Un'opera di misericordia inedita: restituire il sorriso
Nel Talmud si riferisce di un episodio che ha quale protagonista il celebre Rabbi Beroka, il quale aveva il privilegio di godere della direzione spirituale del profeta Elia. Questi gli appariva sopratutto nella piazza del mercato.
Un giorno gli pone una domanda piuttosto bizzarra: «Padre mio, c'è qualcuno fra questa moltitudine di persone, che avrà parte al Regno futuro?».
«No», risponde decisamente Elia. Ma poco dopo passano due uomini, e il profeta prontamente si corregge: «A dire il vero, questi avranno parte al Regno futuro».
Il Rabbi, incuriosito si mette a tallonare i due e, quando li raggiunge, non riesce a trattenersi dall'indagare sul loro mestiere. Quelli rispondono: «Siamo due buffoni. Quando incontriamo gente depressa, le restituiamo il buonumore. Oppure, allorché vediamo due individui che disputano furiosamente, ci sforziamo di riportare la pace con un po' di allegria, cercando di sdrammatizzare le cose...».
Sul versante cristiano, numerosissimi sono stati i santi che hanno praticato quest'opera di misericordia: restituire il sorriso ai cristiani. Basterà citare San Bernardino da Siena. (...)
La gente, che all'alba, accorreva in Piazza del Campo per ascoltare quelle prediche, esplodeva in fragorose risate di fronte a un autentico fuoco d'artificio di battute, descrizioni ironiche e notazioni argute che accompagnavano la trattazione degli argomenti più seri.
Quando Bernardino morì, e immediatamente si parlò di lui come santo in anticipo sulla canonizzazione regolare, tra i frati minori, suoi confratelli, ce ne fu uno che si precipitò a baciare la sua salma singhiozzando: «Perdonami, padre, di aver dubitato della tua santità. Il fatto è che tu scherzavi sempre».
Ho l'impressione che il pregiudizio di quel frate si perpetui ancor oggi. Ecco perché molti cristiani esitano ad accostare il santo alla voglia di scherzare, e ritengono la risata come qualcosa di sacrilego, e tale comunque da compromettere la solennità dell'aureola.
Siamo abituati a vedere santi "contegnosi", magari familiari col pianto, ma il riso sulla loro bocca ci sembra per lo meno sconveniente. E dire che San Filippo Neri, fiorentino burlone, ha praticato precisamente la "pedagogia della risata". (...)
Vicino a noi, un personaggio austero come Padre Pio da Pietralcina, martoriato dentro e fuori, non disdegnava di ricorrere, in certe occasioni, all'ironia, talvolta sferzante, tal'altra bonaria.
Un giorno gli riferiscono che un celebre professore di Firenze ha ipotizzato quale causa delle stigmate «un autolesionismo provocato da auto-ipnosi che, conscia o no, il frate generava pensando troppo intensamente a Cristo».
Padre Pio sbotta: «Provate voi a pensare intensamente a un bue, e poi vedete se vi crescono le corna...».
I santi sono precipitati a Cana
Sarebbe possibile mettere insieme un'opera monumentale, una colossale enciclopedia dedicata all'umorismo dei santi. E mi stupisco che nessuno ci abbia mai pensato. (...)
In realtà i santi hanno fatto ressa alla sala del banchetto di Cana, e hanno attinto abbondantemente quel vino miracoloso, che ha prodotto in loro effetti stupefacenti. E peggio per noi se non ce ne accorgiamo o esitiamo a registrare questo fenomeno. (...)
In confessionale, per ritrovare il sorriso
Un giorno il Curato d'Ars uscì in una confidenza sconcertante: «Se fossi triste, andrei subito a confessarmi».
E Chamfort, in una sua massima, sostiene: «Una giornata in cui non si è riso almeno una volta è una giornata perduta».
Il santo e lo scrittore mordace esprimono la stessa realtà, sia pure in modo diverso. Ossia, l'umorismo come dovere.
Sorriso, umorismo anche nel recinto sacro della religione. (...)
E' stato osservato che là, dove l'umorismo non ha diritto di cittadinanza, regna la pedanteria. E dove regna la pedanteria , si perde la freschezza, si appanna la gioia della fede.
Qualcuno farà rilevare che i testi di ascetica e mistica sorvolano sull'argomento. E questo è il segno evidente che non sono abbastanza seri... Non tengono conto del fatto che la risata è sempre liberatrice. Libera dalle ossessioni, dai tormenti, dagli scrupoli, dalle inibizioni, dagli innumerevoli complessi.
Chi non è capace di ridere, si espone a un rischio gravissimo: diventa ridicolo.
Qualche barbassore, sempre troppo serioso, non mancherà di certo di obiettare spazientito: «(...) Dimmi dove trovi l'umorismo nel Vangelo. Dove sta scritto che Gesù abbia riso?».
Potrei replicare citando le parole di J. Sullivan: «L'umorismo non è mai assente dal Vangelo. Spesso, più che dalle parole stesse, scaturisce dal contesto in cui vengono pronunciate».
E quanto alla mancanza di sorriso in Cristo, è sufficiente, penso, una strizzatina alle meningi: poteva attirare nugoli di bambini, masse di gente semplice, un uomo burbero, scostante, col cipiglio sempre spianato?
E poteva avere un volto afflitto quando sentiva il maestro di tavola complimentarsi con lo sposo per quel vino prodigioso e di provenienza misteriosa?
E poteva forse dire con una grinta spianata ai propri amici: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11)? Gesù, al contrario, proprio nell'imminenza della Passione, non ha inoculato nelle vene dei suoi discepoli la tristezza, ma la gioia. E riesce arduo immaginare che l'abbia fatto senza almeno un sorriso.
L'umorismo è una cosa seria
L'umorismo è una cosa seria, come è seria l'umiltà di cui l'umorismo rappresenta uno dei... sintomi più convincenti.
Chi non sa sorridere è troppo ingombrato dal proprio io.
Nietzsche diceva che il diavolo è lo «spirito di severità».
E' difficile avere il senso delle proporzioni, tenere in ordine la scala dei valori nella vita. (...)
L'umorismo ci rende leggeri. In giro c'è troppa gente "pesante". Ossia incapace di spostarsi, perché ha collocato in sé il centro di gravità dell'universo. Perché carica, appesantita dai propri punti di vista, dalle proprie idee, dai propri pregiudizi, dalle proprie "istanze". (...)
In altre parole: bisogna avere il senso dei propri limiti, del relativo. E possedere, naturalmente, il senso dell'assoluto.
«L'umorismo è il senso del relativo che fa da indispensabile contrappeso al gusto dell'assoluto» (Dubois-Dumée). Ecco perché troviamo l'umorismo come carisma piuttosto frequente presso i mistici, ossia presso persone «che non si fanno soverchie illusioni sulla santità del loro stato, né sul valore di osservanze ed esercizi, che tuttavia praticano con estrema serietà» (Cl. Champollion).
Essere il buffone di noi stessi
Il paradosso, lo stupefacente equilibrio, stanno proprio qui: agire con serietà, eppure non dare troppa importanza a ciò che si fa e ciò che si è. Questo vuol dire, precisamente, staccarsi da se stessi e misurarsi - insieme alla propria mercanzia - con l'assoluto che è Dio.
Nel medioevo i re tenevano il buffone di corte. Che non aveva soltanto il compito di divertire il sovrano, ma di farlo restare uomo, attaccato alla terra, cosciente della propria precarietà. Insomma, quella di buffone era una misura... igienica contro l'orgoglio.
Ciascuno di noi, in quanto partecipe del "sacerdozio regale di Cristo", è re. Sovrano in casa prorpia, capace di pacificare la propria natura, mettere rodine nelle proprie passioni, tenere a bada gli istinti. Incaricato di conquistare un pezzetto di Regno con la forza dell'amore. Destinato a stabilire la propria signoria sugli altri con l'umile servizio.
Ebbene, anche noi dovremmo tenere il buffone di corte.
Cerca di essere tu il buffone di te stesso. Che manda in frantumi la maschera di seriosità, sufficienza, supponenza. Che mette in evidenza quanto sei ridicolo allorché non sai sorridere di te stesso. Che ti impedisce di prenderti eccessivamente sul serio. Che ride delle tue pretese da mosca cocchiera e grillo parlante.
Non dimenticare il riso nella tua giornata. «Il riso è l'ultima arma della speranza. circondati su tutti i fronti dall'idiozia e dall'abiezione, sospinti a credere nell'imminenza dell'apocalisse finale, sembriamo tutti coltivare il riso come ultima difesa che ci rimane. Di fronte alla rovina e alla morte ridiamo invece di farci il segno della croce. O forse, più esattamente, il riso è il nostro modo di farci il segno della croce. E' la proa che, nonostante la scomparsa di qualsiasi motivo di speranza che si fondi sui fatti, non abbiamo cessato si sperare» (H. Cox). (...)
Sorridi di te stesso, dei tuoi limiti, delle tue insufficienze.
Soltanto se non ti prenderai troppo sul serio, la tua vita diventerà una cosa seria. Utile anche agli altri.
Dammi un'anima a festa
Tommaso Moro, cancelliere di Enrico VIII, condannato a morte e rinchiuso nella Torre di Londra, una notte è stato assalito dalla tentazione del suicidio. Gli pareva di sentire una voce nel suo intimo che gli ripeteva, ossessivamente: «Impiccati».
Rispose: «Impiccarmi? A parte il fatto che sono troppo pesante, troppo grosso. Ma mi manca la corda...». E scoppiò a ridere. Una risata squassante da far tremare le mura della prigione. Le tentazioni si vincono anche così. (...)
Padre, ho peccato perché non ho riso abbastanza
Anch'io (...) ho composto una preghiera sull'argomento, di cui mi permetto citare una parte:
«Ho un piccolo, tormentoso sospetto, Signore. Temo che, nell'ultimo giorno, mi rimprovererai per non aver riso abbastanza su questa terra.
Eppure gli spettacoli divertenti non mancano, né scarseggiano gli attori volenterosi. Incominciando da me.
Sì, mi accuserai di non aver riso di me stesso. Della mia supponenza. Del sentirmi al centro del mondo. Dell'illusione che tutto dipenda dal mio fare, e che il progresso sia in rapporto al mio correre. Della preoccupazione ossessiva di ciò che gli altri pensano di me. (...) Delle mie lacrime infantili. Delle mie angosce... capricciose. Delle mie paure. Dei miei fallimenti...
... Signore, devo convincermi che la risata liberatrice rappresenta una pratica ascetica fondamentale. Il riso mi prepara all'eternità scrollandomi di dosso la polvere del contingente, le impalcature traballanti, i monumenti tarlati, le bardature solenni, il trucco e la vernice, le grandezze miserabili, i falsi valori, i pesi ingombranti. Il riso è ridimensionamento di ciò che pretende essere assoluto (...) sdrammatizzazione degli incidenti di percorso e dei guai che ci affliggono, correzione delle visioni distorte della realtà (...) riduzione all'essenziale, culto della povertà, tutela della propria libertà, oltre che della dignità.
Il riso è proclamazione dell'Assoluto, senso della provvisorietà, attesa dell'Eterno.
Signore, non nego che la terra sia anche una valle di lacrime. Ma forse non ci siamo ancora accorti che Tu ci hai dato il riso per prosciugarla almeno un po'.
E io temo proprio che quel giorno non mi chiederai se avrò pianto a sufficienza, ma vorrai accertare se avrò riso abbastanza... (....)
L'Apocalisse (21,4) sulla scorta di Isaia, ci assicura che Tu asciugherai le lacrime dai nostri occhi. Ma non dice che spegnerai il riso sui nostri volti».
Una correzione alla "Salve Regina"
Maria, sono sicuro mi permetterai di correggere così la preghiera della Salve Regina: «Gementes et flentes et ridentes in hac lacrimarum valle».
Sono certo mi approverai con un sorriso.
A Cana c'eri pure per qualcosa...
don Alessandro Pronzato
tratto da: "C'era la Madre di Gesù... a Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca"
Dammi un'anima a festa
Tommaso Moro, cancelliere di Enrico VIII, condannato a morte e rinchiuso nella Torre di Londra, una notte è stato assalito dalla tentazione del suicidio. Gli pareva di sentire una voce nel suo intimo che gli ripeteva, ossessivamente: «Impiccati».
Rispose: «Impiccarmi? A parte il fatto che sono troppo pesante, troppo grosso. Ma mi manca la corda...». E scoppiò a ridere. Una risata squassante da far tremare le mura della prigione. Le tentazioni si vincono anche così. (...)
Padre, ho peccato perché non ho riso abbastanza
Anch'io (...) ho composto una preghiera sull'argomento, di cui mi permetto citare una parte:
«Ho un piccolo, tormentoso sospetto, Signore. Temo che, nell'ultimo giorno, mi rimprovererai per non aver riso abbastanza su questa terra.
Eppure gli spettacoli divertenti non mancano, né scarseggiano gli attori volenterosi. Incominciando da me.
Sì, mi accuserai di non aver riso di me stesso. Della mia supponenza. Del sentirmi al centro del mondo. Dell'illusione che tutto dipenda dal mio fare, e che il progresso sia in rapporto al mio correre. Della preoccupazione ossessiva di ciò che gli altri pensano di me. (...) Delle mie lacrime infantili. Delle mie angosce... capricciose. Delle mie paure. Dei miei fallimenti...
... Signore, devo convincermi che la risata liberatrice rappresenta una pratica ascetica fondamentale. Il riso mi prepara all'eternità scrollandomi di dosso la polvere del contingente, le impalcature traballanti, i monumenti tarlati, le bardature solenni, il trucco e la vernice, le grandezze miserabili, i falsi valori, i pesi ingombranti. Il riso è ridimensionamento di ciò che pretende essere assoluto (...) sdrammatizzazione degli incidenti di percorso e dei guai che ci affliggono, correzione delle visioni distorte della realtà (...) riduzione all'essenziale, culto della povertà, tutela della propria libertà, oltre che della dignità.
Il riso è proclamazione dell'Assoluto, senso della provvisorietà, attesa dell'Eterno.
Signore, non nego che la terra sia anche una valle di lacrime. Ma forse non ci siamo ancora accorti che Tu ci hai dato il riso per prosciugarla almeno un po'.
E io temo proprio che quel giorno non mi chiederai se avrò pianto a sufficienza, ma vorrai accertare se avrò riso abbastanza... (....)
L'Apocalisse (21,4) sulla scorta di Isaia, ci assicura che Tu asciugherai le lacrime dai nostri occhi. Ma non dice che spegnerai il riso sui nostri volti».
Una correzione alla "Salve Regina"
Maria, sono sicuro mi permetterai di correggere così la preghiera della Salve Regina: «Gementes et flentes et ridentes in hac lacrimarum valle».
Sono certo mi approverai con un sorriso.
A Cana c'eri pure per qualcosa...
don Alessandro Pronzato
tratto da: "C'era la Madre di Gesù... a Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca"