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24/06/13

Ci manca il sorriso - A. Pronzato


«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"» (Gv 2,3)


Una fragola sul ciglio del burrone
Ritorno a parlare di gioia, perché ritengo sia, insieme all'amore, il tema che emerge maggiormente dal "mistero di Cana".
«Persuadere gli uomini che sono infelici è un'azione infame e fin troppo facile. Un compito sacro consiste, invece, nel ripetere all'uomo che è felice, e che si tratta per lui soltanto di rendersene conto!» (L. Pauwels).
Vogliamo, allora, dedicarci a questo "compito sacro"? (...)
In qualsiasi ambiente c'è qualcosa di buono e di bello che legittima la gioia. Si tratto soltanto di accorgersene.
Anche nelle situazioni meno piacevoli occorre rintracciare un appiglio cui allacciare il nostro sorriso.
Buddha, un giorno, raccontò questa parabola:
«Un uomo che camminava per un campo s'imbattè in una tigre. Si mise a correre, tallonato dalla tigre. Giunto a un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l'orlo.
La tigre lo fiutava dall'alto. Tremante, l'uomo guardò giù, in fondo all'abisso, dove una tigre lo aspettava a fauci spalancate per divorarlo.
Soltanto la vite lo reggeva. Ma ecco due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite. Il disgraziato, guardandosi attorno, scorse accanto a sé una fragola fiammeggiante. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l'altra spiccò la fragola. Com'era dolce!».

Ecco il nostro compito nei confronti degli altri.
Far rilevare le tigri in agguato o il burrone spalancato sul vuoto è un compito meschino, un compito di morte.
Aiutare a scoprire la fragola che è lì, a portata di mano, è un impegno nobile, una missione di vita. 
E la fragola, beninteso, non è soltanto la consolazione momentanea. Può essere la salvezza.
Trovare ragioni per la gioia non vuol dire, forse, risalire alla sorgente della nostra esistenza, della nostra vocazione? Non vuol dire forse riscoprire Qualcuno la cui presenza riscatta abbondantemente la banalità e la negatività delle cose che ci circondano e ci opprimono? (...)

Dare la gioia che non si ha...
E arriva l'ora in cui ti trovi con l'otre, e perfino la bottiglia, sprovvisti di vino. Ebbene, quella è la situazione favorevole per distribuire vino a tutti.
Mi spiego. Puoi vivere momenti in cui, per quanto ti frughi in saccoccia ed esplori gli angoli più reconditi del tuo essere, non riesci a scovare neppure uno spicciolo di gioia. 
Esistono circostanze in cui, per quanto esamini gli avvenimenti della tua cronaca quotidiana, e li scruti da tutti i lati, non vi scopri nulla che possa legittimare neanche un sorriso della durata di un lampo.
E ci sono situazioni nelle quali le persone che ti circondano, per quanto le pesi con una bilancia benevola, non ti offrono che motivi di delusione, perfino di disgusto.
Con tutta la buona volontà, non riesci a raggranellare in te e attorno a te un solo grammo di gioia. Ti ritrovi povero di gioia.
Nella maniera più desolante, assoluta.
Non un guizzo di luce, uno squarcio di sereno sul tuo orizzonte. Soltanto buio e tristezza, grigio e amarezza, stanchezza e sconforto.
Ebbene, ti resta una incredibile possibilità. Quella di offrire la gioia. La gioia che non hai beninteso.
Sì, proprio tu, straccione, povero in canna, nullatenente in fatto di gioia, sei nelle condizioni di arricchirti di quel prodotto che scarseggia a casa tua, che è sparito dai tuoi armadi, regalandolo agli altri.
Il coraggio - diceva don Abbondio - se uno non ce l'ha, non se lo può dare. La gioia, invece, se uno non ce l'ha, ha sempre la possibilità di darla.
Per uno strano paradosso, dandola la si riceve! (...)
La gioia non è il superfluo, non sono gli avanzi del tuo banchetto, che ti degni di distribuire perché sei ben sazio.
Se aspetti a dispensare gioia soltanto quando la possiedi, queste occasioni fortunate si presenteranno raramente nella tua vita.
No. In fatto di gioia non si offre del superfluo, ma del necessario. Direi di più: del non avere, della mancanza.
Preoccupati, dunque, della gioia degli altri. Esci fuori dal guscio delle tue questioni, delle tue ansietà, dei tuoi problemi angosciosi, delle tue difficoltà. Smettila di pensare a te stesso.
Dimentica i tuoi guai. Trascura i tuoi fastidi.
Pensa, piuttosto, alla solitudine, alle sofferenze, alla tristezza degli altri. Occupati dei guai, dei fastidi del tuo prossimo.
Prenditi a cuore gli affanni, le esigenze di chi ti sta vicino.
Regala agli altri la luce che non hai, la forza che non possiedi, la speranza che senti vacillare in te, la fiducia che sta scricchiolando dentro di te.
Illuminali dal tuo buio. Arricchiscili con la tua povertà.
regala un sorriso quando hai voglia di piangere. Produci serenità dalla tempesta che si è scatenata sulla tua testa.
"Ecco, quello che non ho te lo do...". Sia questo il tuo paradosso, anzi il tuo miracolo personale di Cana.
Ti accorgerai che la gioia, a poco a poco, entrerà in te, invaderà il tuo essere, diventerà veramente tua, nella misura in cui l'avrai regalata agli altri. Esiste una gioia, una felicità e una pace della persona, dell'essere, che si comunica, si trasmette, agisce per contagio. Ed è naturale.
Ma c'è pure una gioia, molto più preziosa, una serenità, che si crea dal nulla nell'atto di donarla.
Nel gesto stesso di offrire un tesoro che non possiedo, me lo ritrovo tra le mani. Meglio, me lo ritrovo "dentro".
Vogliamo provare?

Il sacramento del sorriso
All'interno della gioia, esiste un sacramento particolare: quello del sorriso.
Certo. C'è sorriso e sorriso. Si vedono in giro solo sorrisi artificiali, ingannevoli. Sorrisi esibiti per un senso del dovere. Sorrisi agghiaccianti. Sorrisi devoti che danno sul melenso.
Certi sorrisi di persone religiose richiamano l'idea della morte, sono quanto di più macabro io conosca, mi sembrano il ghigno di un teschio, costituiscono un "memento mori" senza la promessa, o almeno il presagio, della risurrezione.
Esistono perfino sorrisi minacciosi. Shakespeare ha detto che si può ammazzare una persona con un sorriso.
Il sorriso, comunque, non s'improvvisa. E' un'arte che esige un lungo apprendistato. Il sorriso bisogna costruirlo pazientemente, faticosamente. Con che cosa?
Prima di tutto, con l'equilibrio interiore, con la fedeltà a se stessi. Con la pace e la serenità dell'anima. Una persona amareggiata non sa sorridere.
Con la semplicità, che vuol dire unificazione della propria vita, riduzione all'essenziale. (...)
Il sorriso non è appiccicato alla faccia. Ma è la luminosità stessa di un volto vero.
La sorgente del sorriso è dentro, in profondità.
Ogni parola che esce dalla nostra bocca dovrebbe essere impregnata, oserei dire profumata, di sorriso.
La verità è seria, ma sorridente al tempo stesso. La verità ha paura sia della noia che della tristezza.
Il sorriso è qualcosa della trasparenza di Dio.

Sorridere al buio
(...) Quando mancano i denti non si riesce più a mangiare il pane secco. Ma si può sempre sorridere, magari di nascosto, col cuore. Il sorriso, in certe circostanze, può essere l'estrema risorsa per rischiarare un poco il buio che ci minaccia.
Ho parlato di sacramento. Ebbene, questo sacramento ha il potere di creare, all'interno di troppi inferni o purgatori fabbricati dagli uomini, uno spazio di libertà, di gioia, di vita, di pace. Il sorriso, ossia il segno concreto di un paradiso possibile, il presagio di una beatitudine. Perfino sulla terra.

In ritardo di tre giorni...
Si racconta di uno scienziato tedesco che, cercando un posto tranquillo dove sistemarsi, aveva finito per scegliere un'abitazione che stava nelle immediate vicinanze di un monastero di clausura.
Lui non aveva la fede, ma quell'ambiente presentava il vantaggio di essere ideale, quanto a quiete, per le sue ricerche. «Qui almeno troverò il silenzio di cui ho bisogni per i miei studi e i miei esperimenti», pensava.
Le sue previsioni si rivelarono esatte solo parzialmente.
Di fatto, gran parte della giornata la sua casa era come avvolta dal silenzio, rotto soltanto dal suono di una campanella.
Ma poi venivano le ore di ricreazione delle monache. E allora non c'era verso di difendersi da quell'allegria scoppiettante.
L'esplosione delle risate trapassava muri e finestre.
Per lo studioso diventò quasi un'ossessione. Ragionava: «Queste donne sono povere, conducono una vita di penitenza, non conoscono il piacere. Come fanno ad essere così contente? Non ci sarà sotto, per caso, qualcosa di losco?».
Decise di togliersi il pensiero parlandone direttamente con l'abbadessa. Questa gli fornì una spiegazione di una semplicità disarmante: «Siamo le spose di Cristo...».
«Ma il vostro sposo non è morto circa duemila anni fa?», obiettò quello.
«Mi scusi, signor professore, ma lei non deve essere stato informato che tre giorni dopo è risorto da morte. e noi siamo testimoni, appunto, di ciò che è accaduto tre giorni dopo...», concluse la monaca con uno smagliante sorriso sulle labbra.

Io ho il dubbio che parecchi cristiani, come il professore, siano rimasti fermi al Venerdì Santo...
Esortava monsignor Tonino Bello: «Riconciliamoci con la gioia, miei carissimi fratelli: le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del cielo». E, naturalmente, non dimentichiamoci di far udire anche agli altri questa musica.


don Alessandro Pronzato

tratto da
"C'era la Madre di Gesù... A Cana con Maria, per scoprire quello che ci manca"