Allargamento di spazi.
Intendiamo sottoporre ancora i nostri occhi malati all'attenzione amorevole della Vergine della Contemplazione. Stiamo pendendo coscienza, infatti, che la capacità di contemplare costituisce il segno più evidente che cominciamo a guarire dalla cecità che ci affligge.
Più che guscio, tana, rifugio confortevole (come qualcuno si ostina ancora a considerarla) la contemplazione è una miracolosa operazione di allargamento degli spazi, dilatazione degli orizzonti. (...)
Diciamo subito che il vero realista è il contemplativo. Perché riesce a vedere la realtà (...) attraverso la luce dell'attesa di qualcos'altro (che determina un impegno concreto per avviare le cose verso il loro traguardo).
Il contemplativo coglie il palpito segreto del mondo. Il realista vede le cose come stanno. Il contemplativo le vede come sono "chiamate" ad essere. (...)
Un modello di preghiera contemplativa è senz'altro quello offerto da Maria nel Magnificat. Colei che «tutte le generazioni chiameranno beata» (Lc 1,48) ha scoperto, "sospettato", nell'opacità e nel garbuglio della storia dominata dai ricchi, dai potenti, dai sapienti altezzosi, la presenza di un germe di novità, prossimo ad esplodere, e che avrebbe determinato un capovolgimento radicale delle situazioni esistenti. (...)
Uno sguardo incendiato dalla luce.
Collocandosi nell'alone di luce di Dio, il contemplativo ottiene in dono uno sguardo "diverso", sulle cose, sulle persone, sugli avvenimenti della storia e sui fatti dell'umile cronaca quotidiana.
Uno sguardo penetrante, sneza essere indagatore. Sicuro, ma privo di durezza. Dolce, disarmato, che non vuole dire ingenuo. Disincantato, senza cessare di essere "innocente". (...)
Contemplazione e amore.
La contemplazione nasce dall'amore, è esperienza di amore e sfocia necessariamente nell'amore. Se nella contemplazione un cristiano non scopre l'amore, ciò significa che, invece di "raggiungere" Dio, ha "contemplato" una caricatura di Dio, un idolo, o magari la propria immagine.
La contemplazione non è accartocciamento su se stessi, ma comunione. Avendo scoperto la sorgente comune, il contemplativo entra in comunione con gli altri esseri e con Dio. (...)
Il contrario della contemplazione non è l'azione, ma l'inganno, l'abbaglio, la falsità. (...) Il cristiano che recupera la vista riesce a cogliere nell'universo segni nuovi, decifrare messaggi segreti.
Contemplare per unire.
La contemplazione assicura l'unitarietà dell'esistenza cristiana, contro tutti i dualismi, le dissociazioni abusive (amore di Dio e amore del prossimo, fuga dal mondo e solidarietà, preghiera e lotta di liberazione, incarnazione nelle realtà terrestri e affermazione dell'Assoluto di Dio...).
Esiste una evidente complementarietà tra contemplazione e impegno temporale. La contemplazione conferisce un senso, un orientamento all'azione. La inserisce nel solco della volontà di Dio. E l'incarnazione, il compromettersi nella storia con le miserie e le lotte degli uomini, apre nuovi orizzonti alla contemplazione. Arriva più lontano sulla strada della contemplazione non chi si isola, ma chi vive la vita di tutti. (...) Dalla preghiera contemplativa scaturisce l'attività apostolica, missionaria, del credente, del testimone.
Dobbiamo essere diffidenti e persino aver paura nei confronti di un'attività cristiana che non nasca dalla contemplazione. Se il credente non ha attinto dall'assiduità contemplativa la rivelazione, il senso delle cose, l'esperienza di Dio e degli uomini, non entrerà mai nel vivo del mondo, non capirà nulla della storia, non afferrerà i problemi dei propri simili, mancherà clamorosamente la propria posizione, e il suo attivismo apparirà deleterio, e non certo in funzione del Regno.
Non si arriva al centro del mondo con delle corse affannose, ma con lo sguardo. Non si scopre il segreto della terra rovistando con le mani, ma affidandosi alla luce degli occhi "miracolati".
Dall'invisibile al visibile.
(...) Nella contemplazione si realizza questo paradosso: dimorando nel mondo invisibile, l'occhio diventa idoneo a districarsi nel mondo visibile. (...)
E' stato detto, giustamente, che "riesce difficile, stando in mezzo alla folla, vedere la folla".
Il solitario fugge dalla folla non perché non voglia più vederla o sopportarla, ma per vederla meglio. Il contemplativo intende vedere soltanto Dio, nient'altro all'infuori di Dio, perché vuole essere in grado di vedere il fratello, mettere a fuoco il suo volto, scoprire le sue necessità.
Il mistico è uno che non esita a rischiare gli occhi in direzione della luce "inaccessibile", per essere pronto a lasciarseli bruciare dinanzi alle realtà più scomode di questa terra.
Il mistico non è uno schizzinoso, un esteta della bellezza celeste. E', certo, un innamorato della bellezza, il quale tuttavia intende aprire gli occhi di fronte a tutto ciò che di ripugnante, inaccettabile, deforme, ingiusto, sgradevole, presenta la vita su questa "palla di stracci e di peccati". (...)
Ci si ritira a pregare per vedere di più, per vedere meglio. Sopratutto per posare gli occhi sulle cose e le persone che preferiremmo non vedere, sulle situazioni che vorremmo non affrontare, sulle questioni da cui desidereremmo scantonare, sugli appuntamenti che saremmo tentati di eludere. (...)
Il contemplativo non sale dalle realtà sensibili a quelle celesti, attraverso un cammino progressivo. Compie proprio l'itinerario inverso. Dall'invisibile al visibile. Da Dio al fratello.
Per raggiungere il prossimo, lui sale a Dio. Da lì è sicuro di arrivare al fratello. E se non ci arriva, è perché non si è avvicinato abbastanza a Dio.
Lui si trattiene nell'altro mondo per tutto il tempo necessario a scoprire questo mondo. (...)
Io mi fido dell'uomo di preghiera. Non mi azzardo a disturbarlo quando si trattiene a contemplare l'Unico. So che, allorché mi passa accanto, assorto, mi vede.
Temo piuttosto, l'uomo indaffarato, onnipresente. Che mi batte la mano sulla spalla, mi osserva nei particolari dell'abito, mi dice che ho una bella cera, non gli sfugge nulla di me. Quello, sono sicuro, non mi vede. Verrebbe voglia di buttargli in faccia: come fai a vedermi se non chiudi gli occhi? Come fai a non perdermi di vista se non ti assenti mai? Come è possibile che io ti interessi, se Dio non ti assorbe totalmente?
Vietato passare al largo.
Contemplare non significa passare al largo, scansare appuntamenti scomodi con gli impegni terrestri. Ma tra-passare, cioè passare attraverso, o passare dentro.
Ossia la contemplazione non è qualcosa di inerte. Contemplare non si riduce a quiete, serenità, silenzio, estraneità, assenza, impassibilità. (...)
Il contemplativo vuole captare le "chiamate del concreto". E rispondervi.
Donna della concretezza.
Chi l'avrebbe mai sospettato... A Cana la situazione delicata non è stata avvertita, e la faccenda incresciosa non è stata risolta dai faccendieri esagitati, dagli organizzatori, dal maestro di tavola. Loro che dovevano provvedere, che stavano lì per questo, si sono lasciati cogliere alla sprovvista. (...)
La salvezza è venuta da te. La creatura della contemplazione si è manifestata come la donna della concretezza.(...)
Grazie Maria, perché a Cana tu ci fai capire che la contemplazione è presenza a Dio e presenza alle necessità (e alla gioia) del prossimo.
Che non è necessario tenere sempre il naso sulle cose per accorgersi che qualcosa non funziona. Anzi, qualche volta, risulta indispensabile prendere le distanze, per poter vedere meglio, e per essere più vicino.
E' del contemplativo che possiamo fidarci, non dell'attivista frenetico, per risolvere i problemi del mondo. Soltanto colui che riesce a stare "altrove" non delude le attese degli uomini.
Madre della concretezza, dacci il coraggio di perderci in Dio per farci trovare puntuali all'appuntamento delle più scomode realtà quotidiane.
don Alessandro Pronzato
tratto da "C'era la madre di Gesù...
a Cana con Maria, per scoprire quello che ci manca"