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23/01/13

Maria vuole che anche Lui entri in casa - Pronzato


«... Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù disse: "Non hanno più vino"». (Gv 2,3)

Quella presenza.
Che brutta sorpresa, per la Madre. Si accorge che in casa nostra c'è tanta gente, forse troppa.
Manca, però, Lui. Non è che ci siamo dimenticati  di invitarlo. Proprio non intendiamo invitarlo.
Dio sta bene in cielo. E, sulla terra, tiene domicilio rigorosamente fissato in chiesa. E noi andiamo con una certa regolarità a trovarlo in chiesa, che è la sua casa. Una dimora degna di Lui. Lì gli porgiamo i nostri omaggi, perfino i nostri doni, paghiamo il tributo dei nostri doveri religiosi. (...)
Abbiamo stabilito una dicotomia assurda, una separazione netta tra sacro e profano. Le cose che riguardano Dio si trattano in chiesa e basta. La competenza territoriale di Dio non va oltre il perimetro del tempio. Aggiungiamoci pure il cimitero. (...)
E pensare che Teresa d'Avila ha scritto un verso bellissimo: «Entre las pucheras anda el Señor». Tradotto liberamente: «Dio si muove tra pentole e fornelli».

Trent'anni in famiglia.
Abbiamo dimenticato non solo Cana, ma pure Nazaret. Fingiamo di ignorare che un'espressione concreta dell'incarnazione, e quindi dell'umanità di Dio, è data dal fatto indiscutibile che il Figlio di Maria ha vissuto, con i genitori, una vera vita di famiglia. (...)
Il Figlio di Dio si manifesta, prima di tutto, nel contesto di una vita familiare. I gesti, le parole, le abitudini più quotidiane diventano irradiazione dell'eterno, sacramento del divino, segno luminoso del Dio-con-noi.
Gesù è stato educato (anche alla preghiera), è cresciuto, ha ricevuto e dato amore, ha imparato, lavorato, recepito certi valori, nell'ambiente  "ordinario" di una famiglia "comune".
Gesù è stato rivelatore del volto del Padre, non soltanto quando ha abbandonato il proprio paese per avvicinare peccatori, poveri, malati, folle affamate di pane e di Parola, gente alla ricerca dell'acqua e di qualcos'altro, ma, prima, anche nella cornice modesta della sua casa. Gesù ha avuto una casa, ecco una realtà che non dobbiamo dimenticare. (...)
La casa di Nazaret non è, banalmente, la sala d'attesa prima della partenza decisiva, prima della grande rivelazione. (...) La famiglia di Nazaret è già "luogo" della rivelazione, incontro con gli uomini, messaggio universale, realizzazione dell'opera della salvezza, parola (parola silenziosa). (...)
E allora, perché quando si parla di preghiera, tanto per fare un esempio, perché non viene in mente che è la casa il primo, insostituibile, "luogo di preghiera"?

Gesù vero disturbatore della quiete.
Vorremmo far credere che "non siamo degni". (...)
Il fatto è che il Dio "domestico" ci disturba, ci infastidisce, perché non è mai rassicurante, confortevole. Se facciamo tanto di accoglierlo in casa, Lui non si rassegna a un ruolo decorativo. Non possiamo illuderci di farlo accomodare in salotto. Il patriarca Atenagora ha definito Dio come «Grande Disturbatore».
L'incontro con Dio è sempre pericoloso. (...)
Noi ci teniamo all'ordine (il nostro!), agli equilibri faticosamente raggiunti attraverso un'infinità di compromessi e cedimenti. Lui, invece, ha la pretesa di mettere tutto sottosopra, va a frugare negli angoli più oscuri, non è d'accordo su tantissime cose della nostra vita quotidiana. (...)
Ci obbliga a rifare certi conti, operare spostamenti decisivi, modificare equilibri, risistemare la scala dei valori.
Con Lui in casa c'è immancabilmente qualcosa di troppo di cui bisogna disfarsi, e vuoti da colmare. Insomma, ammettiamolo con franchezza: a noi non piace rimettere in discussione mentalità acquisite, schemi ormai collaudati, programmi prefissati. Gradiremmo sentirci dire che "tutto va bene". Lui, invece, non esita a buttarci in faccia che "qualcosa non va".

Perché non viene da solo?
C' un altro motivo per cui ci mostriamo riluttanti a spalancagli la porta di casa. «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò da lui per sedermi con lui a mensa. Ed egli potrà cenare con me» (Ap 3,20)
Spalanchiamo pure la porta all'Ospite discreto. Ma ci accorgiamo immediatamente, che il Signore non è solo.
Aprire a Lui significa accogliere un fracco di gente sconosciuta. Bisogna allargare la tavola. Nessuna cenetta intima, urge allestire un'infinità di posti. (...)
Allorché Cristo entra nell'esistenza quotidiana di una persona, insieme a Lui devono necessariamente "passare" tantissimi "altri". (...) Non c'è scampo: sono indivisibili. L'Ospite non intende separarsi dai suoi amici. E se ci illudiamo di accoglierlo da solo, pur con tutti i riguardi, Lui se ne va di soppiatto, quasi avesse subìto un affronto. (...)
Dove va a finire allora la nostra tranquillità?

Dio all'appuntamento del quotidiano.
Dio non si accontenta che andiamo a "trovarlo" a scadenze fisse. Gradisce "trovarci" lungo il filo dei giorni feriali.
Nell'abitazione di Cana, Cristo, ha compiuto il primo dei «segni».
Dobbiamo ancora imparare che dio "ci fa segno" attraverso il quotidiano. Le cose di cui si serve per farci segno sono quelle che abbiamo davanti agli occhi.
Gli avvenimenti di cui si serve per manifestarsi sono i piccoli fatti della nostra vita ordinaria. (...)
Non è il caso che andiamo a cercare Dio chissà dove. Lui è presente all'appuntamento del quotidiano.
Non dobbiamo programmare l'incontro per le grandi occasioni, in un contesto di solennità.
Lui si fa trovare, se lo vogliamo, nelle occasioni più comuni, in uno stile dimesso, secondo il cerimoniale dei nostri gesti più comuni.
Lui non si rassegna ad essere confinato in un salotto appartato. Sta volentieri in cucina, nello stanzino della portineria, in un corridoio, un'aula, un ufficio, un cortile, una corsia. Lui ci aspetta, ci segue, sta volentieri con noi. 
Dobbiamo abituarci a far "passare" Dio nei nostri gesti abituali, nel solito lavoro, nell'interminabile corridoio delle piccole occupazioni scarsamente appariscenti. Farlo passare nella nostra stanchezza, negli smarrimenti. Farlo passare nelle nostre difficoltà, nelle speranze, nelle attese interminabili.
Lui deve diventare l'immancabile Passante. Ossia Colui che attraversa insieme a noi il deserto del quotidiano. Colui che passa, con noi, le giornate tutte uguali. «Credere significa imparare a leggere gli avvenimenti della propria vita come espressione del passaggio di Dio.(...) Si passa la propria esistenza a cercare la strada. E poi, un bel giorno, ci si trova faccia a faccia con un Passante che non è come gli altri. Credere significa accettare di aprire gli occhi, in quel giorno, e bisbigliare - perché no? - "Buon giorno... mio Dio!"».


don Alessandro Pronzato

tratto da  "C'era la Madre di Gesù.
A Cana, con Maria, per scoprire quello che ci manca.