(…) «Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna. Piccoli figli, guardatevi dagli idoli!» (1Gv 5,20-21).
La sposa infedele
Guardarsi dagli idoli e confessare l’autentico Dio sono aspetti costitutivi dell’esistenza del credente: questi si trova incessantemente nello sconvolgimento della conversione, nell’abbandono degli idoli per convertirsi al Dio unico e vero.
L’esistenza di un solo Dio è diventata chiara per Israele a poco a poco: nei testi più antichi della Bibbia è dato per scontato che ogni popolo possieda il proprio dio, e quindi Israele ha diritto al suo Dio così come gli altri popoli dispongono del loro.
Con il tempo emerge che questi altri dèi non sono altro che idoli privi di significato, mentre il Dio di Israele è il Dio unico e universale, un Dio per tutti, il Dio vero e sempre fedele, al di fuori del quale non c’è Dio: «Ascolta, Israele: JHWH è il nostro Dio, il solo Dio, JHWH solo. Tu amerai Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dt 6, 4-5). Un Dio talmente più grande rispetto ai nostri piccoli dèi privati che non ce ne si può fare un’immagine, non può essere colto né fissato in forme legate allo spazio. Ma esiste per Israele, in virtù del suo amore e della sua forza (…) Egli è l’inesprimibile e l’Ineffabile di cui si potrà avere esperienza solo all’interno dell’alleanza conclusa con il suo popolo. Un’alleanza eterna, che attraverserà i secoli, e in cui la fedeltà e la pazienza di Dio prevarranno sempre sull’infedeltà degli uomini.
Israele tuttavia sarà fortemente tentato di allontanarsi da un Dio lontano e invisibile per volgersi alle forme di culto ben più concrete, proprie delle popolazioni circostanti (…): i riti delle religioni naturali sono molto più attraenti della fede spoglia nell’Inaccessibile.
L’idolatria resta sempre una sorta di vena sotterranea nel popolo credente; idolatria da cui Israele deve incessantemente essere liberato perché il pericolo di allontanarsi dal vero Dio e di essere sollecitato dagli idoli è enorme. (…)
Nella maggior parte dei casi, molto prima che il problema diventi troppo grave, Dio interviene personalmente, delineando lui stesso la cornice dell’intervento che farà nella nostra vita.
In un modo o nell’altro corrisponde alla dinamica di ogni conversione, come l’ha descritta con efficacia Osea:
«Oracolo di Jhwh: ecco, le sbarrerò la strada di spine e ne cingerò il recinto di barriere e non ritroverà i suoi sentieri. Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora dirà: “Ritornerò al mio marito di prima, perché ero più felice di ora”» (Os 2,8-9).
Ritornerò traduce la nozione veterotestamentaria che esprime la conversione e che il greco dei Settanta rende con metanoeîn. Il racconto simbolico della sposa infedele che ritorna sui suoi passi per ritrovare il primo marito esprime nel modo più esatto ciò che la Bibbia intende per “conversione”:
«E avverrà in quel giorno – oracolo di Jhwh – mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio Baal. Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal, che non saranno più nemmeno pronunciati… Ti farò mia sposa per sempre. ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai Jhwh» (Os 2, 18-19.21-22).
Dopo i numerosi profeti dell’Antico Testamento, anche Gesù (…) deve intervenire per liberare il suo popolo dal ritualismo. Per Gesù la difficoltà era maggiore: innanzitutto veniva a portare la buona novella definitiva, alla quale l’ebreo medio non era preparato (…); doveva rivelare il mistero più profondo di Dio: l’amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito santo. (…) Ma Gesù doveva morire a causa di questo messaggio, perché lo Jhwh degli ebrei del suo tempo, onorato con un culto quasi fanatico, era stato da loro trasformato a tal punto in un falso dio che non erano più in grado di riconoscerlo in Gesù e nel Padre suo.
Anche la giovane chiesa di Gesù dovrà lottare contro questa tentazione: il cristianesimo aveva appena messo radici nei cuori e l’evangelo cominciava appena a portare frutti, che già si affacciava la tentazione di deviare verso le più svariate forme di idolatria (…) : non la legge ma solo la fede, l’abbandono in Gesù ha il potere di portare salvezza.
E i falsi idoli di oggi?
Dobbiamo chiederci se [questo pericolo] non si applica a noi, ancora oggi. Pensiamo forse che, almeno nei nostro paesi, venti secoli ininterrotti di cristianesimo abbiano allontanato il pericolo dell’idolatria? Ma ci sono numerosi tipi di idoli, e i più pericolosi non sono quelli che plasmiamo con le nostre mani bensì quelli che portiamo inconsciamente nel cuore. Non esiste forse ancor oggi una religiosità che ha poco a che vedere con l’azione dello Spirito in noi? (…) Anche noi potremmo deviare, a volte impercettibilmente, verso pratiche che non hanno nulla a che vedere con l’evangelo di Gesù, e sulle quali la grazia ha pochissima presa; atteggiamenti che al contrario rischiano di paralizzare la grazia nei nostri cuori. (…)
Ciascuno di noi porta in sé dei germi di culti naturali, di osservanze legaliste, di ritualismi. La maggior parte degli uomini prova un sentimento vago e universale di Dio: esiste un Dio panteista, così come ne esiste uno romantico, c’è anche un Dio per i farisei – quel Dio al quale Gesù si oppose così strenuamente – grazie al quale possiamo porre tutta la nostra sicurezza fiducia in noi stessi e nelle nostre opere.
Un Dio simile ci sbarra la strada e ci impedisce di vedere il vero Dio e di riposarci in lui solo. (…) Anche la grazia può essere stornata in modo estremamente sottile, per essere offerta – nel momento stesso in cui è ridotta a nulla – in onore al nostro idolo. Anche la Parola di Dio può essere mutilata, al punto che Paolo arriva a scrivere che a volte è falsificata (cf 2Cor 4,2). La Parola può addirittura diventare una scappatoia, un pretesto per astenerci da un impegno nei confronti di Dio: possiamo maneggiare e manipolare la Parola di Dio con tale facilità da trasformarla in un baluardo fortificato attraverso il quale la grazia non può più aprirsi una breccia. (…)
La virtù, la generosità, i desideri di perfezione o di santità, la liturgia, le tecniche di preghiera, addirittura quella che consideriamo come la nostra preghiera più intima, gli stessi sacrosanti principi della morale possono diventare un modo di fuggire Dio, uno sforzo disperato per evitare di ascoltarne la voce, per nasconderci lontano dal suo volto e da ciò che vuole dirci. Perfino quello che facciamo per gli altri e per la chiesa di Cristo può essere solo un espediente, estraneo al nostro io più profondo, molto lontano anche da Dio e dalla sua voce nel nostro cuore. (…)
Ammettiamo onestamente di correre tutti questo rischio e anche di aver a volte ceduto all’illusione, bruciando ogni tanto qualche grano d’incenso davanti al nostro idolo. Eppure, anche questo è ancora una grazia e, per molti di noi, la prima grazia che ci tocca in sorte inevitabilmente: poco alla volta ci rendiamo conto che, durante lunghi periodi della nostra vita, siamo rimasti in quest’illusione, tagliati fuori dalla grazia e quindi anche da Dio, mentre continuavamo a immolare sacrifici al nostro idolo domestico.
D’altronde tutto questo non ha nulla di tragico (…) capita così frequentemente da poter dire che, per la maggior parte di noi, questa illusione costituisce una tappa normale; (…) Dio lo consente in modo provvisorio, e questo provvisorio può durare anche a lungo. (…)
Da secoli Dio si preoccupa instancabilmente di mostrarci il cammino verso di lui (…). Lo faceva nel passato con i pagani, continua a farlo con i pagani di oggi e quindi anche con il pagano che si nasconde in ciascuno di noi, sotto la maschera della fede.
André Louf
tratto da "Sotto la guida dello Spirito" ed. Qiqajon