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13/08/16

Fuoco, immersione, divisione (XX T.O.) - Enzo Bianchi

Lc  12,49-53
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D'ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

 Il brano evangelico di questa domenica, che contiene alcune parole “dure” di Gesù, è stato ed è tra i testi più incompresi, sovente manipolato dai predicatori, strumentalizzato e citato a favore della propria ideologia cristiana. Lo leggiamo cercando di non glossarlo, di non commentarlo troppo, per riconoscergli quell’autorità che è propria soltanto della parola del Signore e quindi spiegarlo con altre parole di Gesù, convinti del principio secondo cui “Scriptura sui ipsius interpres”, “la Scrittura è l’interprete di se stessa”.
Gesù sta salendo a Gerusalemme con i suoi discepoli e le sue discepole, tenendo ben presente che la meta di quel viaggio è la città santa che uccide i profeti e li rigetta (cf. Lc 13,33-34), dunque il luogo del suo esodo da questo mondo al Padre (cf. Lc 9,31; Gv 13,1) attraverso la morte in croce. Tra i suoi insegnamenti e le sue parole Luca testimonia alcune convinzioni di Gesù espresse a voce alta: confessione e profezia! Innanzitutto Gesù dichiara: “Sono venuto a gettare un fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già divampato!”. Questa la ragione della sua “venuta” da Dio sulla terra: è venuto a gettare fuoco! È evidente che qui il linguaggio di Gesù è parabolico, che non parla del fuoco divorante che brucia e terrorizza ma di un altro fuoco, di una forza divina che egli è venuto a portare tra gli umani e che desidera si manifesti e agisca. L’esperienza della presenza e dell’azione di Dio è sentita da Gesù come fuoco che brucia, illumina e riscalda, ed egli deve essere ricorso più volte a questo linguaggio simbolico.
Nel vangelo apocrifo di Tommaso questa parola è riportata quasi uguale: “Ho gettato il fuoco sul mondo, ed ecco lo custodisco fino a che divampi” (10). Un altro ágraphon, una parola non scritta nei vangeli canonici ma ricordata da Origene, da Didimo il cieco e dallo stesso vangelo di Tommaso (82), è accostabile a questo detto: “Chi è vicino a me, è vicino al fuoco; chi è lontano da me, è lontano dal Regno”. Da queste diverse testimonianze comprendiamo che Gesù era un uomo divorato da un fuoco, un uomo passionale, che la sua missione era quella di spargere come fuoco la presenza efficace di Dio nel mondo, che lui stesso era fuoco ardente, amore bruciante come “la fiamma di Jah” (Ct 8,6), del Signore. Nel vangelo secondo Luca il fuoco è soprattutto segno, simbolo dello Spirito santo, già annunciato da Giovanni il Battista come forza, presenza divina nella quale il Veniente immergerà chi si converte, cioè “battesimo in Spirito santo e fuoco” (cf. Lc 3,16); è quel fuoco che negli Atti degli apostoli scende come presenza bruciante del Risorto sulla chiesa nascente, radunata in sua attesa (cf. At 2,1-11).
Gesù è un uomo di desiderio grande e profondo, un uomo di passione e qui all’improvviso confessa questa passione che lo abita. Quel fuoco dello Spirito che egli ha portato dal Padre sulla terra, fuoco di amore, dovrebbe incendiare il mondo, ardere nel cuore di ogni essere umano: questo lui desiderava fortemente! Lo desiderava nei suoi giorni terreni e lo desidera ancora oggi, perché quel fuoco da lui portato spesso è coperto dalle ceneri che la chiesa stessa gli mette sopra, impedendogli di ardere. È così, lo sappiamo: basta leggere tutta la storia della fede cristiana per rendersi conto che il fuoco del Vangelo divampa qua e là, di tanto in tanto, in persone e comunità che lo fanno riapparire smuovendo la brace, ma poi presto, troppo presto, è nuovamente coperto dalla cenere. Riscalda sempre un po’, viene tenuto vivo e conservato, ma certo non arde… Gesù invece desiderava che ardesse nei cuori dei credenti come ardeva nel cuore dei due discepoli sul cammino di Emmaus (cf. Lc 24,32), quando prendevano fuoco le Scritture spiegate dal Risorto; come ardeva nella chiesa nata dalla Pentecoste
Segue poi un altro pensiero di Gesù strettamente collegato al primo: “Io devo ricevere un’immersione, e come sono angustiato finché non sia compiuta!”. Ecco un altro desiderio di Gesù, desiderio sofferente! È un annuncio della sua passione e morte, quando sarà immerso nella prova, nella sofferenza e nella morte di croce. Questo evento lo attende, ed egli deve entrare nell’acqua della sofferenza ed esservi immerso come in un battesimo. Non perché le sofferenze abbiano valore in sé, ma perché, se lui continua a essere fedele, obbediente all’amore, alla volontà del Padre che conosce solo l’amore, allora dovrà pagarne il prezzo: rifiuto, rigetto da parte dei potenti religiosi e politici, da parte del popolo stesso, perché Gesù è un “giusto” – come il centurione proclama sotto la croce dopo la sua morte (cf. Lc 23,47) – e se il giusto rimane tale non solo è di imbarazzo, ma va tolto di mezzo (cf. Sap 2,10-20).
Siamo sempre nello spazio del linguaggio simbolico: il battesimo per Gesù non è un rito, ma è un reale bagno di sangue e di morte. Egli è certamente angosciato di fronte a tale prospettiva, ma è ansia che si compia presto, che sia cosa fatta per sempre. Non che desideri la morte e la sofferenza, nessuna volontà “dolorista” da parte sua, ma volontà che si acceleri il cammino verso il compimento pieno della volontà di Dio, che è anche la sua volontà.
Vi è infine un terzo pensiero di Gesù, che consegue ai primi due, un pensiero che riguarda i discepoli, dunque anche noi oggi. Quale pensiamo sia l’esito della venuta di Gesù, dell’apparire del “segno del Figlio dell’uomo” (Mt  24,30), cioè della croce di Cristo, del Vangelo che si mostra come epifania nella vita delle persone? Pensiamo che tutto andrà meglio? Ecco l’inganno presente nei nostri cuori, pur colmi di desiderio e di passione. Confesso che, grazie all’insegnamento ricevuto, sono sempre stato lucido al riguardo: anche durante il Vaticano II e subito dopo, seppur giovanissimo, osai oppormi agli entusiasmi dei miei amici, peraltro più autorevoli di me, i quali guardavano al concilio come a una nuova fase, una fase più “bella” nella vita della chiesa. Io invece ricordavo loro che nel mondo, più emerge il Vangelo, più divampa il fuoco dello Spirito, peggio si sta! Perché la buona notizia scatena “le potenze dell’aria” (Ef 2,2; cf. 6,12) e quelle della terra che, di fronte all’emergere del Vangelo, fanno una guerra più sfrenata. È così, è così! Più la chiesa si riforma, più nella chiesa non si sta quieti, ma emergono la divisione e la contrapposizione…
Ecco perché Gesù dice: “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra, ma la divisione!”. Attenzione, non che Gesù desiderasse la divisione tra gli umani e nella sua comunità, non che amasse vedere le contrapposizioni alla pace, ma sapeva bene che questa è la necessitas, “il necessario” nell’ordine di questo mondo. Appare un giusto, ed ecco che tutti si scatenano contro di lui; appare una possibilità di pace, e quelli che sono armati reagiscono; appare Gesù, e subito, fin dalla sua nascita, si scatena il potere omicida. Mentre gli angeli a Betlemme annunciano “pace in terra agli uomini che Dio ama” (Lc  2,14), il potente tiranno di turno, allora Erode, fa una strage di bambini innocenti e ignari (cf. Mt 2,16-18). Sono i falsi profeti a dire e a cantare sempre che “tutto va bene!” (cf. Ger 6,13-14; Ez 13,8; Mi 3,5), mentre invece bisogna essere avveduti. Ripeto, più il Vangelo è vissuto da uomini e donne, più appaiono la divisione e la contraddizione, anche all’interno della stessa famiglia, della stessa comunità. Fino al manifestarsi dell’indicibile: padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre…
Gesù è e resta “Principe di pace” (Is  9,5), e la sua vittoria è assicurata, ma al Regno si accede attraverso molte tribolazioni (cf. At 14,22), prove, divisioni. Così è accaduto per lui, Gesù; così deve accadere per noi suoi discepoli, se gli siamo fedeli e non abbiamo paura del fuoco ardente del Vangelo e dello Spirito di Gesù.

Enzo Bianchi

tratto da  Monastero di Bose 

27/01/16

La potenza della fede (2) Consenso e abbandono - A. Louf


In ebraico il termine "fede" (emunà) deriva dal radicale emet, fedeltà, che è uno degli attributi maggiori di Dio. Dio è misericordia e fedeltà (cf. Gen 24,27); potremmo anche tradurre: tenerzza e saldezza.  Emet infatti suggerisce l'idea della roccia sulla quale ci si può appoggiare e si può edificare. Dio non viene meno: potremo sempre contare su di lui. Credere significa appoggiarsi su questa saldezza di Dio. Anche Amen deriva dalla stessa radice: dire Amen significa credere al massimo grado, acconsentire alla saldeza di Dio come questa si impone a noi nella Sua Parola o nella persona di Gesù. (...)

La fede del centurione sgorgava dalla necessità in cui si dibatteva ma, prima di ogni altra cosa era fiducia in Gesù e abbandono nella sua Parola, fino all'obbedienza totale. La fede quindi non è solamente, o per lo meno innanzitutto, consenso ad alcune verità di fede riguardanti Gesù, bensì accettazione di Gesù stesso, con tutta la potenza che ha ricevuto dal Padre, il che include una rinuncia totale alla nostra persona a suo favore. (...) La nostra fede è un movimento verso Dio, una fede che ci scuote e ci trascina, una fede che è esodo da se stessi e immisione in Dio: tale era la fede del centurione. Così ogni giorno posso aggrapparmi alle parole di Gesù che salva e chiedergli: "Dì soltanto una parola e io sarò guarito".

Una fede simile costituisce una sconvolgimento radicale: l'uomo è invitato a uscire da se stesso, impara a dimenticarsi e ad abbandonarsi per lasciarsi raggiungere dalla Parola viva e onnipotente di Dio, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Una di queste è che, in virtù della fede, riceviamo la potenza stessa di Dio.

La fede che opera meraviglie.

[Nel Vangelo]ci viene ricordato che Gesù non potè operare miracoli nella sua patria a causa della mancanza di fede degli abitanti di Nazaret (cf. Mc 6,1-6).
esù in quel luogo non era spogliato della sua potenza, ma questa era infiacchita, attraversata dalla mancanza di fede.  Gesù non può intervenire nella nostra vita finché non ci consegnamo totalemente a Lui, a partire dalla nostra debolezza, e purtuttavia con piena e totale fiducia. Gesù si pone davanti ad ogni uomo con tutta la pienezza del suo amore e della sua potenza, ma la maggior parte di noi non è innestata in lui: ecco perché egli non può intervenire. Gesù va in cerca della nostra estrema povertà, accompagnata dal nostro cieco abbandono. E' questo il terreno dove oggi, con la sua potenza e attraverso la nostra fede, si accinge a compiere meraviglie. (...) Come la mancanza di fede lo paralizza, così la fede libera la potenza di Gesù.

Questo è il meraviglioso dialogo della fede tra Dio e l'uomo: Dio è il primo a parlare e si aspetta da noi che ci abbandoniamo alla sua Parola, quando questa ci avrà afferrati. Non appena questo accade, Dio diventa, per così dire, l'umile servitore di chi ha tutto abbandonato per lui. Da quel momento, Dio non è più il solo a essere Onnipotente: chi crede e si affida a questa onnipotenza lo è altrettanto.  (...)
In questo modo la nostra fede è simile a un gremovo reso fecondo dalla potenza della Parola di Dio, che a sua volta partecipa della potenza di Dio non appena questa Parola è accolta in un abbandono totale. Allora più nulla è impossibile, al contrario: 
"Tutto è possibile per chi crede"
dice Gesù (Mc 9,23). (...)

Appare qui evidente che l'oggetto della nostra fede non è innanzitutto un insieme di verità da esprimere e da confessare (...) L'oggetto della fede è innanzitutto la meravigliosa potenza di Dio presente, per noi e per tutti, nella Parola di Dio, nei segni della salvezza che avvengono nella Chiesa, ma sopratutto nel Signore risorto, Gesù Cristo. (...) Attraverso la nostra fede, la potenza della resurrezione di Gesù è messa a disposizione di tutti.
 
La fede ci apre alla potenza di Dio: siamo liberati nel nostro intimo e il nostro cuore è salvato. E' come se Dio aprisse un chiavistello nel nostro io profondo e spalancasse una porta attraverso la quale può farsi breccia per inondarci come un torrente e trascinarci nell'amore e nell'onnipotenza che ci fa rivivere, similmente a quanto è accaduto il mattino di Pasqua, quando Gesù è risuscitato dai morti in virtù dell'onnipotenza della gloria del Padre. (...) Ne usciamo rimpiccioliti, e per così dire, come sperduti: piccoli nei confronti di noi stessi, degli altri e di Dio, eppure mai schiacciati, anzi liberati ad opera di questa illimitata fiducia in lui "che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare" (Ef 3,20), e sempre disponibili per i miracoli che il Signore Gesù continuerà a compiere attraverso la nostra fede.

Non c'è dubbio che Dio è incessantemente all'opera nella chiesa e nel mondo, ancora oggi. Ma solo la nostra fede può scoprire questi miracoli continui e arrivare a vivere come circondata di miracoli: all'infuori della fede, non esistono altri mezzi per percepire l'opera di Dio. I cristiani sono chiamati a rendere visibili i miracoli di Dio nella chiesa di oggi. Ogni cristiano deve eprmettere alla potenza e alla fedeltà di Dio di realizzarsi nella propria vita.
Ogni volta che Dio ci fa comprendere, nel nostro intimo, che dei miracoli stanno epr avvenire in noi e attorno a noi, è il segno che cominciamo lentamente a credere. Dio infatti non compie miracoli soltanto afifnché si creda, ma perché alcuni uomini credono e si sono aperti con fiducia alla sua onnipotenza. I miracoli scaturiscono dalla loro fede, sfuggono dalle mani a loro insaputa, prima ancora che essi possano sospettarlo.
La fede non è altro che questa esperienza, sempre a tentoni, dell'amore onnipotente di Dio: un'esperienza cosciente di essere lei stessa un miracolodi questa potenza e, nei limiti voluti da Dio, un segno luminoso per tutti gli uomini.

André Louf
 
tratto da "Sotto la guida dello spirito",  ed. Qiqajon

25/01/16

La potenza della fede (1) Fede e incredulità - A. Louf

Quando parliamo della fede, pensiamo spontaneamente alle verità della fede. (...)
Chi parla di verità della fede pensa immediatamente a un manuale di teologia o di catechesi, in cui la Parola di Dio è esposta in maniera didattica. Una simile espresisone didattica della fede ha ovviamente molta importanza ...[ma] posso benissimo sapere molto a proposito della fede, e anche condividere molto questa conoscenza con altri, senza mai compiere il passo decisivo della fede, che implica sempre un abbandono esistenziale a Gesù.
La difficoltà può derivare in parte dal fatto che, secondo l'uso attualmente in vigore nella nostra chiesa, la maggior parte di noi è stata battezzata nell'infanzia e quindi abbiamo ricevuto la fede fin da piccoli. Noi proclamiamo che nel battesimo abbiamo ricevuto il dono della fede, di conseguenza siamo portati a credee che, a partire dal nostro battesimo, apparteniamo una volta per tutte alla categoria dei credenti. Questo è vero, ma solo in una certa misura. Senza voler mettere in discussione la prassi attuale della chiesa, dobbiamo tuttavia sottolineare che la fede ricevuta nel battesimo costituisce solo un inizio e non può, in nessun modo, dispensarci da un incontro personale con Gesù. (...)
Ci potremmo naturalmente chiedere se una simile fede inconscia non continui a sonnecchiare a lungo anche in molti cristiani adulti, a cuasa del fatto che nessuno ha aiutato lo sviluppo della grazia ricevuta o che l'aiuto prestato era così estraneo alla grazia che i suoi frutti sono a malapena visibili. In molti casi, non si fa altro che aggiungere a questa fede inconscia un sistema di verità puramente intellettuale, mentre sul piano dell'agire concreto ci si (...) accontenterà di trasmettere un insieme più o meno corretto di verità sulla fede, e nel contempo ci si sforzerà di dare le'sempio di una vita leale e irreprensibile, ma in cui la grazia ha pochissimo a che fare.

Lo stupore di Gesù.
Nei [Vangeli] sinottici ci sono solo due circostanze in cui Gesù manifesta un certo stupore: è sorpreso dalla fede del centurione e dalla mancanza di fede dei suoi concittadini di Nazaret. Marco (Mc 6,6) lo dice esplicitamente 
"e si stupiva della loro mancanza di fede"
e aggiunge che là non potè operare nessun miracolo.
Soffermiamoci un attimo su questo pubblico che non crede in Gesù. La loro mancanza di fede è effettivamente sorprendente: si tratta in fondo di concittadini, di persone di Nazaret, forse addirittura dei vicini di Gesù, quindi gente che conosce Gesù da anni. (...) Più si è vicini a Gesù, umanamente parlando, più è difficile credere in lui.
Questo può apparire ancor più sorprendente dato che gli abitanti di Nazaret incontrati da esù in sinagoga nel giorno di sabato sono tra gli ebrei più credenti del loro tempo. Non solo conoscono la legge, ma frequentano la sinagoga, dimostrando di essere fedeli ferventi. Nonostane credano nella Parola di Dio, non arrivano a credere in Gesù, anzi si scandalizzano delle sue parole, il che conferma la loro appartenenza alla categoria dei cosiddetti "devoti". (...) Indubbiamente  abbiamo a che fare con persone ferventi e profondamente religiose, eppure non hanno riconosciuto Gesù, non hanno avuto fiducia nelle sue parole, non credono ai suoi miracoli. Qualcosa in loro rimane bloccato e sono incapaci di aprire il chiavistello. (...) In realtà, lungo tutto l'evangelo sono le persone meno racomandabili - pubblicani, peccatori o stranieri - che, in questo ambito, precedono di gran lunga i pii e credenti ebrei.

Il centurione di cui Gesù tanto ammira la fede è proprio una di queste figure: non solo è un non credente, ma è adirittura uno straniero. (...) Tuttavia appare in grado di dare il proprio cuore e la propria fiducia a Gesù: lui ha ricevuto questa fede rara che Gesù si augura così ardentemente. (...)
Il primo aspetto che colpisce di quest'uomo è la consapevolezza della propria piccolezza. E' vero che il centurione si trova nella situazione di chi grida il proprio dolore e ha bisogno  di essere aiutato... tuttavia avrebbe anche potuto agire in modo diverso. Ufficiale dell'esercito d'occupazione avrebbe potuto... convocarlo d'autorità ed esigere un intervento... Ecco che invece di mette lui stesso in cammino - un'intera giornata di viaggio - per andare incontro a Gesù. Non solo, ma percepisce di non avere il minimo diritto su Gesù, di non poter neppure esigere una sua visita: è un semplice pagano! Quando Gesù gli annuncia, come cosa scontata, che ha intenzione di spostarsi per guarire il suo servo, la sua realzione sgorga spontanea: 
"Signore non sono degno che tu entri sotto il mio tetto"
Il secondo elemento che colpisce nell'atteggiamento del centurione è la sua fiducia illimitata in Gesù (...): ha capito che Gesù stava per compiere qualcosa per lui. E' già molto di più che il credere che nella potenza di guarigione di Gesù o nel messaggio che annuncia: credere che Gesù farà qualcosa perchè è ben disposto verso di lui dimostra che il cuore del centurione si è aperto a Gesù. Si tratta forse già di un inizio di amicizia: una fiducia simile colpisce Gesù molto profondamente. (...)
Il centurione infine è scosciente della potenza che risiede nella parola di Gesù
"Dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito"
 Pensa che sia inutile che Gesù venga di persona: basta che dia un ordine (...)
Il centurione, con la sensibilità tipica del soldato romano, si avvicina già moltissimo all'abbandono e all'obbedienza di fede che ogni ebreo cerca di vivere nei confronti della Parola di Dio e della potenza che vi si cela.


Andrè Louf
tratto da "Sotto la guida dello Spirito"  Ed. Qiqajon