare, occorre essere svegli. Chi si addormenta, è in grado di sognare, al massimo, una riedizione del passato che lui contempla in senso nostalgico. (...) Chi sogna da sveglio frequenta un mondo inedito, dove trovano posto cose "mai viste", "mai sentite", frutti mai gustati. (...)
Sovente la qualità del nostro vivere risulta scadente perché abbiamo paura di sognare cose stupende, cose grandi, cose nuove, cose "troppo belle per non essere vere". (...) E' la nostra fede, troppo spesso, che non ha il coraggio di sognare. Mentre Dio sarebbe disposto a garantire la legittimità dei sogni più audaci, la fattibilità dell'impossibile, la copertura dei progetti più folli.
Dio ci consegna dei sogni (...).
Sognare nel linguaggio biblico sovente equivale a sperare.
Speranza vuol dire possibilità di progettare (= sognare) un presente, oltre che un futuro, diverso, sorprendente, garantito dalla promessa del Dio fedele. 

Chi fabbrica la luce si sporca le mani
Il profeta, il poeta, non sono sognatori, ma costruttori.
L'uomo della speranza non sta ad aspettare l'avvento di un mondo nuovo, ma non esita a sporcarsi le mani per costruire questo mondo.
L'utopista non si gingilla con le sue idee sul futuro, ma vede il futuro come un compito da realizzare. Offre un luogo al proprio progetto, per cui ciò che non esiste da nessuna parte possa finalmente trovare collocazione in una parte precisa della terra. (...)
L'aggravante, per un cristiano - che ha un compito preciso di profezia, che non può essere assolto senza una robusta dimensione di speranza - sarebbe nel dichiarare la propria incapacità, nonostante ci sia una precisa parola di Dio ad assicurare che è possibile: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio! Poiché tutto è possibile a Dio» (Mc 10,27).

Preghiera alla Vergine della speranza
Credo di sapere, Maria, perché oggi scarseggia la speranza nel mondo. (...)
Il fatto è che molti pensano che sperare significhi semplicemente stare ad aspettare.
Aspettare un colpo di fortuna, una circostanza favorevole, la fatidica bacchetta magica che trasforma con un incantesimo la realtà più sgradevole, oppure un intervento decisivo dall'alto.
Non viene in mente che la speranza comporta un atteggiamento attivo, responsabile. (...)
Quando  le cose vanno male, l'uomo della speranza non si limita a sperare che vadano meglio, ma si dà da fare per cambiare certe situazioni. (...)
Allorché a Cana si è prodotta quella situazione incresciosa tu non hai detto «State a vedere che cosa farà». Ma «Fate quello che vi dirà».
Maria, Vergine della speranza, abbiamo bisogno di imparare che la speranza è collegata strettamente al verbo "fare".
Che coinvolgere Lui nelle nostre situazioni disperate vuol dire non tirarci indietro a nostra volta quando si tratta di impiegare le mani (ed è sempre questione di usare le mani).
Che il vino miracoloso gorgoglia non quando rimaniamo affacciati all'orlo delle grosse anfore, ma dopo che abbiamo armeggiato faticosamente attorno ad esse («le riempirono fino all'orlo...»).
C'è sempre uno stacco infinito tra le possibilità umane e il miracolo. Ma il miracolo non si produce come uno spettacolo offerto ai nostri occhi incantati.
Dio fa tutto da solo... con la nostra collaborazione.
Il miracolo non viene depositato su mani inerti.
Maria, rendici consapevoli che per aver diritto di sperare, non bisogna esitare a sporcarsi le mani...

don Alessandro Pronzato

tratto da «C'era la Madre di Gesù. A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca»